La guerra degli intellettuali al capitalismo
eBook - ePub

La guerra degli intellettuali al capitalismo

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La guerra degli intellettuali al capitalismo

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Perché gli intellettuali non amano il capitalismo? Saggi, romanzi, opere teatrali e manifesti: da sempre gli uomini di cultura puntano il dito contro i mali prodotti dal sistema economico basato sulla proprietà privata. Posizioni simili uniscono personalità molto diverse tra loro: da Gustave Flaubert a Karl Marx, da T.S. Eliot a Friedrich Nietzsche, da Ezra Pound a Pablo Picasso.Da due secoli, l'intellighenzia rifiuta il progresso economico e la libera impresa, affidandosi di volta in volta a movimenti politici diversi, dal nazionalismo al socialismo, dal fascismo al comunismo, col solo obiettivo di superare il grigiore e la volgarità della società commerciale. Ai nostri giorni, come scrive Kahan nella sua prefazione, tutti i movimenti populisti «esprimono una comune antipatia per il libero mercato e per la crescente autorità delle organizzazioni sovranazionali che incoraggiano la libera circolazione dei capitali e delle persone (cioè l'immigrazione)».La guerra degli intellettuali al capitalismo racconta la storia di questo scontro, prova a spiegare i motivi di tale ostilità e tenta di individuare possibili forme di convivenza pacifica fra intellighenzia e mondo produttivo. Perché lo scontro tra "mente" e "denaro" è il grande conflitto, ancora irrisolto, della società moderna.Alan S. Kahan ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia all'Università di Chicago e attualmente è professore di British Civilization all'Università di Versailles/St. Quentin. Le sue ultime pubblicazioni sono Tocqueville, Democracy, and Religion. Checks and Balances for Democratic Souls (Oxford University Press, 2015) e Alexis de Tocqueville (Continuum Books, 2010)

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La guerra degli intellettuali al capitalismo di Alan S. Kahan in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politica e relazioni internazionali e Ideologie politiche. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2019
ISBN
9788864403816

Capitolo 1. La torre d’avorio in guerra

Mente e denaro
Per oltre centocinquant’anni gli intellettuali occidentali sono stati in guerra con il capitalismo. Le conseguenze sono state spesso disastrose per tutte le persone coinvolte. È ora che il mondo realizzi di essere stato in guerra. È giunto il tempo di una tregua.
Il filosofo tedesco Hegel diceva che la nottola della saggezza può volare soltanto dopo il crepuscolo. Quello che intendeva è che comprendiamo appieno gli eventi, anche quelli di lunga durata, solo dopo che si sono conclusi. L’ostilità di una parte considerevole dell’élite intellettuale occidentale verso il capitalismo è stata un fattore costante della storia moderna, che ha avuto talvolta risultati disastrosi, eppure per qualche ragione se ne sono accorti in pochi. Ma è importante saper riconoscere un conflitto che va avanti da centocinquant’anni.
Durante questo lungo periodo, numerosi intellettuali occidentali hanno strombazzato il proprio disprezzo per il capitalismo e i capitalisti. Hanno scritto romanzi, opere teatrali e manifesti per mostrare i mali del sistema economico in cui vivevano. Antipatia e disprezzo per la borghesia, per la classe media, per l’industria e il commercio sono stati predominanti tra i più importanti scrittori e artisti occidentali. Quei sentimenti sono stati espressi da personalità molto diverse: Gustave Flaubert e Karl Marx, T.S. Eliot e Friedrich Nietzsche, Ezra Pound e Pablo Picasso. Non sarebbe difficile aggiungere un altro centinaio di celebrità alla lista, da Matthew Arnold a Émile Zola, e molte compariranno nei capitoli che seguono. Non tutti gli intellettuali hanno odiato il capitalismo, forse nemmeno la maggioranza – nessuno li ha mai contati o fatto statistiche. Ma è certo che un gran numero, e non si tratta dei meno influenti, nutriva quei sentimenti.
Questi intellettuali hanno espresso il loro rifiuto del capitalismo attraverso la partecipazione a molti movimenti differenti, tra cui il nazionalismo, il socialismo, il fascismo, il comunismo, ma anche con l’antisemitismo e durante gli anni della controcultura.
L’anticapitalismo continua oggi ad assumere nuove forme. Il movimento no-global, i verdi, il comunitarismo e le tendenze new age ne sono degli esempi. Gli intellettuali hanno dato a questi movimenti la forza, la legittimazione e la leadership che altrimenti non avrebbero avuto. Ciò che unisce gli intellettuali radicali del diciannovesimo secolo, i simpatizzanti comunisti e fascisti del ventesimo e gli attivisti no-global del ventunesimo, insieme a molti altri intellettuali, è il rifiuto del capitalismo. Se sono intellettuali, è molto probabile che siano anche oppositori del capitalismo.
Il capitalismo ha scatenato l’opposizione costante di molti pensatori. Di tale opposizione cambiava solo la forma. Non tutti gli intellettuali che rifiutano il capitalismo hanno un’alternativa in mente. Proprio come molte persone ritengono illegittimo il loro sistema di governo senza avere la più pallida idea di quale possa essere il sistema migliore, così molti intellettuali ritengono il capitalismo illegittimo senza preferire il socialismo, né avere un qualche sostituto a portata di mano. Possiamo criticare i difetti umani senza sapere come eliminarli. Gli intellettuali che rifiutano il capitalismo si trovano spesso in questa situazione. Le loro critiche non sono per questo meno severe.
Sotto il comunismo e il fascismo, la guerra tra mente e denaro è stata combattuta con armi mortali, portando alla morte di milioni di persone, nei campi di concentramento, nei gulag o durante le carestie. Potrebbe accadere ancora, se non si trova un modo migliore per affrontare il conflitto. Per il momento, tuttavia, la mente si è rivolta verso un nuovo tipo d’arma, nella perenne lotta contro il denaro. Ora la guerra tra mente e denaro è perlopiù una battaglia che si combatte sul campo della cultura e dello stile di vita. Le guerre culturali sono preferibili a quelle combattute con le armi da fuoco. Ma, anche se siamo fortunati e la guerra tra mente e denaro resta una guerra fredda culturale, pagheremo comunque un prezzo alto per questo conflitto. Oggi, una delle divisioni più profonde nella cultura occidentale è tra coloro che disprezzano e diffidano del mondo del business e coloro che non riescono a capire chi nutre tale disprezzo. In tutto il mondo occidentale, le società rimangono divise tra coloro che praticano il capitalismo e coloro che lo condannano. Abbiamo parlato di cose diverse, lamentandoci che non riuscivamo a trovare un terreno comune. Gli intellettuali e gli imprenditori vivono nella reciproca incomprensione. In una miriade di forme, su moltissimi fronti, la battaglia tra mente e denaro continua dopo centocinquant’anni a essere combattuta. È il grande e irrisolto conflitto della moderna società occidentale. Il bilancio dei morti è stato alto e potrebbe salire ancora. Per nutrire la speranza di fermarlo, dobbiamo prima comprenderlo.
Perché così tanti intellettuali odiano il capitalismo? Qual è il problema? Per molti intellettuali, la risposta a queste domande è talmente ovvia che non vale la pena porsele. Le ragioni per cui nutrono quel sentimento è parte della loro stessa identità. Derivano dal ruolo che gli intellettuali hanno assunto nelle società moderne, e dalle tradizioni storiche che li ispirano. L’identità degli intellettuali, la loro condizione sociale e il loro passato sono il punto di partenza per il loro assalto al capitalismo.
Con “capitalismo” – per indicare il quale utilizzerò occasionalmente il termine, politicamente meno connotato, di “società commerciale” – intendo un sistema dato da un modo di organizzare la produzione economica, e le persone, le tecnologie e i valori più strettamente associati a quella forma di produzione. Detto altrimenti, capitalismo significa economia di libero mercato + moderne tecnologie + classi medie + l’insieme di valori associati a questi elementi. Gli intellettuali anticapitalisti potranno non attaccare tutti gli aspetti del capitalismo, ma ne attaccano almeno uno, e spesso anche di più. Possono voler abolire la proprietà privata, o preservarla mentre intendono cancellare le grandi imprese e la tecnologia. Possono avere come bersaglio principale gli speculatori di borsa o i negozianti dei piccoli centri, oppure possono considerare entrambi schiavi di Mammona. A volte gli intellettuali vogliono sostituire il capitalismo con qualcosa di diverso. Altre volte esprimono sdegno per i capitalisti pur essendo rassegnati al sistema. Lo spettro dell’opposizione intellettuale al capitalismo è ampio. Varia sia nella forma sia nell’intensità, ma è sempre lì fra di noi. A molti intellettuali il capitalismo non piace, non è mai piaciuto e mai piacerà. Talvolta trovano un pubblico che li ascolta.
Possiamo considerarla una guerra? A volte qualcuno resta ucciso, altre volte no. A volte il capitalismo ne risulta sconfitto, ma nella maggior parte dei casi no. L’intensità del conflitto è aumentata e diminuita nel tempo, al pari dell’intensità dei sentimenti anticapitalisti. Gli intellettuali che praticano un’opposizione violenta al capitalismo sono in minoranza, rispetto a quelli che si limitano al disprezzo. Qualcuno potrà cavillare sull’adeguatezza del termine “guerra” per descrivere un conflitto combattuto più a suon di insulti che di armi da fuoco. Ma nessuno può dubitare dell’esistenza, della durata e dell’importanza di tale conflitto. Conflitto che appartiene alla medesima lotta: quella tra mente e denaro.
Chi sono gli “intellettuali”?
Per comprendere l’ostilità degli intellettuali nei confronti del capitalismo, dobbiamo prima capire chi sono. Una volta, nel rispondere alla domanda su come definire un termine notoriamente scivoloso, un giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti affermò che pur non essendo in grado di definire la pornografia, era in grado di riconoscerla se la vedeva. Non è difficile identificare gli intellettuali seguendo questo metodo, ma una comprensione del conflitto tra mente e denaro richiede un’analisi più approfondita di ciò che fa di una persona un intellettuale, e di come gli intellettuali si inseriscono, o non si inseriscono, nella società moderna.
Chi è dunque l’intellettuale? Come riconoscerlo? La risposta breve è che la moderna intellighenzia è suddivisa in accademici e bohémien, cioè da professori, scrittori e artisti. Ma tale risposta, breve e semplice, è anche vaga e imprecisa. È più facile che un professore d’inglese sia un intellettuale, piuttosto che lo sia un idraulico o un revisore dei conti ma non tutti i professori d’inglese sono intellettuali e alcuni intellettuali sono idraulici.
Ci sono tre elementi che distinguono gli intellettuali e che, nell’insieme, ci danno un’idea del perché essi disprezzano il capitalismo: un elemento sociale, uno linguistico e uno morale. Gli aspetti sociali, come l’occupazione e l’istruzione, sono quelli che danno maggiormente nell’occhio, benché siano meno importanti del tipo di linguaggio usato e delle opinioni morali professate.
Socialmente, gli intellettuali si distinguono spesso per la loro occupazione e la loro istruzione. I lavori praticati dagli intellettuali sono cambiati nel corso del tempo. Nel diciannovesimo secolo, i bohémien, cioè scrittori e artisti, romanzieri, giornalisti e poeti, occupavano una fetta più ampia della classe degli intellettuali, rispetto agli accademici. Alla fine di quel secolo i professori universitari erano ben pochi, perfino in Europa. Nel 1860, in Inghilterra, Francia e Germania c’erano non più di 3.500 docenti universitari, mentre si potevano contare più di 10.000 tra scrittori ed editori. Di contro, nel 2004 i docenti universitari negli Stati Uniti erano 1,6 milioni, mentre scrittori ed editori erano all’incirca 320.000. Il cambiamento nelle proporzioni, come anche nei numeri, è stato immenso. Oggi una lista di professioni che riunisce gli intellettuali americani ed europei includerebbe professori di materie umanistiche e scienze sociali – a oggi il gruppo più grande – oltre a figure provenienti dai media, dalle case editrici, dal settore no profit, da alcune organizzazioni ecclesiali, scrittori e critici. Gli intellettuali apparterranno più facilmente alle élite di queste professioni e svilupperanno, di conseguenza, un atteggiamento di opposizione verso il capitalismo.{19}
Ciò che, invece, dal diciannovesimo secolo non è cambiato è quello che gli intellettuali non fanno per vivere. Non lavorano nel mondo del business. Come regola generale, quanto più un gruppo sociale è lontano dal mondo della produzione e del commercio, e quanto più stabile è tale isolamento, tanto più esso tenderà a sviluppare un anticapitalismo radicale. Ecco perché gli intellettuali sono sempre stati più ostili al capitalismo delle persone che lavorano in una catena di montaggio.
L’altro tratto sociale distintivo di un intellettuale, oltre all’occupazione, è l’istruzione. Nella storia, gli intellettuali hanno sempre avuto in comune un alto livello di istruzione. I bohémien possono anche abbandonare il college, ma in un modo o nell’altro imparano ciò che gli serve al di fuori della classe. Attraverso l’istruzione gli intellettuali hanno acquisito la padronanza di certi valori culturali, insomma un “capitale culturale”. Ma essi non sono una classe in senso economico. Come i nobili medievali, traggono la propria identità dallo status, non dalla ricchezza. L’istruzione è parte essenziale di quello status. Nel corso del ventesimo secolo, per questo status è diventato sempre più necessario un riscontro accademico, nella forma di un diploma e poi di una laurea (se eccettuiamo i bohémien). Dar prova del proprio curriculum studiorum ha sostituito il dar prova del proprio retaggio nobiliare.{20}
Ma ancora più importante della laurea è il tipo di istruzione ricevuta. Prima del 1914, l’educazione formale degli intellettuali non andava oltre il diploma di scuola superiore, dove si studiava molto latino e greco. Oggi, chi si limita ad avere un diploma difficilmente sarà un intellettuale, non avendo ricevuto il giusto tipo di istruzione. Il tipo d’istruzione necessario per essere degli intellettuali ha sempre ruotato attorno alle materie umanistiche o alle arti liberali. Come gli etimologi amano ripetere, “liberale” deriva dal latino liber, “libero”, e le arti liberali sono le discipline adatte a una persona libera. Nel mondo antico una persona libera, diversamente da uno schiavo, era qualcuno che non aveva bisogno di lavorare per vivere, cosicché lo studio delle arti liberali non aveva alcuno scopo professionale diretto. I testi canonici dal mondo greco-romano, che fornirono le basi dell’istruzione avanzata fino alla Prima guerra mondiale, non erano affatto amichevoli nei confronti del mercato. Nel mondo occidentale, il divorzio tra l’istruzione dell’élite e il business è avvenuto già da molto tempo.
L’istruzione avanzata è un aspetto necessario per qualificarsi come intellettuali, ma non è mai stata sufficiente. Affinché si possa identificare qualcuno come intellettuale, all’istruzione e all’impiego devono accompagnarsi aspetti personali quali il linguaggio e le attitudini. In effetti gli intellettuali si rivelano tali ben prima che qualcuno abbia scoperto come si guadagnino da vivere o se hanno un dottorato. In linea di massima, quando lo osservi, lo ascolti, o leggi quello che scrive, lo riconosci. In occidente gli intellettuali moderni sono accomunati da un linguaggio che li distingue dai non-intellettuali. Gli intellettuali – che parlino inglese, francese o tedesco – adoperano un linguaggio particolare, che chiamiamo “cauto discorso critico” (CDC). Nel CDC, se qualcuno esprime una tesi, dev’essere pronto a difenderla con delle ragioni, senza fare appello all’autorità. Per un intellettuale niente è giustificato dal semplice appello all’autorità o alla tradizione. Certo, citare Platone o Kant dà peso all’argomentazione di un intellettuale. Ma il CDC non ammette che un’autorità non sia mai messa alla prova: in linea di principio qualsiasi pensatore e qualsiasi argomento sono passibili di correzione.{21} Non si può sostenere qualcosa semplicemente “perché la penso così”. Nel linguaggio del CDC un’opinione è sostenibile solo se la si può giustificare. Se da un lato ciò è democratico, dall’altro è aristocratico, poiché non tutti sono in grado di formulare un’argomentazione come sarebbe richiesto dal cauto discorso critico, e chi non ne è in grado non ha voce in capitolo: «Gli intellettuali hanno sempre creduto che chi conosce la regola o la teoria che guida il suo agire è superiore agli altri, in quanto conduce un’esistenza riflessiva». Se non ti esprimi correttamente, gli intellettuali ti scruteranno dall’alto in basso perché non stai utilizzando il CDC per giustificare le tue azioni o credenze. È anche per questa ragione che gli intellettuali moderni rappresentano una sorta di aristocrazia. A loro volta, sono spesso ritenuti degli “snob” da coloro che trovano il CDC alieno e alienante. Tra le ragioni dell’ostilità tra mente e denaro c’è anche questo divario linguistico.{22}
Se pensiamo all’intellettuale come qualcuno che utilizza un certo tipo di linguaggio e segue le regole di un gioco, possiamo comprendere quei gruppi che si situano al confine dell’intellighenzia: ad esempio il clero, che assume la rivelazione quale fonte autorevole non soggetta a scrutinio – benché il significato della scrittura rivelata sia aperto al dibattito secondo le regole del cauto discorso critico. Più un clero è fondamentalista, meno sarà propenso ad accettare che l’interpretazione sia aperta al dibattito, e più sarà difficile che al suo interno vi siano degli intellettuali. Un modo ulteriore in cui il CDC permette di distinguere tra l’ecclesiastico o l’insegnante generico e l’intellettuale è che la funzione critica è adoperata per scoprire nuove verità e nuovi linguaggi, anziché limitarsi a trasmettere vecchie tradizioni. Parte dell’essere intellettuale, nella società moderna, è aspirare all’originalità. Sia per la loro predilezione per l’innovazione, sia per la tendenza a criticare vecchi modi di agire, gli intellettuali possono essere di grande utilità in una società capitalista.{23}
Gli scienziati e gli ingegneri sono intellettuali? Senza dubbio cercano di arrivare a nuove scoperte, ma in circostanze ordinarie la scienza e la tecnologia non fanno uso del linguaggio critico, e perciò non è sempre chiaro se coloro che le praticano siano intellettuali. Solitamente gli scienziati sono concordi su così tante cose che considerano molte aree effettivamente fuori discussione. D’altro canto, quando gli esperimenti danno dei risultati inattesi, gli scienziati adoperano il discorso critico per risolvere i problemi sollevati. Forse lo fanno più raramente, fatto sta che è più difficile che scienziati e tecnici siano ostili al capitalismo, perché sono meno intellettuali degli intellettuali. Senza voler negare che chi è impegnato nella “ricerca di base” guardi talvolta dall’alto in basso chi opera nelle scienze applicate, in parte per via dell’associazione tra queste e il mercato.{24}
Ma l’aspetto più importante di ciò che costituisce un intellettuale non è il lavoro, l’università che frequenta e nemmeno il modo in cui parla. È qualcosa di più profondo. Nel diciannovesimo secolo, lo psicologo e filosofo americano William James distinse gli uomini d’affari e gli intellettuali come rispettivamente «persone che hanno» e «persone che sono». Al di là del suo pregiudizio verso il mondo del business (James pensava che gli uomini d’affari non fossero altro che i loro soldi) aveva ragione nel suggerire che gli intellettuali sono identificati per le loro qualità interiori. I segni esteriori non sono sufficienti. È la mentalità che fa l’intellettuale. Tutti gli intellettuali hanno una mentalità bohémien. Amano moraleggiare, benché spesso parlino a bassa voce.{25}
Cosa significa “mentalità bohémien”? È qualcosa che hanno tanto gli accademici che gli intellettuali d’altro genere. Si fonda sull’orgoglio dell’indipendenza e dell’autonomia. L’autonomia è un valore cruciale per l’intellettuale, che ...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Prefazione all’edizione italiana
  3. Parte I
  4. Capitolo 1. La torre d’avorio in guerra
  5. Capitolo 2. I tre divieti
  6. Capitolo 3. L’inaspettata luna di miele tra mente e denaro (1730-1830)
  7. Parte II
  8. Capitolo 4. Come il capitalismo ha perso la battaglia per la conquista delle persone
  9. Capitolo 5. Alternative accademiche al capitalismo
  10. Parte III
  11. Capitolo 6. La guerra
  12. Capitolo 7. La ritirata
  13. Capitolo 8. Gli scontri recenti
  14. Capitolo 9. Gli intellettuali e la società democratica
  15. Ringraziamenti