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La legge di Frédéric Bastiat ha avuto, specialmente in America, una diffusione davvero straordinaria nell'ultimo mezzo secolo, e questo non a caso. Si tratta di uno dei testi più classici ed efficaci del liberalismo ottocentesco di tradizione lockiana. In queste pagine del 1850 il pensatore francesedifende, di fronte alle pretese dello Stato, il carattere naturale dei diritti individuali e il ruolofondamentale della proprietà nella tutela della libertà dei singoli. La condanna del legalismo sisposa con il rigetto dello statalismo, perché – a giudizio di Bastiat – è riducendo il diritto alla semplice legge che il potere è in condizione di dilatare in maniera illimitata il proprio dominiosull'intera società.Frédéric Bastiat (1801-1850) è stato uno dei protagonisti di quell'importante scuola di economisti liberali francesi a cui hanno appartenuto, tra gli altri, anche Turgot, Jean-Baptiste Say e Charles Dunoyer. Con i suoi brillanti articoli e i ponderosi volumi (da Cobden et la ligue a Les Harmonies économiques, dai Sophismes économiques ai Petits pamphlets), Bastiat si è battuto contro la crescente collettivizzazione dell'economia del suo tempo e contro il nazionalismo protezionista di chi rigettava il laissez-faire.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2013
ISBN
9788864401799
Argomento
Filosofia

La legge

La Legge pervertita! La Legge – e di conseguenza tutte le forze collettive della nazione – la Legge, dico, non solamente sviata dal suo scopo, ma applicata a perseguire uno scopo direttamente contrario! La Legge divenuta strumento di tutte le cupidigie, invece di esserne il freno! La Legge che esercita essa stessa l’iniquità che aveva la missione di punire! Certo, questo è un fatto grave, se è vero, un fatto sul quale deve essermi permesso di richiamare l’attenzione dei miei concittadini.
Noi abbiamo ricevuto da Dio il dono che per noi tutti li racchiude, la Vita – la vita fisica, intellettuale e morale.
Ma la vita non si sostiene da sola. Chi l’ha data ci ha lasciato l’impegno di mantenerla, di svilupparla, di perfezionarla.
Per questo, ci ha fornito un insieme di Facoltà meravigliose; ci ha immerso in un ambiente di elementi diversi. Con l’applicazione delle nostre facoltà a quegli elementi si realizza il fenomeno dell’Assimilazione, dell’Appropriazione, attraverso cui la vita percorre il circolo che le è assegnato.
Vita, Facoltà, Assimilazione – in altri termini, Persona, Libertà, Proprietà, – ecco l’uomo.
Di queste tre cose si può dire, al di fuori di ogni sottigliezza demagogica, che sono anteriori e superiori a ogni legislazione umana.
Non è perché gli uomini hanno emanato delle Leggi che la Persona, la Libertà e la Proprietà esistono. Al contrario, è perché la Persona, la Libertà e la Proprietà preesistono, che gli uomini fanno le Leggi.
Che cos’è dunque la Legge? Come ho detto altrove,{1} è l’organizzazione collettiva del Diritto individuale di legittima difesa.
Ciascuno di noi riceve certamente dalla natura, da Dio, il diritto di difendere la sua Persona, la sua Libertà, la sua Proprietà, poiché sono i tre elementi che costituiscono o conservano la Vita: elementi che si completano l’un l’altro e che non si possono comprendere l’uno senza l’altro. Infatti, cosa sono le nostre Facoltà se non un prolungamento della nostra Personalità, e cosa è la Proprietà se non un prolungamento delle nostre Facoltà?
Se ogni uomo ha il diritto di difendere, anche con la forza, la sua Persona, la sua Libertà, la sua Proprietà, molti uomini hanno il Diritto di mettersi d’accordo, di intendersi, di organizzare una Forza comune per provvedere regolarmente a questa difesa.
Il Diritto collettivo trova quindi il suo principio, la sua ragion d’essere, la sua legittimità, nel Diritto individuale; e la Forza comune non può aver razionalmente altro scopo e altra missione che quella stessa delle forze isolate alle quali si sostituisce.
Così, come la Forza di un individuo non può legittimamente attentare alla Persona, alla Libertà o alla Proprietà di un altro individuo, per la stessa ragione la Forza comune non può essere legittimamente applicata a distruggere la Persona, la Libertà o la Proprietà degli individui o delle classi.
Poiché questa perversione della Forza sarebbe, in un caso come nell’altro, in contraddizione con le nostre premesse. Chi oserà dire che la Forza ci è stata data non per difendere i nostri Diritti ma per annientare gli identici Diritti dei nostri fratelli? E se questo non è vero di ogni forza individuale, che agisca isolatamente, come potrebbe essere vero della forza collettiva che è solo l’unione organizzata delle forze isolate?
Perciò, se c’è una cosa evidente, è questa: la Legge è l’organizzazione del Diritto naturale di legittima difesa; è la sostituzione della forza collettiva alle forze individuali, per agire nell’ambito in cui queste hanno il diritto di agire, per fare ciò che queste hanno il diritto di fare, per garantire le Persone, le Libertà, le Proprietà, per mantenere ciascuno nel suo Diritto, per far regnare tra tutti la GIUSTIZIA.
E se esistesse un popolo costituito su questa base, mi sembra che l’ordine vi prevarrebbe nei fatti come nelle idee. Mi sembra che questo popolo avrebbe il governo più semplice, più economico, meno pesante, meno sentito, meno caricato di responsabilità, più giusto, e di conseguenza il più solido che si possa immaginare, qualunque fosse la sua forma politica.
Poiché, sotto un tale regime, ciascuno comprenderebbe bene che ha tutta la pienezza come tutta la responsabilità della sua Esistenza. A condizione che la persona fosse rispettata, il lavoro libero e i frutti del lavoro garantiti contro ogni ingiusto danno, nessuno avrebbe niente a che spartire con lo Stato. È vero che, felici, non dovremmo ringraziarlo dei nostri successi; ma anche che, infelici, non ce la potremmo prendere con lui per i nostri rovesci, non più dei nostri contadini che di certo non gli attribuiscono la grandine o le gelate. Noi non lo conosceremmo che per l’inestimabile beneficio della SICUREZZA.
Si può affermare ancora che, grazie al non intervento dello Stato negli affari privati, i Bisogni e le loro Soddisfazioni si svilupperebbero nell’ordine naturale. Non si vedrebbero le famiglie povere cercare l’istruzione letteraria prima di avere del pane. Non si vedrebbe la città popolarsi a scapito delle campagne, o le campagne a scapito delle città. Non si vedrebbero quei grandi spostamenti di capitali, di lavoro, di popolazione, provocati dalle misure legislative, spostamenti che rendono così incerte e precarie le fonti stesse dell’esistenza, e aggravano in questo modo, in così grande misura, la responsabilità dei governi.
Purtroppo, la Legge non è rimasta ferma nel suo ruolo. Neppure se ne è discostata solamente su questioni neutrali e discutibili. Essa ha fatto peggio: ha agito contrariamente al proprio fine; ha distrutto il proprio scopo; si è applicata ad annientare quella Giustizia che doveva far regnare, a cancellare, tra i Diritti, quel limite che era sua missione far rispettare; la Legge ha messo la forza collettiva al servizio di coloro che vogliono sfruttare, senza rischio né scrupolo, la Persona, la Libertà o la Proprietà altrui; ha convertito la Spoliazione in Diritto, per proteggerla, e la legittima difesa in crimine, per punirla.
Come si è compiuta questa perversione della Legge? Quali sono state le conseguenze?
La Legge si è pervertita sotto l’influenza di due cause ben differenti: l’egoismo ottuso e la falsa filantropia.
Parliamo della prima causa.
Conservarsi, svilupparsi, è aspirazione comune a tutti gli uomini, in tal modo che se ciascuno avesse il libero esercizio delle proprie facoltà e della libera disponibilità del proprio prodotto, il progresso sociale sarebbe incessante, ininterrotto, infallibile.
Ma c’è anche un’altra aspirazione comune a tutti gli uomini. È vivere e svilupparsi, quando possono, a spese gli uni degli altri. Non si tratta di un’accusa azzardata, che nasce da uno spirito triste e pessimista. La storia la dimostra con le guerre continue, le migrazioni dei popoli, le oppressioni clericali, l’universalità della schiavitù, le frodi industriali e i monopoli di cui gli annali sono riempiti.
Questa disposizione funesta nasce dalla costituzione stessa dell’uomo, da quel sentimento primitivo, universale, invincibile, che lo spinge verso il benessere e gli fa fuggire il dolore.
L’uomo non può vivere ed essere felice che attraverso un’assimilazione e un’appropriazione perpetua, cioè attraverso una continua applicazione delle sue facoltà alle cose, cioè attraverso il lavoro. Da qui la Proprietà.
Ma, in effetti, l’uomo può vivere e godere anche assimilando e appropriandosi del prodotto delle facoltà del suo simile. Da qui la Spoliazione.
Ora, poiché il lavoro è per se stesso una pena e poiché l’uomo è per natura portato a fuggire le pene, ne segue, la storia è lì a provarlo, che ovunque la spoliazione sia meno onerosa del lavoro, essa prevale; essa prevale senza che né religione né morale possano, in questo caso, impedirlo.
Quando si ferma la spoliazione? Quando diventa più onerosa e più pericolosa del lavoro.
È ben evidente che la Legge dovrebbe aver lo scopo di opporre il potente ostacolo della forza collettiva a questa funesta tendenza; che essa dovrebbe prender partito per la Proprietà contro la Spoliazione.
Ma la Legge è fatta, la maggior parte delle volte, da un uomo o da una classe di uomini. E giacché la Legge non esiste senza una sanzione, senza l’appoggio di una forza superiore, non si può escludere che essa non metta in definitiva questa forza nelle mani di chi legifera.
Questo fenomeno inevitabile, combinato con la funesta inclinazione che abbiamo constatato nel cuore dell’uomo, spiega la perversione quasi universale della Legge. Si capisce come, invece di essere un freno all’ingiustizia, essa ne divenga uno strumento, anzi il più invincibile strumento. Si comprende che, secondo la forza del legislatore, essa distrugge a suo profitto e in diversi gradi, presso il resto degli uomini, la Personalità con la schiavitù, la Libertà con l’oppressione, la Proprietà con la spoliazione.
È nella natura degli uomini reagire contro l’iniquità di cui sono vittime. Quando dunque la Spoliazione è organizzata dalla Legge, a profitto delle classi che la fanno, tutte le classi vittime di spoliazione tendono, per vie pacifiche o per vie rivoluzionarie, a partecipare in qualche modo alla produzione delle Leggi. Queste classi, secondo il grado di lumi cui sono giunte, possono proporsi due scopi ben differenti quando perseguono la conquista dei loro diritti politici: o vogliono far cessare la spoliazione legale, o aspirano a prendervi parte.
Infelici, infelicissime le nazioni dove quest’ultimo pensiero domina nelle masse, nel momento in cui esse s’impadroniscono a loro volta del potere legislativo!
Fino a quel momento la spoliazione legale era esercitata dai pochi a danno dei molti, come si vede presso i popoli dove il diritto di legiferare è concentrato in poche mani. Appena quel diritto diventa universale, si cerca l’equilibrio nella spoliazione universale. Invece di estirpare ciò che la società conteneva d’ingiustizia, si generalizza. Appena le classi diseredate hanno recuperato i loro diritti politici, il primo pensiero che le assale non è di liberarsi della spoliazione (ciò supporrebbe in esse dei lumi che non possono avere), ma di organizzare, contro le altre classi e a proprio detrimento, un sistema di rappresaglia, come se occorresse, prima che arrivi il regno della giustizia, che una crudele punizione venisse a colpirle tutte, le une per la loro iniquità, le altre per la loro ignoranza.
Non poteva perciò introdursi nella Società un cambiamento e una sfortuna più grandi di questa: la Legge che si converte in strumento di spoliazione.
Quali sono le conseguenze d’un tale disastro? Ci vorrebbero volumi per descriverle tutte. Contentiamoci di indicare quelle più importanti.
La prima è cancellare nelle coscienze la nozione del giusto e dell’ingiusto.
Nessuna società può esistere se il rispetto delle Leggi non vi regna in qualche grado; ma la cosa più sicura, affinché le Leggi siano rispettate, è che siano rispettabili. Quando la Legge e la Morale sono in contraddizione, il cittadino si trova nella crudele alternativa o di perdere la nozione di Morale o di perdere il rispetto della Legge, due disgrazie altrettanto grandi e tra le quali è difficile scegliere.
È talmente nella natura della Legge il far regnare la Giustizia, che Legge e Giustizia son tutt’uno nello spirito delle masse. Abbiamo tutti una robusta predisposizione a guardare ciò che è legale come legittimo, al punto che molti fanno erroneamente derivare la giustizia d...

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