1. Aspetti e problemi della “Philosophie des Als Ob” di Hans Vaihinger [1938]
Fu detto che la chiarezza è l’onestà del filosofo: si potrebbe forse altrettanto giustamente affermare che la chiarezza di un filosofo è la sua maturità.
Ora, la Philosophie des Als Ob è in certo senso un’opera acerba, per la giovinezza del suo autore al tempo della stesura, per la rapidità con cui questa venne compiuta, per la mancanza, infine, di una meditata revisione: di fronte alle contraddizioni che vi abbondano e alla difficoltà che ne nascono per una comprensione coerente, un approfondimento critico, non di rado assai arduo, deve necessariamente accompagnarne la lettura; ove non ci si voglia accontentare – come è sovente accaduto – di esprimere infine una superficiale condanna, o una non meno superficiale esaltazione.
In questo approfondimento, l’opera del V. ha rivelato a noi, nonostante le sue molte imperfezioni, un interesse ed un valore che crediamo ancora attuale; i principali aspetti e problemi della Ph. des Als Ob ci sono inoltre apparsi in una luce diversa da quella in cui furono di solito presentati ed intesi dalla critica. Non riteniamo quindi del tutto inutile, massimamente in Italia, ove l’opera del V. sembra avere tuttora pochissimi conoscitori – la pubblicazione di un breve studio in proposito. Il presente scritto non vuol essere una generale esposizione «enciclopedistica» della Filosofia del Come Se (compito che crediamo inevitabilmente fallace), ma è limitato alla trattazione di alcuni punti da noi giudicati particolarmente salienti nella speculazione vaihingeriana: la base del concetto dì finzione, il valore conoscitivo dai V. riconosciuto al pensiero, il problema fondamentale ch’egli si propose di risolvere, l’affinità di questo problema con quello posto da Kant nella prima Critica, infine la soluzione che al proprio quesito diede lo stesso Vaihinger.
La Filosofia del Come Se può essere definita uno studio complessivo delle finzioni nel pensiero umano; sorta come indagine metodologica nei più vari campi della scienza, assunse gradualmente, come ci testimonia il suo stesso autore, l’aspetto di una critica della conoscenza; cosicché nell’opera del V. possiamo distinguere una teoria logica delle finzioni scientifiche (cfr. prima parte B, pp. 123-230) ed una concezione finzionalistica della conoscenza (cfr. in particolare prima parte D, pp. 286-327) sul cui vero carattere dovremo ritornare.
Il V. ha naturalmente precisato in più luoghi il suo concetto di finzione: con tale vocabolo egli intende designare da un lato l’attività del «fingere» che è propria del pensiero, dall’altro i prodotti di quest’attività.
«Fictio» egli scrive (cfr. p. 120) significa anzitutto «foggiare, formare, configurare, elaborare, descrivere... rappresentarsi, figurarsi, immaginarsi, ammettere, escogitare, pensare, inventare (qualcosa)».
In secondo luogo (ibidem), significa «il prodotto di quest’attività, la cosa foggiata, immaginata, escogitata».
Le finzioni, intese in quell’ultimo senso, si contraddistinguono per alcuni requisiti, menzionati di frequente nell’intera opera ed esposti con ampiezza in un particolare capitolo (cfr. prima parte cap. XXV, p. 171).
Il primo e principale requisito della finzione consiste nello spontaneo o, se si vuole, arbitrario (willkürlich) «allontanamento dalla realtà operato del pensiero: in una specie di violenza che il pensiero impone liberamente al reale ed allo stesso principio che domina l’attività logica: il principio di contraddizione» (cfr. p. 172).
La transitorietà delle finzioni è la loro seconda caratteristica: il pensiero non si ferma a contraddire il reale, ma cerca il reale: in questa ricerca la finzione deve infine cadere: «Poiché la finzione è una contraddizione alla realtà, essa può aver valore, appunto, solo se usata provvisoriamente...» (cfr. p. 173).
La consapevolezza con cui è posta la finzione è considerata dal V. un terzo requisito; peraltro essa riguarda solo le finzioni normali, poiché l’analisi metodologica e l’indagine storica dimostrano che non sempre questi artifici del pensiero sono consapevolmente impiegati.
Infine il V. presenta un ultimo requisito della finzione, che egli chiama, con vocabolo senza preciso corrispondente in italiano, la «Zweckemässigkeit», cioè l’utilità, la conformità ad uno scopo delle finzioni, il fatto che le finzioni servono come mezzo per un determinato fine (cfr. p. 174).
Tenendo presenti queste quattro caratteristiche, egli ritiene d’avere in mano un vero e proprio «mandato di cattura» (Steckbrief) per tutte le finzioni del pensiero: rimangono tuttavia da chiarire i termini stessi di quello «Steckbrief», affinché esso ci riesca non soltanto leggibile, ma comprensibile.
Se la finzione è un «allontanamento» dalla realtà, una «contraddizione» ad essa, o, come anche il V. dice, una «falsificazione» del reale, noi dobbiamo anzitutto ricercare quale sia, nella Ph. des Als Ob, il concetto di «realtà»: senza di esso – come fu giustamente osservato – non avrebbe quello di finzione alcun senso.
Ora il V. non definisce disgraziatamente in alcun luogo della sua opera il concetto di realtà, ed è questa una non piccola difficoltà per la retta comprensione del suo pensiero. Poiché egli usa tuttavia più volte, in modo inequivocabile, il termine «realtà» e la qualifica di «reale», ci è data la possibilità di trarci d’impaccio.
Ad un’attenta lettura della Ph. des Als Ob, i due poli del mondo vaihingeriano – che è poi il mondo della coscienza – si rivelano essere la «sensazione» e il «pensiero logico». La sensazione è intesa indifferentemente come sentito (cfr. ad es. p. 186) – di interna o di esterna natura (cfr. ad es. p. 186) – e come atto del sentire (cfr. ad es. p. 303); il pensiero è concepito per così dire coestensivamente alle sensazioni, come parte dell’accadere cosmico (cfr. pp. 22, 83, 84 e specialm. 88), come libera attività elaboratrice della sensazione (cfr. p. 130), che si svolge ed opera, entro certi limiti, indipendentemente da questa.
Innumerevoli sono i passi della Ph. des A. O. nei quali alle sensazioni si attribuisce, con grande chiarezza ed energia, la qualifica di «reali»: esse sono considerate anzi «l’ultima immediata realtà» (die letzte unmittlelbare Wirklichkeit, cfr. ad es. pp. 8, 99, 103, 112, 114 e segg. 302) da cui parte ed a cui arriva in ultima istanza il pensiero logico (cfr. pp. 8, 98, 175, 180, 181 ecc.), il fatto primordiale e definitivo della coscienza, alla stregua del quale viene giudicato il valore di verità del pensiero stesso, onde ciò che nel pensiero contraddice alla sensazione, ciò che ne devia, è falso: i prodotti logici che consistono nell’elaborazione delle sensazioni sono «finzioni», appunto in quanto alterano qu...