Sull'economia e gli economisti
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Cosa differenzia il mercato dei beni da quello delle idee? Quanto è ancora attuale la Ricchezza delle nazioni di Adam Smith? Cosa vuol dire "struttura istituzionale della produzione"?In questi saggi sull'economia e gli economisti vengono chiaramente alla luce i riferimenti intellettuali e tutti i principali temi oggetto delle ricerche di Ronald Coase. Nei quindici contributi del volume emergono la complessità e la profondità di un pensatore che ha esercitato un'enorme influenza sulle scienze sociali, gettando anche le basi per la nascita dell'analisi economica del diritto.Il libro si apre con la conferenza di accettazione del Premio Nobel, in cui Coase affronta lo stato della ricerca sull'organizzazione industriale e spiega cosa bisognerebbe fare per rendere più penetranti gli studi in questo ambito. Contiene poi anche due illuminanti saggi su Adam Smith, nei quali l'autore rivela la grandezza del filosofo scozzese.Il volume si chiude con una rievocazione della London School of Economics degli anni Trenta, dove Coase entrò come studente nel 1929 e dove insegnavano Lionel Robbins, Friedrich A. von Hayek e John Hicks. Di lì a poco – con il suo celebre saggio sulla "Natura dell'impresa" – Coase avrebbe cambiato il corso della teoria economica.

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2016
ISBN
9788864402901

Capitolo 1 – La struttura istituzionale della produzione{*}

Nel corso della mia lunga vita ho conosciuto molti grandi economisti, ma non mi sono mai considerato uno di essi. Non ho dato contributi alla teoria pura. Il mio contributo all’economia è stato piuttosto quello d’incoraggiare l’inclusione nelle nostre analisi di elementi del sistema economico tanto ovvi che, come il portalettere di quel racconto con protagonista padre Brown scritto da G.K. Chesterton, L’uomo invisibile, tendono a essere sottovalutati. Nonostante ciò, una volta inclusi nelle analisi, credo che quegli elementi condurranno a una svolta radicale nella struttura della teoria economica, almeno di quella che è chiamata la teoria dei prezzi o microeconomia. Il mio contributo è consistito nel mostrare l’importanza di quella che può essere definita come la struttura istituzionale della produzione per il funzionamento del sistema economico. In questo mio intervento spiegherò perché, a mio giudizio, questi aspetti del sistema economico sono stati ignorati e perché riconoscerne il rilievo condurrà a un cambiamento nel modo in cui noi analizziamo il funzionamento del sistema economico e concepiamo la politica economica: una trasformazione che sta già iniziando. Parlerò anche del lavoro empirico ancora da fare affinché questo cambiamento nell’impostazione aumenti la nostra comprensione della realtà.
Parlando di questa trasformazione non voglio lasciar intendere che essa sia il frutto esclusivo del mio lavoro. Oliver Williamson, Harold Demsetz e Steven Cheung, tra gli altri, hanno dato contributi fondamentali a questo tema e senza il loro lavoro e quello di molti altri dubito che la rilevanza dei miei scritti sarebbe stata riconosciuta. Per quanto l’istituzione del Premio in Scienze economiche in memoria di Alfred Nobel abbia avuto l’effetto, certamente positivo, di richiamare l’attenzione su taluni particolari settori dell’economia, incoraggiando ulteriori ricerche al riguardo, evidenziare l’importanza del lavoro di pochi studiosi o, come nel mio caso, di uno solo tende a oscurare il rilievo dei contributi di altri importanti economisti, le cui ricerche sono state cruciali allo sviluppo di tale settore.
Parlerò di quella parte dell’economia denominata “organizzazione industriale”. Per capire lo stato in cui si trova, è necessario dire prima qualcosa sullo sviluppo dell’economia in generale. Durante i due secoli che hanno seguito la pubblicazione della Ricchezza delle nazioni (1776), ritengo che la principale attività degli economisti sia stata quella di correggerne gli errori e di fare in modo che quella analisi diventasse quanto più possibile esatta. Uno dei temi principali della Ricchezza delle nazioni riguardava il ruolo della regolazione statale e della pianificazione centralizzata, che secondo Smith non sono necessarie per far sì che un sistema economico funzioni in modo ordinato. L’economia può essere coordinata da un sistema di prezzi (la “mano invisibile”) e, per giunta, con esiti positivi. Dalla pubblicazione della Ricchezza delle nazioni uno dei compiti fondamentali degli economisti, come Harold Demsetz ha mostrato,{2} è stato quello di formalizzare l’ipotesi di Adam Smith. I fattori dati sono la tecnologia e i gusti dei consumatori. Gli individui, che seguono il proprio interesse, nelle loro scelte sono governati dal sistema dei prezzi.
Gli economisti hanno determinato quali sono le condizioni necessarie affinché i risultati di Adam Smith siano ottenuti, e quando nel mondo reale tali condizioni non si verificano essi hanno proposto cambiamenti che possano realizzarle. Questo è quanto si trova nei manuali. Harold Demsetz ha giustamente detto che l’oggetto di questa teoria è un sistema estremamente decentrato. Si è trattato di una grande impresa intellettuale e ha fatto luce su molti aspetti del sistema economico. Ma non si può dire che abbia avuto solo risvolti positivi. Il fatto di concentrarsi sulla determinazione dei prezzi ha portato a limitare l’ambito dell’attenzione degli studiosi, il che ha condotto a ignorare altri aspetti del sistema economico. Talora, in verità, sembra che gli economisti ritengano che il loro ambito di ricerca sia interessato solo dal sistema dei prezzi, così che ogni cosa che non abbia a che fare con esso viene considerata estranea al loro lavoro. Lionel Robbins – mio antico maestro e uomo straordinario – nel libro Sulla natura e l’importanza della scienza economica, nella parte in cui tratta della proprietà contadina e delle forme industriali, ha scritto sulle “abbaglianti lacune” proprie del vecchio trattamento della teoria della produzione: «dal punto di vista dell’economista, l’“organizzazione” è una questione di ordine interno industriale o agricolo: se non interno per l’azienda, ad ogni modo interno per l’industria […]. Nello stesso tempo, esso tende a lasciar completamente da parte il fattore regolatore di ogni organizzazione produttiva, cioè il nesso di relazione tra prezzi e costi».{3}
Da queste considerazioni si deve concludere che, a giudizio di Robbins, un economista non s’interessa alle soluzioni organizzative “interne”, ma solo a quanto avviene sul mercato, all’acquisizione dei fattori di produzione e alla vendita dei beni che questi fattori producono. Ciò che ha luogo tra l’acquisto dei fattori di produzione e la vendita dei beni prodotti è largamente ignorato. Non so fino a che punto oggi gli economisti condividano tale attitudine di Robbins, ma è innegabile che la microeconomia è in larga misura uno studio della determinazione di prezzi e prodotti, e in effetti questa parte dell’economia è spesso chiamata teoria dei prezzi.
Il fatto di avere trascurato gli altri aspetti del sistema è stato favorito da un altro aspetto della moderna teoria economica: la crescente astrazione dell’analisi, che non sembra comportare una conoscenza dettagliata del sistema economico attuale o che, a ogni modo, ha portato a procedere senza di essa. Bengt Holmstrom e Jean Tirole, nel loro articolo “The Theory of the Firm” all’interno dell’Handbook of Industrial Organization, concludono che «la relazione tra evidenza e teoria [...] è attualmente molto bassa in questo campo».{4} Sam Peltzman ha scritto una feroce recensione dell’Handbook in cui mette in evidenza come gran parte del suo contenuto sia una teoria senza alcuna base empirica.{5}
Quel che viene studiato è un sistema che vive nella mente degli economisti, ma non sulla terra. Ho chiamato tutto ciò “economia da lavagna”. L’impresa e il mercato sono evocati per nome, ma a tutti e due non viene data sostanza. Nell’economia mainstream l’impresa è stata spesso descritta come una “scatola nera”. Questo è molto strano, dato che in un moderno sistema economico la maggior parte delle risorse sono utilizzate all’interno delle imprese, con la conseguenza che il modo in cui queste risorse sono usate dipende da decisioni amministrative e non direttamente dal funzionamento del mercato. Così l’efficienza del sistema economico dipende in larga misura dal modo in cui queste organizzazioni (e in particolare, naturalmente, la grande azienda moderna) gestiscono gli affari. Considerato l’interesse degli economisti per il sistema dei prezzi, è ancor più sorprendente lo scarso interesse per il mercato o, in maniera più specifica, per le soluzioni istituzionali che governano il processo dello scambio. Dato che queste soluzioni istituzionali determinano in larga misura ciò che viene prodotto, il risultato è che abbiamo una teoria molto incompleta.
Tutto questo sta iniziando a cambiare e in tale processo sono felice di avere giocato la mia parte. L’importanza d’includere i fattori istituzionali nel corpus dell’economia mainstream è resa evidente dai recenti avvenimenti dell’Europa orientale. Questi Paesi ex-comunisti hanno avviato una transizione verso un’economia di mercato e i loro leader vorrebbero proseguire sulla strada intrapresa, ma senza istituzioni appropriate nessuna economia di un qualche significato è possibile. Se sapessimo di più in merito alla nostra stessa economia, saremmo pure in grado di dare loro consigli migliori.
Quello che mi proponevo di fare nei due articoli citati dall’Accademia Reale Svedese delle Scienze era di tentare di colmare questi vuoti o più esattamente d’indicare la direzione in cui muoversi una volta che fossero stati colmati. Inizierò con “La natura dell’impresa” (1937). Nel 1929 mi iscrissi alla London School of Economics per ottenere un titolo in studi commerciali con specializzazione in ambito industriale, pensato per persone che volevano diventare dirigenti d’impresa: un tipo di occupazione per la quale ero davvero poco adatto. Tuttavia nel 1931 ebbi un grande colpo di fortuna. Arnold Plant era stato chiamato quale professore di “scienze commerciali” nel 1930. Era un magnifico insegnante. Iniziai a frequentare il suo seminario nel 1931, cinque mesi prima degli esami finali. Fu una rivelazione. Egli citava Sir Arthur Salter: «Il sistema economico ordinario lavora da sé». E spiegava come un sistema economico coordinato dai prezzi conduca alla produzione di quei beni e servizi che i consumatori apprezzano di più. Prima di venire a contatto con l’insegnamento di Plant, le mie nozioni su come l’economia funzionava erano estremamente nebulose. Dopo il seminario di Plant ebbi una visione coerente del sistema economico. Egli mi introdusse alla “mano invisibile” di Adam Smith.
Dal momento che avevo seguito il primo anno di studi universitari quando ancora ero al liceo, mi trovai a completare il corso necessario al conseguimento del titolo in due anni. Tuttavia i regolamenti universitari esigevano tre anni di iscrizione prima che il diploma potesse essere assegnato. Avevo perciò un anno da impiegare. E a questo punto ebbi un altro colpo di fortuna. Fui infatti premiato dall’Università di Londra con una borsa di studio Cassel Travelling. Decisi di trascorrere quell’anno negli Stati Uniti, dato che – grazie a regole che potevano essere interpretate con una certa libertà – poteva essere considerato come un anno di residenza presso la London School of Economics.
Pensai di studiare l’integrazione verticale e orizzontale dell’industria negli Stati Uniti. Nelle sue lezioni Plant aveva descritto i vari modi in cui i diversi settori erano organizzati, ma si avvertiva la mancanza di una teoria che spiegasse tali differenze. Mi proposi di trovarla. C’era anche un’altra questione che, nella mia mente, doveva essere risolta e che era in relazione al mio progetto principale. La visione del sistema dei prezzi come un meccanismo di coordinamento era certamente corretta, ma vi erano taluni aspetti di quella questione che mi parevano bisognosi di chiarimento. Plant si opponeva a tutti i piani, in gran voga durante la Grande Depressione, che chiedevano che il coordinamento della produzione industriale fosse realizzato grazie a una qualche forma di pianificazione centralizzata. Secondo Plant, la concorrenza, operando sulla base del sistema dei prezzi, può realizzare tutto il coordinamento necessario. E tuttavia avevamo un fattore di produzione, il management, che aveva la specifica funzione di coordinare. Perché quel fattore era necessario, se il sistema dei prezzi forniva tutto il coordinamento necessario?
In quel periodo il medesimo problema si presentava a me in un altro modo. La Rivoluzione russa aveva avuto luogo solo quattordici anni prima. Allora sapevamo davvero poco su come la pianificazione era realmente praticata in un sistema comunista. Lenin aveva detto che in Russia il sistema economico sarebbe stato gestito come una grande impresa. Tuttavia in Occidente molti economisti sottolineavano come questo fosse impossibile. E però in Occidente c’erano aziende e talune erano anche di dimensioni assai grandi. Come potevano essere conciliate le tesi sostenute dagli economisti sul ruolo del sistema dei prezzi e sull’impossibilità di una pianificazione centralizzata con l’esistenza del management industriale e di queste società evidentemente pianificate, ossia le imprese, che operavano all’interno della loro propria economia?{6}
Trovai la risposta nell’estate del 1932. Si trattava di comprendere che per usare il meccanismo dei prezzi si devono sostenere alcuni costi. I prezzi sono un elemento che deve essere scoperto. Ci sono negoziazioni da realizzare, contratti da sottoscrivere, ispezioni da farsi, accordi da stringere per superare conflitti, e così via. Questi costi vengono oggi indicati con l’espressione “costi di transazione”. La loro esistenza implica che i metodi di coordinamento che sono alternativi al mercato, essi stessi costosi e in vario modo imperfetti, possono nonostante ciò essere preferibili al meccanismo dei prezzi: il metodo di coordinamento analizzato dagli economisti. Era la volontà di evitare i costi connessi alle transazioni di mercato che poteva spiegare l’esistenza dell’impresa, in cui l’allocazione dei fattori emergeva quale risultato di decisioni amministrative (e pensavo che ciò lo spiegasse).
In “La natura dell’impresa” sostenni che in un sistema competitivo ci sarebbe un optimum di pianificazione poiché un’impresa, quella società pianificata in sedicesimo, poteva continuare a esistere solo se realizzava la propria funzione coordinatrice a un costo inferiore a quello da sostenere qualora il coordinamento fosse realizzato grazie a transazioni di mercato, nonché a un costo inferiore di quello che avrebbe dovuto sopportare un’altra impresa. Per avere un sistema economico efficiente è necessario non solo avere mercati, ma anche aree di pianificazione con organizzazioni della taglia appropriata. Questo mix noi lo ritroviamo quale risultato della concorrenza. Questo è ciò che sostenevo nel mio articolo del 1937. Tuttavia, come sappiamo dalla lettera che scrissi nel 1932 e che è stata preservata, tutti gli elementi essenziali di questo argomento erano stati presentati in una lezione che tenni a Dundee all’inizio di ottobre del 1932.{7} Avevo ventuno anni e ogni giorno sembrava radioso. Non avrei mai potuto immaginare che una sessantina d’anni dopo queste idee mi avrebbero portato a ritirare il premio Nobel. Ed è una strana esperienza quella di essere premiato da ottantenne per un lavoro che feci da ventenne.
Non c’è dubbio che riconoscere l’importanza del ruolo dell’impresa nel funzionamento dell’economia porterà gli economisti a studiare le sue attività più da vicino. Il lavoro condotto da Oliver Williamson e altri ha portato a una migliore comprensione dei fattori che governano ciò che un’azienda fa e come lo fa. E possiamo anche sperare d’apprendere molto di più in futuro dagli studi sull’attività delle imprese che sono stati recentemente avviati dal Center of Economic Studies del Bureau of the Census degli Stati Uniti. Ma sarebbe sbagliato pensare che la più rilevante conseguenza, per l’economia, della pubblicazione di “La natura dell’impresa” sia stata quella di dirottare l’attenzione sul ruolo dell’impresa nell’economia moderna, un esito che – credo – si sarebbe ottenuto in ogni caso. A mio parere quello che in futuro sarà considerato il principale contributo di questo articolo è l’esplicita introduzione dei costi di transazione nell’analisi economica.
In “La natura dell’impresa” ho sostenuto che l’esistenza dei costi di transazione conduce alla nascita dell’impresa. Ma nell’economia gli effetti sono pervasivi. Nel momento in cui decidono sul loro modo di fare impresa e su cosa produrre, gli imprenditori devono tenere in considerazione i costi di transazione. Se i costi che comporta concludere uno scambio sono maggiori dei guadagni che deriverebbero dallo scambio stesso, allora esso non avrà luogo e la maggiore produzione che sarebbe scaturita dalla specializzazione non si realizzerà. In tal modo i costi di transazione hanno ripercussioni non solo sugli accordi contrattuali, ma anche su quali beni e servizi sono prodotti. Il fatto di non includere i costi di transazione nella teoria lascia senza spiegazione vari aspetti del funzionamento del sistema economico, non ultimo la nascita dell’impresa, ma anche molti altri. In effetti, una gran parte di ciò che consideriamo attività economica è concepita al fine di realizzare quei risultati che, diversamente, sarebbero impossibili a causa degli alti costi di transazione o anche al fine di ridurre i costi di transazione stessi, così che gli individui possano negoziare liberamente e possano trarre vantaggio da quella conoscenza diffusa su cui ha richiamato la nostra attenzione Friedrich A. von Hayek.
Conosco solo una parte dell’economia in cui i costi di transazione sono stati usati per spiegare un fondamentale elemento del sistema economico, ed è quella che riguarda l’evoluzione e l’utilizzo della moneta. Adam Smith sottolineò quali ostacoli al commercio possono emergere in un sistema economico in cui vi è divisione del lavoro, ma in cui tutti gli scambi devono assumere la forma del baratto. Nessuno sarebbe in grado di comprare alcunché senza disporre di un bene o servizio desiderato dal produttore. Smith spiegò come questa difficoltà possa essere superata dal ricorso alla moneta. Perciò, una persona che voglia comprare qualcosa grazie al baratto deve trovare qualcuno che abbia questo prodotto in vendita, ma che al tempo stesso desideri alcuni dei beni posseduti dal potenziale acquirente. Allo stesso modo, una persona che voglia vendere qualcosa deve trovare qualcuno che vuole ciò che egli offre e che pure possiede qualcosa che il potenziale venditore desidera. Nel baratto lo scambio richiede quella che W. Stanley Jevons chiamò la “doppia coincidenza dei bisogni”.
Chiaramente la ricerca di controparti con cui scambiare e che abbiano tali specifiche caratteristiche può essere molto onerosa e finirà per impedire a molti scambi potenzialmente benefici di avere luogo. Il vantaggio portato dall’utilizzo della moneta consiste in una riduzione dei costi di transazione. Il ricorso alla moneta riduce anche i costi di transazione facilitando la stipula di contratti, così come riduce la quantità di beni che sono necessari per gli obiettivi dello scambio. Tuttavia la natura dei benefici garantiti dall’uso del denaro è passata in secondo piano, nella misura in cui gli economisti se ne sono interessati, cosicché essi non hanno colto che vi sono altri aspetti del sistema economico che esistono in ragione del bisogno di mitigare i costi di transazione.
Passiamo ora all’altro articolo citato dall’Accademia, “Il problema del costo sociale” (1960). Non dirò molto in merito alla sua influenza sullo studio del diritto, che è stata immensa, ma considererò principalmente la sua influenza sull’economia, che non è stata rilevante e che tuttavia, a mio parere, lo sarà. È mia opinione che l’impostazione utilizzata nell’articolo alla fine trasformerà la struttura della microeconomia, per i motivi che illustrerò più avanti. Dovrei aggiungere che nello scrivere questo articolo non mi ero prefissato un simile obiettivo. Pensavo semplicemente di evidenziare la debolezza dell’analisi di A.C. Pigou dedicata alla divergenza tra prodotti privati e sociali, un’analisi generalmente accettata dagli economisti. Fu successivamente, e in parte grazie a conversazioni con Steven Cheung negli anni Sessanta, che venni a cogliere il significato generale per la teoria economica di quanto avevo scritto in quell’articolo e anche a vedere più chiaramente quali problemi dovevano essere ulteriormente esplorati.
La conclusione di Pigou e della maggior parte degli economisti che usano la teoria economica standard era (e forse è ancora) che fosse...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Prefazione
  3. Parte prima
  4. Capitolo 1 - La struttura istituzionale della produzione*
  5. Capitolo 2 - Come gli economisti dovrebbero scegliere?*
  6. Capitolo 3 - L’economia e le discipline contigue*
  7. Capitolo 4 - Gli economisti e le politiche pubbliche*
  8. Capitolo 5 - Il mercato dei beni e il mercato delle idee*
  9. Capitolo 6 - La ricchezza delle nazioni*
  10. Capitolo 7 - La visione dell’uomo di Adam Smith*
  11. Parte seconda
  12. Capitolo 8 - Il padre e la madre di Alfred Marshall*
  13. Capitolo 9 - Alfred Marshall: la famiglia e gli antenati*
  14. Capitolo 10 - La nomina di Pigou a successore di Marshall*
  15. Capitolo 11 - Marshall sul metodo*
  16. Capitolo 12 - Arnold Plant*
  17. Capitolo 13 - Duncan Black*
  18. Capitolo 14 - George J. Stigler*
  19. Capitolo 15 - L’economia alla London School of Economics negli anni Trenta: una prospettiva personale*