Capitolo 1 – Carburanti per autotrazione, di Carlo Stagnaro
1. Descrizione generale
Quello dei carburanti per autotrazione è un mercato maturo, caratterizzato in tutti i Paesi della “vecchia” Unione Europea da una domanda stagnante o addirittura in calo. La tassazione è armonizzata a livello comunitario per quel che riguarda i livelli minimi, ma nella pratica ciascuno Stato membro ha fissato l’asticella del prelievo in funzione delle esigenze di gettito, con molti cambiamenti nel corso del tempo.
Il settore si caratterizza per la compresenza di imprese verticalmente integrate e no. Le prime sono presenti anche nel mercato della raffinazione e, spesso, nell’upstream petrolifero; le seconde sono puri retailer, le cosiddette “pompe bianche”, e in un crescente numero di casi soggetti della Grande Distribuzione Organizzata.
Il Paese più liberalizzato è il Regno Unito, che si distingue per l’elevata libertà organizzativa (data dalla compresenza di diversi modelli di distribuzione e da prezzi al netto delle imposte assai contenuti), a dispetto di un’elevata incidenza della fiscalità indiretta. Anche i grandi Paesi europei, Francia, Germania e Spagna, presentano un elevato grado di concorrenza.
2. Metodologia
La liberalizzazione della distribuzione dei carburanti per autotrazione in rete è definita attraverso tre indicatori: Tax, Price e Organization. Ciascuno degli indicatori contribuisce per un terzo alla formazione dell’indice finale.
Tax tiene conto dell’aliquota Iva e del livello delle accise vigente al 31 dicembre 2012 in ciascuno dei Paesi considerati. Il principio è che un’elevata pressione fiscale agisce come una barriera all’ingresso e, quindi, un Paese è tanto più liberalizzato quanto minori sono le imposte gravanti sui carburanti.
Price riflette invece il prezzo industriale medio (cioè al netto delle imposte indirette) dei carburanti (come data di riferimento si è assunto il 17 dicembre 2012, ultimo giorno del 2012 per il quale è disponibile il dato). Il principio è che, poiché i prezzi dei prodotti petroliferi si formano sui mercati internazionali e sono, all’ingrosso, molto simili tra i diversi Paesi, i prezzi medi al netto delle tasse incorporano tutte le informazioni relative all’effettiva dinamica concorrenziale. Quindi prezzi inferiori corrispondono a un mercato più competitivo.
Organization, infine, vuole sintetizzare informazioni sulla libertà organizzativa e sulla dinamicità del settore nei diversi Paesi. In particolare, si sono utilizzate – come proxy – la percentuale di impianti dotati di self service e quelli che vendono anche prodotti non oil. Laddove i dati fossero mancanti, si è assunto un livello pari a quello del peggior Paese nella stessa variabile.
Nei casi in cui applicabile (cioè per tutti gli indicatori Tax e Price) si è utilizzata la media pesata, per ciascun Paese, in relazione a gasolio e benzina (impiegando il consumo dei singoli prodotti come peso).
Per ciascun sotto-indice, il Paese col risultato “migliore” è stato posto pari a 1, quello col risultato “peggiore” pari a 0, e i dati relativi a tutti gli altri sono stati riscalati di conseguenza. L’indice complessivo è espresso in centesimi.
La fonte dei dati è Eurostat per tutti gli indici Tax e Price, il Data Book 2013 dell’Unione Petrolifera per Organization.
3. L’Italia
L’Italia appare in fondo alla classifica, al penultimo posto: solo l’Irlanda ottiene una valutazione peggiore, che tuttavia può essere influenzata sia dalle piccole dimensioni del Paese sia dalla sua natura insulare. Il nostro Paese deve il suo posizionamento a una performance coerentemente negativa in tutti e tre gli indicatori considerati. Per quel che riguarda Tax, abbiamo imposte – specialmente indirette – tra le più alte nel Continente (se si guarda all’entità media delle accise, pesando per i consumi di benzina e diesel, siamo al terzo posto, dopo Svezia e Regno Unito). Per quanto attiene Price, siamo al secondo posto dopo l’Irlanda tra i Paesi caratterizzati da prezzi industriali più elevati (i quali riflettono pure la cattiva organizzazione della rete oltre che il maggior carico fiscale sulle imprese energetiche, cioè la cosiddetta Robin Tax). Da ultimo, l’Italia ha un basso tasso di penetrazione del self service e del non oil. In quest’ultimo caso bisogna sottolineare che gli ultimi dati disponibili risalgono al 2011, quindi è possibile che nel frattempo vi siano state delle evoluzioni positive. Resta il fatto che le leggi regionali imbrigliano il settore impedendone l’evoluzione nella direzione di tutti gli altri Paesi europei.
Capitolo 2 – Mercato del gas naturale, di Massimo Beccarello e Marco Giovacchini
1. Premessa
Il mercato del gas naturale negli ultimi anni ha avuto un forte impulso sul piano della regolazione europea al processo di liberalizzazione e integrazione dei mercati.{7} Anche in questo caso, come nel mercato elettrico, si è cercato di superare l’uso di indicatori strutturali di efficienza relativa, spostando l’analisi sulla costruzione di indicatori multifattoriali di performance.
Nelle parti che seguono saranno analizzate le più rilevanti variabili strutturali dei principali Paesi europei; successivamente, le stesse variabili sono state utilizzate per la costruzione di un indice di efficienza relativa dei diversi mercati.
2. Principali indicatori strutturali del mercato del gas
2.1 Il consumo di gas naturale in Europa
Durante il 2012, i dati relativi ai consumi di gas naturale nell’Unione Europea indicano una diminuzione della domanda nella maggior parte dei Paesi membri.
Questa dinamica di decrescita si è innescata a partire dal 2009 con gli effetti della crisi economica; nel 2010 i consumi erano tornati ai livelli pre-crisi del 2008, per poi calare nuovamente negli anni a seguire.
Osservando le variazioni relative agli ultimi 5 anni, si nota come i Paesi che hanno contribuito maggiormente al calo della quantità domandata in Europa siano Italia (-9,5%) e Regno Unito (-18,4%). Questi sono infatti i due Stati membri che hanno puntato maggiormente sul gas come fonte di generazione elettrica e i cui consumi hanno risentito del crescente peso delle fonti alternative (al gas) per la produzione elettrica (carbone e fonti rinnovabili).
Sono solo 6 i Paesi che all’interno dell’Unione Europea hanno fatto registrare una crescita dei consumi tra il 2007 e il 2012, e appena 4 quelli per i quali vi è stato un aumento dei consumi tra 2011 e 2012 (Belgio, Francia, Germania e Polonia).
2.2 Produzione e importazione di gas in Europa
Il continente europeo, a causa della scarsità di materia prima presente nel proprio territorio, è fortemente dipendente dalle importazioni di gas naturale dall’estero.
Nell’UE, il gas naturale è principalmente importato dalla Russia che copre un terzo dell’intero fabbisogno europeo, il 27% proviene invece dalla Norvegia e il 14% dall’Algeria.
Il dato medio riguardante la produzione di gas naturale “indigena” dei Paesi europei considerati indica una copertura del solo 33% del fabbisogno domestico.
Gli unici due Paesi autosufficienti nella produzione di gas, che quindi non dipendono dalle importazioni, come mostra la Figura 2, sono Danimarca e Paesi Bassi.
La Danimarca soddisfa la propria domanda di gas naturale mediante l’estrazione di idrocarburi provenienti dal Mare del Nord e dal largo delle isole Faroe; la produzione olandese è invece principalmente proveniente da pozzi a terra.{8}
Per quanto riguarda il mercato italiano, le importazioni nette di gas naturale nel 2012 sono state pari a 67,6 G(m3), in diminuzione rispetto al dato 2011 di 70,2 G(m3).
La principale causa di questa diminuzione risiede nel calo della domanda, collegata sia agli effetti della crisi economica, sia alle dinamiche già citate del funzionamento del mercato dell’energia elettrica.
Il fabbisogno totale coperto tramite importazioni rimane invariato rispetto al dato 2011, attestandosi intorno al 90% e confermando la dipendenza strutturale del nostro sistema di approvvigionamento di gas dalle importazioni.
I contratti di importazione utilizzati in Italia dimostrano il largo utilizzo di contratti a lungo termine. Il 65% delle importazioni avviene infatti mediante contratti con durata complessiva superiore ai 20 anni.
I contratti spot (con durata annuale) rimangono stabili al 9% del totale dei contratti di importazione, confermando lo stesso valore fatto registrare nel 2011.
Osservando i contratti dalla prospettiva della loro ...