Sul commercio e sulla civiltà
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David Hume è noto soprattutto come filosofo: l'ultimo grande rappresentante dell'empirismo britannico di Sei e Settecento, il difensore di una teoria della conoscenza focalizzata sui fenomeni, il negatore delle nozioni di sostanza e causalità, l'interprete di una teoria morale che pone al centro le emozioni. Ma egli è stato anche un importante economista e un attento analista della vita politica.Nei tre saggi qui riuniti ("Sul commercio", "Sulla bilancia commerciale" e "Sulla rivalità nel commercio") Hume presenta le sue idee in difesa del libero scambio e mostra la fragilità degli assunti che erano alla base delle analisi e delle politiche mercantiliste. Non soltanto egli sottolinea come l'atto dello scambiare beni e servizi sia essenziale allo sviluppo della civiltà, che si basa su specializzazione e divisione del lavoro, ma rileva quanto sia contestabile l'ossessione – caratteristica degli intellettuali schierati a difesa dello Stato assoluto – sulla bilancia dei pagamenti.Per Hume lo sviluppo delle relazioni commerciali è essenzialmente positivo in varie direzioni: per gli attori economici del Paese che si apre a un'economia globale (che grazie agli scambi sviluppano le proprie potenzialità), per le sue istituzioni politiche (che possono trarre solo beneficio da tanta prosperità), per le altre nazioni (che entrano in una competizione non conflittuale e distruttiva, ma destinata a migliorare tutti).

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2015
ISBN
9788864402048
Argomento
Economics

Sulla bilancia commerciale

Accade molto spesso, in nazioni che ignorano la natura del commercio, che venga proibita l’esportazione delle merci e che venga tenuto per sé tutto ciò che si ritiene prezioso o utile. Non comprendono che con questa proibizione agiscono in maniera direttamente contraria ai loro intenti, e che tanto più si esporta un bene, tanto più se ne produrrà in patria, e gli stessi avranno sempre la migliore qualità offerta.
Gli studiosi ben sanno che le antiche leggi di Atene trattavano come un reato l’esportazione di fichi; si pensava che questa frutta nell’Attica fosse estremamente eccelsa; al punto tale che gli Ateniesi la giudicavano eccessivamente raffinata per il palato di qualsiasi straniero. Essi prendevano tanto sul serio questa assurda proibizione, che fra di loro le spie venivano chiamate sicofanti, da due parole greche che significavano fichi e scopritore.{7} Vi sono numerose prove negli antichi atti del parlamento della medesima ignoranza della natura del commercio, in particolare durante il regno di Edoardo III. E ancora oggi in Francia si è quasi sempre vietata l’esportazione del grano al fine, loro sostengono, di evitare carestie, nonostante sia evidente che nulla favorisca di più le frequenti carestie che tanto affliggono quella copiosa nazione.
Allo stesso modo, in molte nazioni è prevalsa la stessa invidiosa paura nei confronti del denaro, e sono state necessarie sia la razionalità sia prove empiriche per convincere un popolo che queste proibizioni servono soltanto a elevare il tasso di cambio a loro svantaggio e a causare un livello di esportazioni persino superiore a prima.
Si può facilmente comprendere come questi errori siano grossolani e palesi: ma prevale tuttora, anche in nazioni molto esperte nei traffici commerciali, una forte preoccupazione nei confronti della bilancia commerciale e la paura che tutto il loro oro e argento li possano abbandonare. Questo, quasi sempre, mi è sembrato un timore infondato: temere che il denaro lasci un paese dove vi sono abitanti e attività economiche sarebbe lo stesso che temere che tutte le nostre fonti d’acqua e i nostri fiumi si asciugassero. Limitiamoci a mantenere con cura questi vantaggi (competitivi), e non dovremo mai preoccuparci di perdere il denaro.
È facile notare che tutti i calcoli sulla bilancia commerciale sono fondati su fatti molto incerti e su supposizioni. Si dovrà ammettere che i libri mastri della dogana sono una base insufficiente per giudicare, e che il tasso di cambio non è tanto più sicuro, a meno che non lo si consideri con rispetto a tutte le nazioni e non si conoscano inoltre le proporzioni delle varie somme scontate, una quantità di informazioni che, di sicuro, si può considerare impossibile da conoscere. Chiunque abbia mai discusso su questo tema, ha sempre testato le proprie ipotesi, qualunque esse fossero, con fatti, calcoli e con l’elencazione di tutti i beni spediti a ciascun paese estero.
Le opere del signor Gee disseminarono panico ovunque nella nazione, quando asserirono, come se fosse completamente provato, con dovizia di particolari, che la bilancia commerciale era a essa sfavorevole per una somma tale che l’avrebbe necessariamente lasciata senza un singolo scellino nel giro di cinque o sei anni. Ma fortunatamente sono passati da allora vent’anni, c’è stata una dispendiosa guerra all’estero, e ciononostante si ritiene comunemente che, fra noi, il denaro sia ancor più abbondante che in qualsiasi altro periodo storico antecedente.
Niente è più ilare a tal proposito del dottor Swift; un autore molto rapido ad accorgersi degli errori e delle assurdità altrui. Egli scrive, nella sua Breve analisi della situazione irlandese, che l’intera valuta di questo Stato ammontava in precedenza a 500.000 sterline, che con essa gli Irlandesi ogni anno pagavano un netto di un milione di sterline all’Inghilterra e che difficilmente disponevano di un’altra fonte con cui ripagare (le passività) e di ben poco commercio estero al di là dell’importazione dei vini francesi, per i quali pagavano valuta corrente. La conseguenza di questa situazione che, va ammesso, era svantaggiosa, sarebbe stata quella di ridurre nel corso di tre anni il denaro circolante in Irlanda da 500.000 sterline a meno di 200.000. E, del resto, io ritengo che nel corso di trent’anni ciò sia assolutamente un’inezia. Tuttavia, non so come, l’idea di un aumento della ricchezza irlandese, che fece tanto indignare il Dottore, pare affermarsi e ottenere il consenso di tutti.
In breve, questo timore della bilancia commerciale sfavorevole è di tal fatta, che si presenta quando si è malcontenti del governo o depressi d’umore; e, dato che non può mai essere confutato con una esposizione dettagliata e particolareggiata di tutte le esportazioni che controbilanciano le importazioni, è probabilmente opportuno elaborare un argomento d’indirizzo generale che provi l’impossibilità di questo evento, fintantoche conserviamo la nostra popolazione e la nostra impresa.
Si supponga che quattro quinti di tutto il denaro che si trova in Gran Bretagna venga distrutto in una sola notte, e che la nazione, per quanto riguarda la moneta, venga ridotta nello stesso stato in cui si trovava sotto i regni degli Enrichi e degli Edoardi: cosa ne conseguirebbe? Non deve diminuire proporzionalmente il prezzo di tutto il lavoro e di ogni merce, e tutto deve esser venduto a buon mercato, come in quell’epoca? Quale nazione potrà allora competere con noi su di un qualsiasi mercato estero, o pretendere di spedire o vendere manufatti allo stesso prezzo che a noi garantirebbe un profitto sufficiente? Quanto rapidamente, quindi, ciò attirerà nuovamente, per forza di cose, il denaro che abbiamo perduto e ci risolleverà al livello di tutte le nazioni vicine? Una volta raggiunto tale livello, perdiamo immediatamente il vantaggio costituito dal basso prezzo del lavoro e delle merci, e ogni ulteriore afflusso di denaro è impedito dalla nostra ricchezza e saturazione.
Si supponga ancora che tutto il denaro della Gran Bretagna venga quintuplicato in una notte: non ne segue forse necessariamente l’effetto contrario? Tutto il lavoro e le merci aumenterebbero a un tale esorbitante livello che nessuna delle nazioni confinanti potrà permettersi di acquistarle, mentre d’altra parte le loro merci diventerebbero così a buon mercato, rispetto alle nostre, che, nonostante tutte le leggi potenzialmente istituibili, ci invaderebbero e il nostro denaro scorrerebbe via, fino al punto che ritorneremmo a livello degli stranieri e perderemmo quella grande abbondanza di moneta che ci ha recato questi svantaggi?
Ora, è evidente che le stesse cause che avrebbero corretto queste eccessive disparità nel caso si fossero miracolosamente verificate, impediscono, per forza di cose, il loro verificarsi nel normale corso della natura e mantengono sempre il denaro nelle nazioni limitrofe in proporzione alle tecniche e alla industriosità di ciascun paese. L’acqua, se contenuta in vasi comunicanti, si mantiene sempre allo stesso livello. Chiedetene ragione ai naturalisti: essi vi diranno che se in un punto qualsiasi il liquido salisse, la maggiore gravità su quel punto, non essendo controbilanciata, abbasserebbe il liquido finché non si raggiunge l’equilibrio. E vi diranno che la stessa causa che corregge lo squilibrio quando questo si verifica, lo previene sempre e di sicuro, senza bisogno di alcun drastico intervento esterno.{8}
Si può forse pensare che sarebbe mai stato possibile, con qualunque legge, espediente, o azione, trattenere in Spagna tutto il denaro che i galeoni avevano portato dalle Indie? O che si potessero vendere in Francia tutte le merci per un decimo del prezzo che avrebbero avuto dall’altra parte dei Pirenei, senza trovare un canale di scambio e senza assorbire quell’immensa ricchezza? Per quale altro motivo infatti oggi tutte le nazioni guadagnerebbero con il commercio con la Spagna e il Portogallo, se non in virtù del fatto che è impossibile accumulare denaro, come un qualunque liquido, al di sopra del livello naturale? I sovrani di queste nazioni hanno mostrato di non essere privi del desiderio di conservare il loro oro e argento per sé stessi, se mai ciò fosse stato in qualche modo fattibile.
Ma come qualsiasi corpo liquido può essere portato al di sopra del livello dell’elemento che lo circonda, solo se il primo non ha comunicazione con quest’ultimo, lo stesso vale per il denaro; qualora la comunicazione sia impedita da un qualunque ostacolo materiale o fisico (in quanto le sole leggi sono inefficaci), in tal caso può verificarsi una grandissima sproporzione. Pertanto l’immensa distanza della Cina, congiuntamente ai monopoli delle nostre compagnie delle Indie, ostruendo la comunicazione, conservano in Europa l’oro e l’argento, e specialmente quest’ultimo, in quantità ben maggiori di quelle che si trovano nell’altro regno. Ma, nonostante questo grande...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Sull’autore
  3. Sul commercio
  4. Sulla bilancia commerciale
  5. Sulla rivalità nel commercio
  6. Date
  7. Vita e opere
  8. Bibliografia