La scuola austriaca di economia
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La scuola austriaca di economia

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Fondata da Carl Menger a Vienna nella seconda metà dell'Ottocento, la Scuola austriaca di economia (che è detta "austriaca" anche se ormai i suoi maggiori autori vengono da altri Paesi) ha interpretato e continua a interpretare orientamenti quanto mai radicali, spesso alternativi rispetto al mainstream.Come Eamonn Butler evidenzia, l'insieme degli studiosi che si riconoscono in questa tradizione di pensiero condivide alcuni punti fermi: la teoria del valore soggettivo (che riconduce il valore al giudizio che i singoli attori economici esprimono su questo bene o servizio), una visione dinamica del mercato quale processo di scoperta, una forte enfasi sui prezzi emergenti dagli scambi quali veicoli d'informazione, una teoria del ciclo economico che punta il dito sulla manipolazione della moneta e del credito quali fattori destabilizzanti di ogni economia. Più in generale, la Scuola resiste di fronte all'idea di adottare una prospettiva positivista – mutuata dalle scienze naturali – per esaminare il complesso interagire di scelte e opinioni che caratterizza l'universo della produzione e dei commerci.I temi al centro della riflessione degli "austriaci" definiscono una teoria che, nei diversi autori con accenti un poco differenti, delinea una prospettiva assai liberale, che difende l'autonomia della vita economica di fronte alle pretese del potere e alle interferenze di governi e burocrazie.Il volume di Butler illustra in termini assai semplici i vari nuclei concettuali della Scuola austriaca e nella parte finale offre anche qualche elemento essenziale sui suoi maggiori protagonisti: da Menger a Friedrich von Wieser, da Eugen Böhm-Bawerk a Ludwig von Mises, da Friedrich von Hayek a Murray Rothbard, a Israel Kirzner.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2014
ISBN
9788864402253
Argomento
Economia

1. La Scuola austriaca di economia: storia e lineamenti

 
  • La Scuola austriaca fu fondata a Vienna nel corso degli anni Settanta del XIX secolo. Essa si caratterizza per essere estremamente critica nei confronti del moderno mainstream economico.
  • Gli “austriaci” (così i suoi seguaci sono conosciuti, nonostante essi siano oggi presenti ovunque nel mondo) affermano che tutti i fenomeni economici hanno il proprio fondamento nelle scale di valori, nelle scelte dei singoli individui e nelle particolari circostanze che questi ultimi si trovano di volta in volta ad affrontare.
  • Come conseguenza di ciò, gli austriaci sostengono che gli economisti convenzionali sbaglino a cercare relazioni quantitative tra grandezze di tipo economico.
  • Essi asseriscono, inoltre, che il loro approccio, basato sull’individuo e sulla sua scala di valori, sia in grado di fornire una spiegazione affidabile dei cicli economici di espansione e di depressione (boom and bust).
 
La Scuola austriaca di economia non è una istituzione scolastica con sede a Vienna e non ha nulla a che fare con il sistema economico austriaco. Piuttosto, quella denominazione designa un particolare approccio al pensiero economico e, più in generale, qualifica gli economisti che, attorno al globo, promuovono quel particolare punto di vista.
 
Del modo in cui gli economisti dovrebbero operare
La Scuola austriaca di economia ebbe origine presso l’Università di Vienna con la pubblicazione del libro Principi di economia di Carl Menger. Quel libro criticava le idee economiche allora prevalenti nel mondo tedesco e riconducibili alla cosiddetta Scuola storica, guidata da Wilhelm Roscher. Secondo questo indirizzo di pensiero, la scienza economica è simile alla storia, in quanto, al pari di quest’ultima, si occupa di eventi unici, ciascuno destinato a non ripetersi più esattamente uguale a se stesso. Tale ipotesi esclude a priori la possibilità di stabilire leggi economiche generali indipendenti dallo spazio e dal tempo, come accade, ad esempio, in fisica e come affermavano gli studiosi appartenenti alla Scuola inglese degli economisti classici.
Menger riteneva che gli economisti potessero davvero scovare principi in grado di mostrarsi validi in qualsiasi luogo e tempo; era però convinto che i classici inglesi sbagliassero nel cercare stabili relazioni quantitative nei dati statistici relativi al commercio e agli affari. La statistica, egli credeva, è destinata a nascondere la reale natura dell’accadere economico, il fatto, cioè, che milioni di individui siano costantemente occupati a effettuare delle scelte e che queste ultime siano la vera base di fenomeni come la domanda, l’offerta e il mercato e, in definitiva, della scienza economica stessa. Gli studiosi, egli sosteneva, devono rivolgere i loro sforzi al livello dei singoli individui (un approccio, questo, noto come individualismo metodologico) e cercare di comprendere come questi ultimi effettuino concretamente le loro scelte.
Menger affermava, inoltre, che le scelte praticate dai singoli dipendono dal valore che essi attribuiscono alle differenti tipologie di beni. Tale valore deriva unicamente da un sentire di natura personale, qualcosa a cui gli economisti non possono certo accedere direttamente. Un fisico è ovviamente in grado di misurare il peso e il volume di un oggetto, ma gli economisti non possono misurare il grado di preferenza che le persone attribuiscono a esso, allo stesso modo in cui non possono quantificare il dolore, la gioia o l’amore. L’economia, dunque, non si occupa di fenomeni oggettivi, ma di manifestazioni puramente soggettive.
In aggiunta a ciò, Menger sviluppò anche (contestualmente a William Stanley Jevons e Leon Walras, ciascuno lavorando indipendentemente dagli altri) la rivoluzionaria analisi dell’utilità marginale, che rappresenta ancora oggi un pietra portante dello studio dell’economia. L’idea alla base di questo approccio è che, quando effettuano una scelta o uno scambio, le persone cercano di ottenere ciò che soddisfa le loro necessità più urgenti. Solo successivamente esse si occupano dei bisogni via via meno urgenti (o progressivamente marginali). Parimenti, se esse sono costrette a privarsi di qualcosa, lo fanno a partire da ciò che dà loro la minor soddisfazione, per poi passare agli oggetti che, nella loro opinione, hanno maggior valore. In altre parole, gli individui sono soliti scegliere sulla base dell’utilità marginale che i differenti beni sono in grado di fornire. Questo principio permette di comprendere bene come gli uomini gestiscano le negoziazioni economiche e come i mercati funzionino.
 
Le prime due generazioni di economisti austriaci
L’approccio di Menger scatenò una intensa disputa, che prese il nome di dibattito sul metodo (Methodenstreit), relativa a quale debba essere l’effettivo oggetto di studio delle scienze sociali (economia compresa). Proprio nel corso di essa, Menger e i suoi seguaci all’Università di Vienna, Eugen von Böhm-Bawerk e Friedrich von Wieser, finirono con l’essere indicati come appartenenti alla “Scuola austriaca”.
Böhm-Bawerk approfondì l’approccio soggettivista di Menger, applicandolo alla sfera dell’interesse e del capitale. Egli mostrò come i tassi di interesse riflettano la preferenza che gli esseri umani attribuiscono al tempo: noi preferiamo possedere le cose immediatamente piuttosto che in futuro e siamo per questo pronti a indebitarci pur di poterle ottenere in anticipo. Allo stesso modo, quando concediamo in prestito qualcosa per un determinato periodo, chiediamo di essere ripagati degli interessi. Da queste osservazioni, Böhm-Bawerk trasse molta parte della teoria dell’investimento, della produzione e dell’impiego del capitale.
Da parte sua, Wieser applicò il medesimo approccio all’analisi dei costi. Egli dimostrò che questi ultimi non rappresentano misurazioni oggettive, quanto piuttosto valutazioni e preferenze soggettive. La produzione stessa si concretizza nel rinunciare ad alcune cose nell’immediato per produrne altre in futuro e la potenziale profittabilità delle scelte a essa collegate è sempre una questione di giudizio di valore individuale e non di concrete misurazioni materiali. Wieser sottolineò l’importanza del ruolo svolto dagli imprenditori nel formulare quel genere di valutazioni basandosi sulla propria esperienza e comprensione dei mercati.
Menger, Böhm-Bawerk e Wieser rappresentarono la prima generazione di studiosi della Scuola austriaca. A essa ne seguì una seconda guidata da Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, i quali collaborarono nel corso degli anni Trenta del XX secolo nella formulazione della teoria dei cicli economici: le periodiche fasi di forte crescita e recessione che paiono essere una caratteristica connaturata ai processi economici. Mises e Hayek ipotizzarono che quei cicli traessero origine da iniezioni di credito bancario. In particolare, essi sostennero che la concessione di denaro a buon mercato incoraggia gli imprenditori a investire in maggior misura nella produzione e al contempo spinge i consumatori a incrementare i propri livelli di acquisto. Quando, però, lo stimolo creditizio si esaurisce, il sistema tende a riassestarsi: gli imprenditori si accorgono di produrre in eccesso merci sbagliate, l’economia entra in recessione e gli investimenti avviati si rivelano eccessivamente ambiziosi e vengono abbandonati.
A causa della crescente minaccia nazista, Mises e Hayek abbandonarono l’Austria nel corso degli anni Trenta. Il primo emigrò in America dove continuò i suoi studi focalizzandosi sulla scienza pura della scelta e dell’azione, affinando i principi inizialmente sviluppati da Menger e approfondendo le loro implicazioni. Il secondo si diresse dapprima in Inghilterra e solo in seguito giunse in America. Egli rivolse la sua attenzione al ruolo cruciale svolto dall’informazione nelle decisioni dei singoli e nel funzionamento del mercato.
 
Gli austriaci contemporanei
La terza generazione di economisti appartenenti alla Scuola austriaca proviene principalmente dagli Stati Uniti e in particolare dalle Università di New York, Auburn e dalla George Mason. Essi sono, in realtà, portatori di tradizioni intellettuali diverse e, mentre molti non esitano a definirsi “austriaci”, altri ammettono di avere ricevuto da parte di quella Scuola solo una qualche influenza più o meno marcata.
Tra i più in vista di essi, vanno annoverati Murray Rothbard, che individuò nell’azione delle banche centrali la causa del verificarsi dei cicli economici e sviluppò una rigorosa critica libertaria al concetto di Stato; Israel Kirzner, che sottolineò la cruciale importanza degli imprenditori nel promuovere il progresso economico; Lawrence White, che dimostrò come le banche possano lavorare al meglio senza il controllo e la regolamentazione dello Stato. Sono comunque molti gli economisti di primo piano e tra questi parecchi vincitori di Premi Nobel per l’economia ad aver accettato in qualche misura le idee della Scuola austriaca e ad aver riconosciuto il loro debito intellettuale nei suoi confronti.
Lo stesso Hayek vinse il Nobel nel 1974 per il suo lavoro (risalente agli anni Trenta) sul ciclo economico. Questo avvenimento creò nuovo interesse a livello mondiale per le tesi degli austriaci che continuarono però (e continuano tuttora) a rimanere in assoluta minoranza nel contrastare il punto di vista del mainstream economico. Ciò è dovuto in parte al fatto che il loro approccio è sottile e complesso e non facile da trasmettere agli studenti, in parte al loro rifiutare molto di ciò che comunemente viene ritenuto “scienza economica” (e per questo il pensiero austriaco viene etichettato come “non scientifico”) e in parte al loro essere considerati una setta poco disponibile a confrontarsi con le critiche.
Comunque, indipendentemente da queste considerazioni, rimane il fatto che la Scuola austriaca ha molto da insegnare circa il modo in cui le persone effettuano le proprie scelte. È proprio questo, essa afferma, il cuore dell’economia. Da tutto ciò deriva la necessità di presentare in modo semplice le idee di quegli studiosi, così da renderle accessibili al largo pubblico, anche a rischio di qualche eccessiva semplificazione e distorsione.
 

2. I principi chiave dell’economia austriaca

  • Le decisioni dalle quali derivano tutti i fenomeni economici sono intrinsecamente personali e imprevedibili.
  • Il valore che viene attribuito alle cose non è connaturato a esse, ma si trova unicamente nella mente degli individui. Gli scambi avvengono e i prezzi si formano perché le persone valutano le cose in modo differente. I mercati indirizzano i beni verso i loro impieghi più utili. La proprietà privata è essenziale per raggiungere i migliori risultati in campo economico.
  • Gli interventi pubblici e gli errori della politica (ad esempio, l’inflazione) intralciano i complessi processi del mercato e producono invariabilmente risultati perversi.
Alcuni principi chiave distinguono il punto di vista degli austriaci da quello del mainstream. Cominceremo con l’esporne dieci che coprono l’intero orizzonte di analisi di quella scuola: dalla reale natura di ciò che gli economisti dovrebbero studiare, a come si formano i prezzi (e la loro importanza nel guidare la produzione e il consumo), da quale sia il funzionamento generale del sistema economico alle prescrizioni per la politica.
I primi punti, di natura più metodologica, possono essere difficili da cogliere. Ma una chiara comprensione di ciò che la scienza può e non può dire circa il nostro agire economico è essenziale se vogliamo affrontare ogni altro argomento in modo corretto. È dunque consigliabile partire da essi.
I fondamenti dell’economia
Innanzitutto, l’economia è centrata sugli individui e sulla nozione di scelta. Non potendo ottenere ogni cosa desideriamo, siamo costretti a scegliere ciò che per noi è più importante: preferiamo una automobile nuova o una vacanza la prossima estate? Ci delizierebbe di più una serata fuori con gli amici o lo starcene rilassati a casa? Siamo continuamente chiamati a cedere qualcosa (una somma di denaro, ad esempio, o del tempo e del lavoro) in cambio di qualcosa d’altro (come un nuovo paio di scarpe o un giardino in ordine). Tutte queste sono decisioni di tipo economico (e lo sono anche nel caso in cui non entri in gioco il denaro). Esse sono relative al modo in cui ci destreggiamo tra risorse scarse (automobili, vacanze, compagnia, riposo, moneta, tempo, lavoro) per riuscire a soddisfare al meglio i nostri desideri. Esse rappresentano tutto ciò di cui l’economia si occupa.
Si tratta di decisioni che possono essere prese solamente dagli individui in esse direttamente coinvolti. La società non effettua scelte; un conglomerato sociale non possiede né una vita né una mente proprie; uno Stato può decidere le cose per mezzo di elezioni, ma sono i singoli che decidono per chi votare. Il ruolo dell’economia è quello di analizzare le scelte e gli effetti che esse producono e ciò può essere compreso solo focalizzandosi sul modo in cui le persone prendono le proprie decisioni.
In secondo luogo, l’economia è piuttosto differente dalle scienze naturali, perché completamente diverso è il suo oggetto di studio. Le scienze naturali si occupano di cose presenti in natura, che possono essere osservate e misurate. Le loro caratteristiche e il loro comportamento sono, almeno in linea di principio, conoscibili e, a partire da essi, gli scienziati possono formulare previsioni. L’economia pone la sua attenzione sul modo in cui la gente effettua le proprie scelte e, di conseguenza, essa finisce per occuparsi di ciò che le persone preferiscono, pensano e credono della realtà e del mondo. Si tratta di sentimenti individuali che non possono essere osservati e misurati, né tantomeno previsti.
Ciò che noi possiamo fare, allora, è studiare le scelte umane. Possiamo farlo perché siamo esseri umani e conosciamo il modo in cui funzionano i nostri simili. Noi possiamo comprendere le altrui preferenze, valutazioni, scopi e credenze perché le sperimentiamo a nostra volta; siamo anche in grado, ricorrendo al ragionamento, di sviluppare da quel materiale di natura intuitiva una serie di deduzioni: come funzionino i mercati e lo scambio, per esempio. Al contrario, gli scienziati naturali che studiano gli individui come fossero oggetti inanimati mossi solo da forze esterne rinunciano alla possibilità di comprendere tutto ciò che sta alla base delle loro motivazioni e ne spiega il modo di vivere.
Valutazioni, prezzi e mercati
In terzo luogo, ogni cosa, in economia, si basa sulle valutazioni umane. Il valore non è una qualità misurabile intrinseca agli oggetti, come lo sono la dimensione e il peso. Persone diverse attribuiscono un valore diverso allo stesso bene in funzione dell’uso che ciascuna di esse prevede di farne. Chi vive in una regione particolarmente piovosa può considerare di poca utilità un bicchiere d’acqua, ma chi attraversa una zona desertica può averne grande bisogno. Inoltre, i desideri e le valutazioni della gente cambiano in continuazione: un uomo assetato può attribuire un enorme valore a una bibita, ma non sentirne più il bisogno una volta che la sua sete sia stata soddisfatta. Di conseguenza, i beni non contengono quantità predeterminate e fisse di utilità. Quest’ultima si trova nella mente delle persone ed è (come il valore) del tutto soggettiva.
I beni sono disponibili in quantità limitata, come lo sono il nostro tempo e le nostre risorse. Ciò ci costringe continuamente a operare scelte e soppesare le conseguenze delle nostre decisioni. Scegliere una determinata opzione significa rinunciare immancabilmente a qualcosa d’altro e ciò a cui rinunciamo lo definiamo “costo”. Esso non deve necessariamente essere un costo finanziario: potrebbe semplicemente rappresentare il tempo e il lavoro che impieghiamo per raggiungere un qualche obiettivo, o tutte le possibili alternative che abbiamo escluso (ciò che gli economisti definiscono “costo-opportunità”). Pure i costi sono frutto di valutazioni soggettive: noi confrontiamo sempre il valore di ciò che otteniamo con quello di ciò a cui rinunciamo. Si tratta ogni volta di una d...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. 1. La Scuola austriaca di economia: storia e lineamenti
  3. 2. I principi chiave dell’economia austriaca
  4. 3. Perché gli economisti non conoscono il loro mestiere
  5. 4. L’importanza del valore
  6. 5. Prezzi, costi e profitti
  7. 6. Il coordinamento attraverso i prezzi
  8. 7. Concorrenza e imprenditorialità
  9. 8. Tempo, produzione, capitale e interesse
  10. 9. Il ciclo economico
  11. 10. I problemi collegati alla moneta
  12. 11. I difetti del socialismo
  13. 12. Il liberalismo
  14. 13. Le critiche all’approccio austriaco
  15. 14. L’importanza della Scuola austriaca oggi
  16. Profili biografici
  17. L’autore