Liberare l'Italia
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Manuale delle riforme per la XVII legislatura

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Manuale delle riforme per la XVII legislatura

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Con questo ampio lavoro di ricerca, l'Istituto Bruno Leoni avanza proposte concrete per "liberare l'Italia". Tre sono le grandi aree in cui è necessario cambiare rotta. La finanza pubblica: privatizzazioni per ridurre il debito pubblico e una profonda revisione della spesa per ridurre le imposte. La pubblica amministrazione: riformando il funzionamento di settori quali la giustizia, l'istruzione e la sanità il paese può accorciare la distanza che lo separa dalle nazioni più efficienti. Le liberalizzazioni: possono mobilitare risorse private e creare opportunità di investimento e occupazione.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2013
ISBN
9788864401447
Argomento
Law

Capitolo 1. Debito pubblico e privatizzazioni – di Nicolò Bragazza e Giovanni Gabriele Vecchio

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L’Italia non ha sempre avuto un elevato debito pubblico. Cattive politiche di bilancio hanno provocato un rapido aumento del debito pubblico dagli anni Settanta a oggi, portandolo a superare i 2.000 miliardi di euro.
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Lo Stato dispone di un patrimonio totale stimato in 1.815 miliardi, la maggior parte del quale disperso tra regioni, province e comuni.
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In questo capitolo si propone di vendere, nell’arco di una legislatura, asset per un totale di 271 miliardi di euro (di cui 135 da società e 136 da immobili), riducendo il rapporto debito su Pil al di sotto del 100%.
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La vendita di asset pubblici deve diventare anche un’occasione per fare un’intelligente politica economica, utilizzando l’uscita dello Stato dall’economia come strumento di concorrenza per stimolare la crescita economica.
I. IL DEBITO PUBBLICO
In questa sezione analizzeremo cos’è il debito pubblico e come si forma. Forniremo anche un quadro del livello e della composizione del debito pubblico al 2012. Come è stato illustrato nell’Introduzione a questo volume, infatti, il debito pubblico rappresenta uno dei maggiori ostacoli alle prospettive di crescita economica. La stessa lettera inviata dalla Bce al governo italiano chiede «privatizzazioni su larga scala».{7} Obiettivo del capitolo è descrivere le caratteristiche del debito pubblico italiano e illustrare come e perché sia necessario avviare un piano di dismissioni del patrimonio pubblico con l’obiettivo di ridurne l’entità.
1. Una definizione di “debito”
Una buona definizione di cosa sia il “debito” è fornita nel protocollo allegato al trattato sull’Unione europea siglato a Maastricht nel 1992 e integrato dal regolamento (CE) n. 3605/93, fatta poi propria nel 1995 dall’European system of accounts, Esa95 (in italiano, il Sistema europeo dei conti economici integrati, Sec95). In questo quadro, il debito è rappresentato da:
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biglietti, monete e depositi (AF.2);
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titoli a breve, medio e lungo termine diversi dalle azioni (AF.3), con esclusione degli strumenti finanziari derivati (AF.34);
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prestiti (AF.4).
Il primo aggregato, “biglietti, monete e depositi (AF.2)”, rappresenta le risorse raccolte attraverso l’emissione di strumenti monetari o quasi-monetari. Bisogna ricordare infatti che prima dell’istituzione della Banca centrale europea, la base monetaria in Lire rientrava a pieno titolo tra i mezzi di finanziamento dello Stato. Questo aggregato monetario può essere poi suddiviso ulteriormente in vari sottogruppi:
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la raccolta postale include conti correnti postali, libretti postali e buoni postali;
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la circolazione di Stato comprende biglietti e moneta di Stato calcolata al netto delle giacenze presso il Tesoro e la Banca d’Italia;
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i depositi in numerario di terzi presso la Cassa depositi e prestiti;
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i depositi di enti non appartenenti alle Amministrazioni pubbliche presso la Tesoreria dello Stato;
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altre fattispecie residuali.
Il secondo aggregato, “titoli a breve, medio e lungo termine diversi dalle azioni (AF.3)”, rappresenta ciò che si intende solitamente col termine “debito pubblico” ovvero titoli emessi dal Tesoro e quotati sui mercati obbligazionari:
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i buoni ordinari del Tesoro (Bot);
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i buoni del Tesoro in Ecu;
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i commercial paper;
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i buoni della Cassa depositi e prestiti;
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i titoli emessi dallo Stato consolidati e redimibili;
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i buoni del Tesoro poliennali (Btp);
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i certificati di credito del Tesoro (Cct);
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i prestiti della Repubblica e gli altri titoli emessi all’estero;
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le cartelle di credito provinciale e comunale della Cassa depositi e prestiti;
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i buoni ordinari regionali, provinciali, comunali e gli altri titoli emessi dalle Amministrazioni locali;
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i titoli emessi da soggetti non appartenenti al settore di cui lo Stato si è accollato il rimborso.
L’esclusione dal calcolo degli strumenti finanziari derivati è giustificabile alla luce dell’uso che il Tesoro fa di tali strumenti: essi servono principalmente come metodo per gestire il rischio di cambio nel caso di debito emesso in valuta estera o il rischio di tasso. Essendo tutti i titoli iscritti in bilancio al valore nominale, includere nel computo il risultato di strumenti finanziari di copertura distorcerebbe al rialzo il valore del debito pubblico in caso di rialzo dei tassi, confondendo la perdita su tali strumenti come indebitamento invece che come hedge del valore di mercato.
Il terzo aggregato, prestiti (AF.4), rappresenta invece tutto il debito generato attraverso strumenti illiquidi o non direttamente quotati. Esso comprende:
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le passività del Tesoro verso Banca d’Italia-Uic includono i valori in cassa, le anticipazioni al Tesoro e alla Cassa depositi e prestiti e il conto corrente di Tesoreria;
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passività verso Intermediari finanziari monetari;
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i prestiti erogati dalla Cassa depositi e prestiti dalla sua trasformazione in società per azioni;
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le altre passività includono i mutui in favore delle Amministrazioni locali erogati dal 1926 dall’Istituto nazionale delle assicurazioni (Ina) e dalle operazioni di cartolarizzazione considerate debito per effetto delle decisioni dell’Eurostat del 3 luglio 2002 e del 25 giugno 2007.
2. Una definizione di “pubblico”
Una volta definito cosa sia il “debito”, è necessario definire con precisione il perimetro che delimita il “pubblico”. Anche in questo caso, Esa95 ci viene in aiuto definendo tre macro-aree:
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le Amministrazioni centrali (S.1311) comprendono le Amministrazioni centrali dello Stato e gli Enti centrali, diversi dagli Enti di previdenza, che estendono la loro competenza su tutto il territorio del paese.
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le Amministrazioni locali (S.1313) comprendono le unità istituzionali la cui competenza è limitata a una sola parte del territorio (ad esempio Regioni, Province e Aree metropolitane, Comuni e Unioni di comuni, Università, Camere di commercio, Aziende sanitarie locali e ospedaliere);
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gli Enti di previdenza e assistenza (S.1314) comprendono gli enti la cui attività principale consiste nell’erogare prestazioni sociali finanziate attraverso contributi generalmente a carattere obbligatorio (ad esempio Inps, Inail, Inpdap).
3. Debito “nascosto”
Definire in modo preciso cosa si intende con l’aggettivo “debito” e cosa con “pubblico” è estremamente importante per evitare che si approfitti di possibili imprecisioni per spostare parte del debito pubblico fuori dal perimetro dello Stato o su strumenti non inclusi nella lista. La definizione fornita da Esa95, per esempio, non comprende i debiti commerciali che la Pubblica amministrazione ha contratto con i propri fornitori. Anche il debito imputabile ad aziende private partecipate dal pubblico non rientra in questa definizione. Per esempio l’intera galassia delle municipalizzate locali non viene inclusa in questo computo e, tema rilevante date le recenti operazioni che l’hanno coinvolta, lo stesso vale per la Cassa depositi e prestiti.
Un’altra grandezza che non viene inserita nel calcolo del debito pubblico riguarda le unfunded liabilities, ovvero il gap di risorse che manca a certi enti pubblici per mantenere le prestazioni promesse in futuro. Se le dinamiche macroeconomiche dovessero evolversi in modo diverso da quanto previsto dall’Inps, per esempio, l’Istituto non disporrebbe delle risorse necessarie a mantenere le promesse di erogazioni future. In tal caso, o si riducono le erogazioni o sarà necessario trovare le risorse emettendo altro debito pubblico, facendo quindi “comparire” nuovo debito. Quando, però, è noto fin da subito che un ente non sarà in grado di mantenere le prestazioni promesse, tale gap dovrebbe essere contabilizzato subito come debito pubblico. Purtroppo, data l’opacità della contabilità pubblica, non sono disponibili stime circa il debito da unfunded liabilities.
Infine, nell’esercizio delle sue funzioni, la Pubblica amministrazione ha accumulato negli anni enormi debiti commerciali. Si tratta di pagamenti non ancora effettuati a fronte del consumo di beni o servizi erogati dal settore privato. Le stime condotte da Banca d’Italia{8} parlano di circa altri 80 miliardi di debiti commerciali, pari circa al 5% del Pil. Il calcolo del debito pubblico “ufficiale” va quindi corretto con delle stime circa il debito pubblico che è stato nascosto fuori dai perimetri ufficiali. Si arriva dunque a oltre il 131% del Pil.
4. Come nasce il debito pubblico
Ogni anno, lo Stato raccoglie risorse attraverso l’imposizione e le spende erogando stipendi, pensioni, prestazioni sociali o servizi. In Italia, l’articolo 81 della Costituzione prevede che ogni anno il governo presenti al parlamento una legge di bilancio – di natura preventiva – con la quale si chiede l’autorizzazione a incassare le entrate e a procedere con il pagamento delle spese per l’anno successivo. Dal 2012, con questa legge si possono anche imporre nuove tasse o eliminare certe spese, compito precedentemente riservato esclusivamente alla legge finanziaria. Nonostante questo, sempre di un documento di natura preventiva si tratta. Ciò significa che, a consuntivo, le effettive entrate dello Stato possono essere maggiori o, più frequentemente, minori delle spese effettive. Ogni qualvolta le entrate non sono sufficienti a coprire le spese, lo Stato incorre in un deficit di bilancio. I soldi per coprire questo deficit sono raccolti attraverso l’emissione di debito pubblico.
Il debito pubblico, quindi, viene accumulato quando la spesa pubblica ol...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Introduzione - di Carlo Stagnaro
  3. Capitolo 1. Debito pubblico e privatizzazioni - di Nicolò Bragazza e Giovanni Gabriele Vecchio
  4. Capitolo 2. Spesa pubblica - di Pietro Monsurrò
  5. Capitolo 3. Fisco - di Pietro Monsurrò
  6. Capitolo 4. Digitalizzazione della PA - di Lucia Quaglino
  7. Capitolo 5. Sanità - di Lucia Quaglino
  8. Capitolo 6. Scuola e università - di Emilio Rocca
  9. Capitolo 7. Liberalizzazioni e concorrenza - di Carlo Stagnaro
  10. Capitolo 8. Giustizia - di Serena Sileoni
  11. Capitolo 9. Lavoro - di Fabiana Alias
  12. Gli autori