Il calcolo economico nello Stato socialista
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Con questo articolo del 1920 intitolato "Il calcolo economico nello Stato socialista", Ludwig von Mises portò un attacco radicale a ogni forma di pianificazione, prefigurando con grande anticipo il crollo dei Paesi a socialismo reale. Sviluppando le proprie ricerche all'interno del paradigma della Scuola austriaca, sulla scorta della lezione di Carl Menger ed Eugen Böhm-Bawerk, egli dimostrò come entro un regime socialista l'assenza della proprietà privata dei mezzi di produzione impedisca l'emergere di prezzi liberi (frutto di negoziazioni di mercato). Essendovi solo tariffe fissate d'autorità, nessun attore economico può allora disporre delle informazioni veicolate dai prezzi, ed è dunque normale che si abbia una sovrapproduzione di beni poco richiesti e, all'opposto, una sottoproduzione dei beni di cui ci sarebbe più bisogno. Nell'insieme, l'intera vita economica precipita nell'irrazionalità.Ludwig von Mises (1881-1973) è stato uno dei maggiori scienziati sociali del Novecento. Ebreo originario della Galizia, ha operato a lungo a Vienna, prima di lasciare l'Austria e accettare una cattedra a Ginevra. In seguito si trasferirà in America, insegnando alla New York University dal 1945 al 1969. Le sue opere maggiori sono "Socialismo" (1922), "I problemi epistemologici dell'economia politica" (1933), "L'azione umana" (1949) e "Teoria e storia" (1957).

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2013
ISBN
9788864401942

Il calcolo economico nello Stato socialista

Introduzione
Vi sono molti socialisti che non sono mai riusciti ad afferrare i problemi dell’economia e non hanno mai cercato di formarsi un’idea chiara delle condizioni che determinano la natura della società umana. Ve ne sono altri che si sono concentrati nello studio della storia economica del passato e del presente, sforzandosi su questa base di costruire una teoria dell’economia della società “borghese”. Hanno criticato finché hanno voluto la struttura economica della società “libera”, ma hanno trascurato di applicare all’economia del tanto discusso Stato socialista il medesimo acume caustico che han dimostrato nell’altro campo, non sempre con successo. L’economia, in quanto tale, compare troppo poco nei progetti suggestivi degli utopisti. Essi spiegano invariabilmente come nel paese di Bengodi della loro fantasia, i piccioni arrostiti voleranno, in un modo o nell’altro, in bocca ai compagni, ma si dimenticano di indicarci come si produrrà tale miracolo. Sta di fatto che ogni qualvolta si azzardano a far qualche più esplicita affermazione nel dominio dell’economia, subito si smarriscono – si ricordi, per esempio, i sogni fantastici del Proudhon sulla “banca di credito” – sicché non riesce difficile mettere in rilievo i loro errori di logica. Quando il marxismo vieta solennemente ai suoi seguaci di occuparsi di problemi economici che non siano quello dell’espropriazione degli espropriatori, non adotta alcun nuovo principio, poiché già gli utopisti, in tutte le loro descrizioni, hanno trascurato ogni considerazione economica, limitandosi a dipingere quadri a tinte fosche sulle condizioni attuali, e quadri a tinte luminose su quell’età dell’oro che sarà il risultato naturale della Nuova Provvidenza.
Sia che si guardi al divenire del socialismo come a una meta inevitabile dell’evoluzione umana, sia che si consideri la socializzazione degli strumenti di produzione come il più gran bene o il peggior disastro che possa colpire l’umanità, si deve almeno riconoscere che l’indagine sulle condizioni della società organizzata su una base socialista è qualcosa di più di «un buon esercizio mentale e un mezzo per promuovere la chiarezza e la coerenza di pensieri».{1} In un’epoca in cui ci avviciniamo sempre più a un socialismo reale e, in un certo senso, possiamo dire di esserne dominati, l’indagine sui problemi dello Stato socialista acquista una particolare importanza per capire quel che sta accadendo intorno a noi. Le analisi fatte finora sull’economia di scambio non bastano più all’adeguata comprensione degli odierni fenomeni sociali che stanno accadendo in Germania e presso i suoi vicini orientali. Il nostro compito, in relazione a ciò, è quello di racchiudere gli elementi della società socialista all’interno di un orizzonte abbastanza ampio. Tentativi di raggiungere la chiarezza su questo argomento, non necessitano di alcuna ulteriore giustificazione.
I. La distribuzione dei beni di consumo nello Stato socialista
In un regime socialista tutti gli strumenti della produzione sono proprietà della collettività. Soltanto la collettività può disporre di essi e determinare il loro uso nella produzione. Va da sé che la collettività sarà in grado di esercitare il suo potere di disporre di tali strumenti solo creando un organo speciale adatto allo scopo. In questa sede è poco importante il problema della composizione di questo organo, e del come sarà articolato e rappresenterà la volontà collettiva. Si può assumere che la realizzazione di questa ultima esigenza dipenderà dalla scelta del personale e, quando non si tratti di un potere dittatoriale, dal voto della maggioranza dei membri della società.
Chi, possedendo beni di produzione, ha fabbricato beni di consumo, divenendone così il proprietario, nell’attuale regime, ha la scelta fra consumarli per suo conto o destinarli al consumo degli altri. La stessa scelta non è consentita alla collettività nel caso fosse proprietaria dei beni di consumo ottenuti con la produzione. Non può consumarli essa stessa; deve necessariamente permettere che siano altri a farlo. Chi debba consumarli e in che misura, costituisce il problema cruciale della distribuzione socialista.
È una caratteristica del socialismo che la distribuzione dei beni di consumo debba essere indipendente dal problema della produzione e dalle condizioni economiche in cui viene effettuata. Per la natura stessa della proprietà collettiva dei beni di produzione, è inconcepibile affidare anche solo una parte della distribuzione all’imputazione economica del rendimento dei fattori particolari della produzione. È assurdo parlare del godimento da parte del lavoratore del “prodotto integrale” del suo lavoro, e poi provvedere a una separata distribuzione delle parti che spettano ai fattori materiali della produzione. In effetti, come vedremo, è implicito nella stessa natura della produzione socialista che le parti spettanti ai fattori particolari della produzione non possono essere accertate nel dividendo nazionale, e che è impossibile stimare il rapporto fra la spesa e il reddito.
È per noi una considerazione di secondaria importanza quale sarà il metodo scelto per la distribuzione dei beni di consumo fra i diversi compagni. Sia che vengano ripartiti secondo i bisogni individuali, in modo che ne ottenga una quantità maggiore chi ha maggiori bisogni, sia che gli individui più capaci debbano riceverne di più di quelli meno capaci, sia che si ritenga ideale una distribuzione strettamente ugualitaria, o sia che il criterio debba essere quello del servizio reso allo Stato, non ha grande importanza rispetto al fatto che, comunque, la misura delle parti verrà compiuta dallo Stato.
Facciamo la semplice ipotesi che la distribuzione venga determinata in base al principio che lo Stato tratti allo stesso modo tutti i suoi membri; non è difficile concepire un certo numero di peculiarità quali l’età, il sesso, lo stato di salute, l’occupazione, ecc., in rapporto alle quali debba essere graduato quel che ognuno riceve. Ogni compagno ottiene un libretto di buoni redimibili, entro un certo periodo di tempo, contro una data quantità di certi beni specificati. E così può mangiare diverse volte al giorno, trovare un alloggio permanente, godere di qualche svago e ottenere di tanto in tanto un abito nuovo. Che la disponibilità per questi bisogni sia più o meno ampia dipende dalla produttività del lavoro sociale.
Inoltre non è necessario che ogni individuo consumi l’intera sua parte. Può lasciarne andare a male una certa quantità senza consumarla; può darla in regalo; e, se la natura dei beni lo permette, può anche accumularla per il futuro. E può anche scambiarne una parte. Il bevitore di birra cederà volentieri le bevande non alcoliche assegnategli se potrà ottenere in cambio una maggior quantità di birra, mentre l’astemio sarà disposto a cedere la sua parte di bevande se potrà ottenere in cambio altri beni. L’amatore di musica sarà disposto a cedere i suoi biglietti del cinematografo per ascoltare più spesso dei buoni concerti; il filisteo sarà lieto di cedere i biglietti per i concerti in cambio di altre opportunità di procurarsi piaceri più facilmente comprensibili. Tutti saranno ben felici di fare scambi. Ma oggetto di questi scambi saranno sempre beni di consumo. I beni di produzione, in uno Stato socialista, sono esclusivamente collettivi; sono una proprietà inalienabile della collettività e, di conseguenza, res extra commercium.
Così, in uno Stato socialista, lo scambio può operare liberamente solo entro stretti limiti; ma non occorre si realizzi sempre nella forma di scambio diretto. In uno Stato socialista le stesse ragioni che sono sempre esistite per l’effettuazione dello scambio indiretto continuerebbero a esistere, recando vantaggi a coloro che lo compiono. Ne segue che lo Stato socialista potrebbe permettere anche l’uso di un mezzo generale di scambio; cioè della moneta. Il suo ruolo in una società socialista sarebbe fondamentalmente eguale a quello che è in una società di concorrenza; in entrambe la moneta serve come mezzo generale di scambio. Tuttavia l’importanza della moneta in una società in cui gli strumenti della produzione siano controllati dallo Stato è differente da quella che ha in una società in cui essi siano posseduti dai singoli. Di fatto l’importanza sarebbe incomparabilmente più ridotta, dato che sarebbe più ridotto il numero delle cose soggette allo scambio, limitate ai soli beni di consumo. Inoltre, per il fatto stesso che nessun bene di produzione diverrebbe mai oggetto di scambio, sarebbe impossibile determinarne il valore monetario. In uno Stato socialista la moneta non potrebbe mai giocare il ruolo che gioca in una società di concorrenza nel determinare il valore dei beni di produzione. In tale campo i calcoli in termini di moneta sarebbero impossibili.
Le relazioni che risulterebbero da questo sistema di scambi fra compagni non potrebbero essere trascurate dai responsabili dell’amministrazione e della distribuzione dei prodotti. Essi dovrebbero assumere queste relazioni come base nei loro tentativi di distribuire i beni per abitante, in rapporto al loro valore di scambio. Se, per esempio, un sigaro divenisse ugua...

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