La municipalizzazione del pane a Palermo nei secoli XVII e XVIII
I
Può sembrare strano a prima vista che la Municipalizzazione del servizio del pane, la quale per molti rappresenta un’aspirazione dell’avvenire, abbia funzionato a Palermo per lungo tempo in epoca che, se non è remota, certo appartiene al passato. Ma più strano ancora è il fatto che di questo avvenimento, che ha la sua indiscutibile importanza storica e che avrebbe dovuto attirare l’attenzione degli studiosi dei problemi sociali ed economici, nessuno degli scrittori contemporanei siasi finora, a mia conoscenza, occupato.
Eppure è certo che le storie, le cronache ed i diari, dai quali ho attinto le notizie che sommariamente mi accingo ad esporre, non sono ignoti od inediti e sono anzi passati per le mani di centinaia di lettori. È vero che la storia della Sicilia, specialmente quella dell’epoca spagnuola e borbonica, è poco nota nell’Italia continentale, ma essa invece viene con vero amore coltivata dai nativi dell’isola. E se molte ricerche sono state a preferenza rivolte alla storia militare, a quella del diritto pubblico e privato o alla genealogia delle antiche famiglie siciliane, gli studi sulle condizioni e sui costumi delle plebi e sui fatti storici ai quali esse parteciparono non sono trascurati. Difatti è abbastanza nota ai Siciliani colti l’organizzazione delle maestranze{1} artigiane di Palermo, la quale durò dal secolo decimosesto a tutto il decimottavo, e la rivolta popolare di Palermo del 1647 venne illustrata da una buona monografia di Isidoro La Lumia. Finalmente neanche si può dire che la storia economica della Sicilia sia rimasta inesplorata dopo le pubblicazioni del Cusumano sulle Banche siciliane dell’epoca spagnuola e gli studi statistici che sulla stessa epoca fece Francesco Maggiore Perni.
Se dunque la Municipalizzazione del pane, la quale funzionò così lungamente a Palermo da esserne rimaste tracce che ancor si ritrovano negli usi e nei modi di dire popolari, non è stata ancora illustrata da alcuno scrittore, io credo che ciò sia avvenuto perché esisteva la cosa ma non la parola, o meglio perché i termini adoperati ad indicare l’istituzione erano molto diversi da quelli moderni. Il buon Di Blasi ed il Villabianca, ad esempio, che scrissero sullo scorcio del secolo decimottavo, ci parlano sempre di colonna frumentaria, di partiti, della tratta, della meccanica, espressioni quasi tutte oscure e di cui non s’intende, a prima vista, il significato convenzionale che alla loro epoca avevano acquistato e che non si è conservato né nella lingua, né nel dialetto. Sotto questi vocaboli strani ed eterocliti,{2} che vagamente facevano supporre meccanismi amministrativi tramontati per sempre, lo studioso, specialmente se poco versato nelle discipline economiche, non è riuscito ad indovinare l’istituzione novissima della quale appena da qualche decennio si comincia a parlare e che solo i più arditi novatori vorrebbero immediatamente attuare.
II
L’anno nel quale fu accolta ed attuata a Palermo l’idea di fare della compra del grano, della manipolazione e della vendita del pane una funzione assegnata al Comune non ho potuto precisamente stabilire. Un documento ufficiale, che ha il torto però di essere posteriore di due secoli al fatto vagamente indicato, autorizzerebbe a supporre che essa già esisteva nel 1576. Diversi indizi confermano tale congettura e, sebbene sia molto probabile che una simile funzione sia stata assunta dal Comune per gradi e non sia nata tutta in una volta, credo di non errare di molto affermando che essa era già in pieno vigore a Palermo alla fine del secolo decimosesto. È storicamente accertato poi che nel 1647 la Municipalizzazione del pane nella capitale della Sicilia era un fatto già antico, la cui origine andava al di là della memoria dei viventi.
Maggiore importanza ha l’indagare quali siano state le condizioni peculiari della società palermitana, le quali fecero sì che l’istituzione di cui discorriamo venisse adottata e durasse per secoli.
E qui mi è d’uopo di uscire alquanto dal tema ristretto che sto trattando per gettare un rapido sguardo sulla storia siciliana dell’epoca spagnuola.{3}
Nei trattati di storia che corrono ad uso delle scuole secondarie ed anche in lavori di autori di grido, il periodo che va dalla seconda metà del secolo decimosesto al principio del decimottavo, durante il quale l’influenza diretta od indiretta della Spagna prevalse nella nostra penisola, è segnalato per l’Italia come un periodo d’uniforme immobilità, di decadenza artistica, intellettuale e sociale. La meritatissima popolarità dei Promessi Sposi ha pure molto contribuito ad imprimere questo concetto nella coscienza di tutti gli Italiani odierni, per i quali l’epoca spagnuola è senz’altro ed esclusivamente quella dei bravi, della peste e della carestia.
Un simile giudizio non è esatto o almeno non è applicabile a tutta l’epoca della prevalenza spagnuola in Italia. Anzitutto, per ben giudicare un periodo storico, si deve paragonarlo non solo a quello immediatamente posteriore, ma anche a quello immediatamente anteriore, ed un paragone di questo genere metterebbe subito in chiaro che bravi, peste e carestia esistevano in Italia anche prima che gli Spagnuoli vi dominassero. In secondo luogo, se si studiano attentamente i centocinquanta anni che corrono dalla metà del secolo decimosesto al principio del decimottavo, si constata che, almeno nei primi cinquanta, l’Italia compì sensibili progressi sociali. La legislazione, infatti, per quanto ancora imperfetta, contenne disposizioni dirette al bene comune, che certo furono anche più osservate che nei secoli precedenti; alcune industrie divennero più attive, la prepotenza privata fu tenuta un po’ meglio in rispetto, sorsero molti edifici pubblici, le nostre città compirono molti abbellimenti edilizi e miglioramenti igienici, molte opere pie si fondarono a pro delle classi diseredate, la popolazione e la ricchezza dovettero alquanto aumentare. Giuseppe Ferrari, uno degli scrittori che meglio ha avuto l’intuito delle condizioni sociali dei secoli scorsi, ebbe già a rilevare questo progresso relativo che l’Italia compì verso la fine del cinquecento.
Invece è col principiare del secolo decimosettimo che troviamo non già un regresso ma una certa immobilità in Italia ed in tutta l’Europa meridionale, la quale dura per tutto quel secolo e nei primi decenni di quello seguente. Immobilità che rappresenta un fenomeno storico molto grave e caratteristico, poiché contemporaneamente facevano rapidissimi progressi i paesi posti verso il nord-ovest d’Europa: l’Inghilterra, la Francia, l’Olanda e la Germania. Fu proprio allora che il Mezzogiorno di Europa venne risolutamente lasciato indietro e da allora in poi la distanza perduta non ha più potuto riguadagnare. Sicché è appunto nei cento anni che corrono dal 1620 al 1720 che bisogna rintracciare le origini della presente inferiorità del Portogallo, della Spagna e dell’Italia e specialmente dell’Italia meridionale, più lontana dal centro di Europa e che con esso ha avuto minori rapporti e nella quale quindi la cennata immobilità secolare si è più accentuata.
III
La Sicilia, specialmente nella seconda metà del cinquecento, ebbe un period...