Guglielmo Ferrero antiprotezionista
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Guglielmo Ferrero (1871-1942), sociologo, storico, romanziere ed estensore del manifesto della Lega antiprotezionista, è stato uno dei principali intellettuali europei dell'epoca.Negli ultimi anni del XIX secolo, dopo essere stato radicale e socialista, si avvicinò al "Giornale degli economisti" diretto da Antonio De Viti de Marco. Fu allora che portò a maturazione la sua adesione al liberismo. Ferrero, assieme ad altri liberisti quali De Viti de Marco, Giretti e Pantaleoni, ricondusse al protezionismo e a una politica fiscale classista e antipopolare la causa delle dimostrazioni e dei tumulti che scoppiarono in Italia fin dagli ultimi mesi del 1897.In questo eBook vengono raccolti alcuni degli scritti più significativi di Ferrero, pubblicati tra il 1894 e il 1914, dai quali emerge con grande chiarezza la sua impostazione favorevole al libero scambio e la sua avversione verso politiche doganali di stampo protezionistico. L'antologia dei testi è anticipata da un saggio introduttivo di Luca Tedesco.Luca Tedesco è ricercatore confermato e insegna Storia contemporanea all'Università degli Studi Roma Tre. Sulla vicende economiche dell'Italia liberale, oltre a diversi saggi su riviste scientifiche, ha pubblicato "L'alternativa liberista. Crisi di fine secolo, antiprotezionismo e finanza democratica nei liberisti radicali (1898-1904)", Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003 e curato "Il canto del cigno del liberoscambismo: la Lega antiprotezionista e il suo primo convegno nazionale", Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2008.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2014
ISBN
9788864401751
Argomento
Economics

I diritti di una maggioranza, Il Secolo, 30 giugno-1 luglio 1899

 
 
Quante collere, in questi giorni, contro l’Estrema Sinistra?
Non si era mai veduto, in Italia, un così gran numero di giacobini e discepoli di Robespierre.
La maggioranza è signora, hanno detto costoro, in un regime parlamentare; e questa signoria è l’essenza, la grande superiorità delle istituzioni parlamentari sull’assolutismo: perciò, chi vuole impedire che la maggioranza dichiari la sua volontà è un fazioso, un ribelle, un demolitore per passatempo delle istituzioni parlamentari… Alla ghigliottina, dunque!
Ma è proprio vero che le istituzioni parlamentari siano grandi, provvide, civili solo perché per esse una maggioranza di qualche centinaio comanda su tutti? Se la eccellenza di un governo si misura dalla saviezza e giustizia delle sue leggi, bisognerebbe credere che un uomo, dopo che è entrato a far parte di una maggioranza parlamentare, venga ad essere ispirato, per miracolo, da una sapienza superiore, che lo fa senz’altro capace di ben governare i suoi simili!
La verità è che il potere delle maggioranze parlamentari può degenerare in tirannia, così come il potere assoluto di un monarca. La presunzione che le ingiustizie volute dalla maggioranza di un parlamento siano volute anche dalla maggioranza di un paese, non diminuisce l’odiosità del torto fatto alle vittime, sian pure queste pochissime; perché nessuna volontà di maggioranza, relativa o assoluta, può fare che sia giusto ciò che non è. Se dei 30 milioni di italiani, 28 milioni decretassero domani che sia in potere di ciascuno di loro di far tagliare la testa, ad libitum, a ciascuno dei restanti due milioni, il soverchiare di tanta maggioranza non toglierebbe nulla alla odiosità caligolesca del decreto.
Così una maggioranza parlamentare, composta di borghesi e gran signori del secolo XIX, può covare in sé tutti gli istinti regi e le passioni tiranniche di Luigi XIV. Ma dunque allora le istituzioni parlamentari valgono la monarchia assoluta? No: esse sono mille volte migliori; non però perché il potere di trecento uomini contenga in sé nessun maggior principio di saggezza o giustizia che il potere di un solo; ma perché, il governo parlamentare essendo un regime di discussione, la ragione e l’esperienza dimostrano che è più facile impedire o correggere le prepotenze e le ingiustizie delle maggioranze che sono tiranni sottoposti alla critica, e non già sacri e indiscussi, come i sovrani assoluti.
Le minoranze possono infatti gettarsi tra le maggioranze che, brandendo la spada del potere ed essendo quasi sempre agitate da istinti tirannici, cercano di ferire alla cieca i loro nemici e la  parte della nazione che è minacciata.
Ma questo intervento si fa di solito con la discussione e in qualche caso con la ostruzione; un procedimento che, usato a proposito, non è fazioso, né  ridicolo, né calamitoso; ma legittimo e benefico, perché può frenare utilmente le maggioranze troppo viziate dal soverchio potere. L’ostruzione è legittima ed utile soprattutto in due casi: quando cioè un partito che dispone di una piccolissima maggioranza, vuol approvare una riforma grave per le molte e grandi cose che muta; e la minoranza può, senza meritar rimprovero di faziosa, studiarsi di mettere alla prova la compattezza della piccola maggioranza. Così successe nel 1893-94 in Inghilterra, quando Gladstone, che disponeva di una maggioranza di 35 voti, propose la riforma degli ordinamenti municipali; e il partito conservatore cominciò l’ostruzione, giustificandola proprio con questo argomento: che la maggioranza liberale era troppo piccola per così gran riforma.
In altro caso l’ostruzione è legittima: quando una grossa maggioranza, approfittando del suo numero soverchiante, vuol mettere fuori legge o in condizioni di inferiorità legale la minoranza o i partiti che essa rappresenta. Allora la minoranza può impedire o rendere difficile la cieca e brutale tirannia del numero, obbligando la maggioranza a combatter non con il numero, ma con la pazienza, a dar prova della propria energia, oltreché della propria quantità.
Certo l’ostruzione è un’arma legittima soltanto nelle supreme battaglie: ma è anche certo che dell’opportunità di usarne il peggior giudice è il partito contro cui l’ostruzione è rivolta con successo… Quindi la indignazione presente di molti è un poco ingenua; e ingenuo è pure il disprezzo con cui si volle definirla un impedimento meccanico. Un partito non può far ostruzione a qualunque ora e per ogni argomento, come una vacca può dimenare furiosamente, a qualunque momento, la campana che le hanno attaccata al collo. L’ostruzione è la più difficile e faticosa di tutte le manovre parlamentari; un’opera viva di volontà, di ostinazione, di fede, che si compie, non con i muscoli della gola, ma con le forze dell’animo.
Perciò non è accidentale che per la prima volta, in quest’anno e in questa discussione, l’ostruzione sia riuscita molto bene all’Estrema Sinistra. Enrico Ferri è alla Camera da 13 anni; perché solo adesso ha mostrato le sue qualità di guerrigliero ostruzionista? I suoi amici si ritrovano da anni sugli stessi banchi, un poco stanchi della loro estrema fatica di Sisifo; perché hanno ad un tratto trovato tanta energia?
L’Estrema Sinistra, questa unione eterogenea di uomini diversissimi per età, storia, idee, sentimenti e condizioni sociali, venuti quasi direi da tutti i punti dell’orizzonte e ritrovatisi ora insieme a un crocicchio delle grandi strade del mondo; l’Estrema Sinistra comincia a raccogliere i frutti della strana condizione in cui è stata tanti anni. Di quei deputati si può dire ogni vituperio; si può dire che sono retori, straccioni, faziosi; che le critiche sono facili e le opere difficili; ma non si può negare che essi abbiano, in quasi tutte le questioni, avuto ragione dai fatti contro la maggioranza. Essi affermarono sempre che l’Italia non aveva vantaggio a guastarsi con la Francia ed ora la politica ufficiale ha riconosciuto in parte la giustezza di questa politica. Essi combatterono quasi soli le spese militari; ed ora anche i conservatori riconoscono, almeno in privato, che si è impoverito il paese spendendo alla cieca, senza dargli neanche un esercito. Essi si opposero alle conquiste africane; costrinsero il governo a frugar nei conti delle banche; difesero, sia pur con qualche contraddizione, il libero scambio contro il protezionismo….
Ora una minoranza ufficialmente spregiata e spesso perseguitata, ma che ha quasi sempre ragione contro la maggioranza, riceve presto o tardi la sua ricompensa; presto o tardi vede il suo potere mostrarsi pari, non al numero dei capi che la compongono, ma alla giustezza delle idee che stanno in quei capi. Il male della vita è immenso, ma una certa somma di giustizia è pure insita nelle cose; e perciò non è possibile che chi ha ragione sia sempre umiliato e maltrattato da chi ha torto. L’Estrema Sinistra si sente oggi sostenuta dall’approvazione, non del paese, ma di una parte del paese, che le è grata di aver difeso in tante occasioni la ragione e la giustizia. Il paese non approva e non biasima l’opera di quel partito; ma è diviso; e mentre una parte vedrebbe volentieri in carcere gli ostruzionisti, un’altra li ammira.
Questi sentimenti contrari stanno di fronte, irreducibili e inconciliabili per il momento; e purtroppo pare che molti vogliano lavorare con tutte le forze e esasperar la discordia, a renderla, per molti anni, atroce e inconciliabile.
 

Radicalismo antico e nuovo, Il Secolo, 8-9 dicembre 1899

 
 
Le elezioni amministrative di domenica prossima saranno, per certi rispetti, un avvenimento di importanza nazionale, perché se, come appare probabile, la lista dei cosiddetti partiti popolari sarà vincitrice, la città sarà data a governare a quel partito che si vuole chiamare radicale. E questo fatto conterà nella politica generale del paese, perché sarà come una prova considerevole di un partito, che forse potrà, in un lontano avvenire, essere in grado di fare molto, per il bene di tutta la nazione.
Questo partito, che è stato oggetto nel passato di odi e di assalti furiosi, che li ha ricambiati con odii e assalti altrettanto furiosi, che nella Camera e nel paese è stato sempre piccolo, ma ha saputo quasi sempre supplire alla piccolezza con l’energia e l’intelligenza di un certo numero dei suoi membri, ha avuto anch’esso le sue vicende, le sue trasformazioni interne, i suoi tempi di fortuna e di disgrazia.
Esso fu, nell’età eroica della rivoluzione, il partito degli audaci che tempestavano d’incitamento, d’ingiurie, e di urti il governo, per spingerlo a tagliar più diritto che fosse possibile, nei meandri e nei giri delle questioni diplomatiche, in cui più volte la rivoluzione rischiò di smarrire la sua via. Poi, compiuta l’unità, quando si tentò di fare quella singolare politica aulico-democratica a cui la Destra contribuì gli uomini suoi di minor carattere, e la Sinistra i più astuti ed ambiziosi; quando si volle rinnovare il governo d’anticamera, di corruzione e di intrigo, ma con i ministeri formati di antichi rivoluzionari a riposo, di far dei governi di palazzo con uomini di piazza, i radicali rappresentarono allora l’idealismo liberale e nazionale della rivoluzione, che non si acconciava a tante e così rapide delusioni e tradimenti dei fatti: cosa che li rese uggiosi a molti, i quali pure dovevano la loro fortuna ai principii di libertà e di nazionalità.
Ma in questa protesta essi parvero indebolirsi e quasi in procinto di sparire. Le elezioni generali del 1890 furono per loro una rotta. Presi tra due fuochi, i socialisti che facevano le prime prove combattendoli, e il governo, che lusingava i più malfermi e ne faceva uno strumento della politica di corruzione e reazione, essi sembravano perdere la ragione e la possibilità di esistere. I socialisti, nella baldanza della giovinezza, ancora inesperta, esclamavano: «via i partiti medii, noi e i conservatori ad oltranza!» E i conservatori, che per la memoria delle antiche lotte portavano ai radicali un odio che non portavano agli uomini nuovi del socialismo e non prevedevano la espansione dell’idea socialista, ripetevano con compiacenza: «Noi e i socialisti, che soli sono avversari degni di essere combattuti».
Oggi il partito radicale riprende forza; i suoi uomini, i suoi giornali, le sue idee acquistano nel paese favore e fiducia. Per qual ragione? Perché esso rappresenta ormai non più un’idea estrema, ma un’idea media, con la energia però con cui i partiti estremi affermano i loro programmi. Tra i socialisti e i fautori del colpo di Stato e della monarchia quasi assoluta, esso diventa il partito della libertà, politica ed economica, e la sua forza sarà di stare appunto in mezzo agli altri due; ma senza le incertezze, le restrizioni mentali e le ipocrisie in cui si smarriscono gli avanzi del partito liberale, che non si sentono di approvare il ritorno a un assolutismo dissimulato, ma non hanno il coraggio di dire e fare ciò che è necessario per impedire questa rovina politica.
Ripiglia forza ciò facendo il partito radicale, perché i due urgenti bisogni dell’Italia presente sono appunto che si riprenda sul serio il problema della libertà politica e le si dia maggior agio di lavorare. Sinora la libertà è stata da noi una bizzarra finzione costituzionale, grazie alla quale il potere esecutivo si è serbato il diritto di sciogliere società, impedir riunioni, far tacere oratori, sequestrar giornali, deportare avversari, sospendere le garanzie costituzionali, a suo piacere.
Noi non abbiamo nessun diritto pubblico, ma una confusione di arbitri nella quale ogni funzionario maneggia a piacere, contro i cittadini, l’arma pericolosa della ragione dello stato. Ora la libertà politica deve diventare, da finzione costituzionale, sentimento e pratica vivente della vita nazionale.
D’altra parte, il paese ha bisogno di arricchire, perché con quanto ora possiede non è abbastanza provvisto per pagare i suoi debiti, allevare i suoi bambini, mantenere i servizi pubblici, l’esercito e la marina, compiere il sistema delle proprie vie, mettere sull’avvenire altre ipoteche che quelle a rovescio dei debiti. Ma per accrescere la sua ricchezza, una nazione a civiltà antica e a popolazione fitta, che non possiede terre vuote e poche ricchezze naturali non tocche, non ha altro modo che fare il suo sistema di produzione più potente, togliendo via o mutando a poco a poco l’antico e più imperfetto. Disgraziatamente, da noi, questo sistema antico e più imperfetto rappresenta interessi già costituiti, di classi, di gruppi sociali, di famiglie potenti che sinora son troppo riescite, con una farraginosa legislazione di protezione, a impedire o a rendere difficile il rinnovamento del sistema di produzione che, arricchendo il paese, nuocerebbe per il momento a loro.
Il partito radicale, non poco seguendo le sue antiche tradizioni che lo fecero sempre favorevole a una politica di libero scambio, un poco accogliendo le conclusioni di un movimento intellettuale fattosi negli ultimi dieci anni da pensatori indipendenti, che ha spaventato invece i partiti costituzionali, troppo vecchi e troppo legati a difendere interessi di pochi, va diventando essenzialmente il partito che cerca di procurare in misura maggiore questi due beni- libertà politica ed economica; che potrà, cogliendo il suo momento, unire la borghesia e il popolo nel volere riforme che aumenteranno le ricchezze di quella, i salari di questo; accrescere, con la ricchezza e la libertà, la cultura e civiltà e quindi anche la potenza militare e diplomatica della nazione, pure, anzi specialmente combattendo gli aumenti di spese militari ciechi e disordinati; il partito della parte ardita, più indipendente della borghesia: ciò che fu il gladstonismo nell’Inghilterra. Il suo programma, che pareva invecchiato, ringiovanisce; che fu accusato di ideologia e di retorica, diventa pratico, nel senso più alto della parola; atto cioè a procurare il bene dell’intera nazione.
Per queste ragioni, arrivò per questo partito un’era di nuova alacrità e di nuova potenza, di cui le elezioni di domenica possono essere come il principio. Certo l’amministrazione di un comune non è un esercizio in cui si possa mostrar tutta la forza di un partito e di una idea. Il campo è angusto; gli strumenti sono imperfetti; il tema e il modo di svolgerli sono rigorosamente determinati da leggi talora arbitrarie. Ma se una brillante amministrazione di Milano farà acquistar fiducia in tutta l’Italia al programma politico del radicalismo; se diventerà una prova indiretta della solidità del programma di libertà verso cui converge ora lo spirito delle moltitudini, come quello dei pensatori, l’avvenimento sarà fausto nella storia politica di questi anni, così torbidi e confusi.
 

Le forze latenti dell’ostruzionismo, Il Secolo, 9-10 marzo 1900

Non è vero che, come scrivono i giornali e dicono gli uomini politici, una minoranza piccola potrebbe, con l’ostruzionismo, impedire ogni volta che volesse e per qualunque motivo, i lavori del parlamento. L’ostruzionismo, come tutte le forme di lotta è possibile e riesce solo in certe condizioni; e non durerebbe un’ora, anche se tentato da 200 persone contro 300, ma per cagioni frivole o per il malvagio diletto del disordine. Può invece durare settimane e mesi, anche se tentato da 50 contro 500, quando il motivo sia grande e grave.
L’ostruzione non è una lotta di mezzi meccanici atti a far perdere il tempo come i fischi, il rimbombo dei tavoli percossi, i clamori delle voci o i lunghi discorsi. È una lotta di ostinazioni, nella quale è vinto chi si stanca prima; e nella quale la minoranza deve, per non disarmarsi, possedere un’energia, che soltanto la causa per cui combatte può darle. Per questa ragione i conservatori farebbero meglio, invece di montar in tanta collera contro l’ostruzionismo, a domandarsi perché l’ostruzione abbia potuto fare e faccia prova di una energia e di una tenacia così rare nelle nostre lotte parlamentari.
Da una parte e dall’altra si afferma spesso che il paese è per o contro l’ostruzionismo. Ma la parola è forse troppo vaga. Se s’intende per paese la maggioranza numerica degli italiani, potrebbero aver ragione i giornali reazionari quando affermano che al paese importa poco di veder respinte le leggi politiche; purché aggiungessero che non gli importa nemmeno che siano approvate. La folla osserva l’ostruzionismo come una sfida di lotta in teatro o il litigio di due comari a mercato: gli uni ridendo e divertendosi, gli altri invece un po’ disgustati…
Ma sopra questo sta un altro paese, meno numeroso: le forze sociali politicamente attive, che prendono o vogliono prendere parte al governo del paese, per far prevalere certe idee o difendere certi interessi. Ora, osservando questo paese, non è difficile scorgere d’onde siano derivate le forze latenti dell’ostruzionismo; quale incantesimo ha fatto comparire ad un tratto, sulla porta delle libertà statutarie questo drago ignivomo, contro il quale non si è ancora trovato il San Giorg...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Guglielmo Ferrero e l’antiprotezionismo militante
  3. da Il fenomeno Crispi e la crisi italiana
  4. Tormenti e tormentati, Il Secolo, 8-9 ottobre 1897
  5. Dal passato all’avvenire, da Il militarismo. Dieci conferenze
  6. da L’Europa giovane
  7. Le condizioni dell’Italia, Giornale degli economisti, giugno 1898
  8. I partiti, Il Secolo, 23 dicembre 1898
  9. La ragione dell’ostruzionismo, Il Secolo, 6-7 giugno 1899
  10. I diritti di una maggioranza, Il Secolo, 30 giugno-1 luglio 1899
  11. Radicalismo antico e nuovo, Il Secolo, 8-9 dicembre 1899
  12. Le forze latenti dell’ostruzionismo, Il Secolo, 9-10 marzo 1900
  13. La Sinistra, Il Secolo, 8-9 aprile 1900
  14. I due partiti, Il Secolo, 18-19 maggio 1900
  15. Dopo la vittoria, Il Secolo, 8-9 giugno 1900
  16. La decadenza delle nazioni latine, Il Secolo, 16-17 giugno 1900
  17. Uomini e tempi nuovi, Il Secolo, 6-7 luglio 1900
  18. Il regno di Umberto, Il Secolo, 10-11 agosto 1900
  19. A proposito di colonizzazione interna, Il Secolo, 24-25 settembre 1900
  20. I contadini, Il Secolo, 1-2 marzo 1901
  21. Una questione vitale, Il Secolo, 13-14 settembre 1901
  22. I popolari, Il Secolo, 26-27 novembre 1901
  23. Protezionismo tedesco, Il Secolo, 3-4 novembre 1902
  24. Industria e militarismo, Il Secolo, 10-11 giugno 1903
  25. In memoria di Riccardo Cobden, Il Secolo, 7-8 giugno 1904
  26. Contro il protezionismo, Avanguardia socialista, 6 agosto 1904
  27. da Fra i due mondi
  28. Indice dei nomi