Morire di aiuti
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I fallimenti delle politiche per il Sud (e come evitarli)

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Morire di aiuti

I fallimenti delle politiche per il Sud (e come evitarli)

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Cosa sappiamo dell'efficacia delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno? Hanno raggiunto gli obiettivi che si proponevano? Ci sono stati effetti collaterali negativi?Negli ultimi venticinque anni il progresso della scienza economica e la disponibilità di nuovi dati hanno consentito di realizzare una precisa analisi degli esiti degli aiuti al Meridione. Grazie all'uso di metodologie statistiche rigorose, ora siamo in grado di verificare se i trasferimenti monetari hanno effettivamente contribuito a sollevare le sorti del Sud.Dalla lettura di questo libro, emerge che l'evidenza a favore di tali interventi è però molto scarsa ed è perfino più deludente di quella desumibile da politiche simili impiegate in altri Paesi.Come scrive Nicola Rossi nella sua prefazione, «il pamphlet di Accetturo e de Blasio è, per certi versi e giustamente, financo impietoso nel segnalare l'inefficacia delle politiche di sviluppo territoriale. Non uno degli strumenti messi in campo dalla politica regionale dell'ultimo quarto di secolo viene in qualche senso e in qualche misura risparmiato dal lavoro puntuale dei due economisti».

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Informazioni

Editore
IBL Libri
Anno
2019
ISBN
9788864403892
Argomento
Economics

Capitolo 1. Misurare l’efficacia degli aiuti

Tenere traccia – anche solo per sommi capi – delle politiche per il sostegno alle aree arretrate del nostro Paese è una vera impresa, perfino per gli addetti ai lavori. Dagli anni Cinquanta molto si è provato a fare; anche cose molto diverse tra loro (e questo è stato una parte del problema).{11} Nel presente capitolo cercheremo di ricostruire una serie di azioni nate dopo la fine dell’intervento straordinario all’inizio degli anni Novanta e destinate al sostegno economico non solo del Mezzogiorno ma anche di quelle aree del Centro-Nord che – di fronte alle trasformazioni economiche epocali degli ultimi trent’anni – hanno registrato difficoltà di adattamento e crescente disoccupazione.
Soldi alle imprese meritevoli
Uno dei primi tentativi di applicare metodi di valutazione a politiche di incentivazione a favore del Mezzogiorno ha avuto per oggetto gli incentivi della legge 488 del 1992.{12} Questi sussidi venivano assegnati attraverso delle aste, in cui le imprese gareggiavano per ottenerli sulla base di alcuni criteri, come la proporzione di fondi propri impegnati nel progetto di investimento, il numero di posti di lavoro che il progetto si proponeva di realizzare e l’ammontare del sussidio richiesto. Alle imprese che investivano più risorse proprie, che assumevano di più e che chiedevano meno contributi veniva dato un punteggio più altro nella graduatoria. I sussidi venivano quindi assegnati partendo dall’apice della graduatoria e scorrendo verso il basso fino all’esaurimento delle risorse a disposizione (si noti quindi che nelle graduatorie vi è traccia delle imprese che pur avendo fatto domanda non hanno ottenuto il finanziamento). Con questa tipologia di intervento l’interesse del policy maker era quello di trasferire risorse verso le imprese migliori (che quindi erano pronte a finanziare una quota più alta con risorse proprie e/o a chiedere meno contributi pubblici) nella convinzione che le imprese migliori potessero utilizzare i fondi pubblici in maniera più efficace, rispetto alle imprese meno produttive (nei testi di politica industriale questo approccio è denominato picking winners).
Per misurare quindi l’effetto del sussidio, un eventuale confronto tra un’impresa che ha ottenuto il contributo e un’altra qualsiasi potrebbe avere poco senso: le imprese vincitrici, proprio per effetto del meccanismo ad asta, sono sicuramente imprese migliori di quelle che non hanno ricevuti i fondi e probabilmente avrebbero investito di più anche senza l’aiuto ricevuto. Insomma, non si riuscirebbe a separare l’effetto dei sussidi dalla distorsione da selezione. Una strada percorribile è invece quella di sfruttare le graduatorie.{13} Al loro interno troviamo infatti imprese più simili (se non altro perché tutte interessate a ricevere l’aiuto, dato che lo hanno richiesto) e se ci concentriamo su quelle appena al di sopra e appena al di sotto della linea di demarcazione costituita dal vincolo delle risorse, abbiamo la possibilità di confrontare imprese, rispettivamente finanziate e no, che sulla base del punteggio loro attribuito differiscono per “poco”. Siamo quindi in grado di misurare l’effetto del sussidio da solo, non contaminato dalla distorsione da selezione, visto che le imprese vicine alla soglia sono molto simili.
Al netto dell’effetto della selezione, l’efficacia della legge 488 nello stimolare investimenti aggiuntivi è risultata modesta. Il confronto suggerisce che gli incentivi avrebbero indotto soprattutto effetti di anticipazione delle decisioni d’investimento. Nel periodo triennale di validità delle agevolazioni la variazione dello stock di capitale delle imprese assegnatarie risulta infatti in media superiore a quello delle imprese escluse; alla scadenza del periodo, tuttavia, le imprese beneficiarie riducono significativamente il volume degli investimenti, portandoli in media a livelli inferiori a quelli delle imprese che non avevano beneficiato delle agevolazioni. L’evoluzione è quella descritta in figura 1, con riferimento al 3° e al 4° bando della legge. Per entrambi i bandi la differenza negli investimenti tra imprese trattate e non trattate è a favore delle prime nel periodo di validità delle elargizioni, rispettivamente 1997-1999 e 1998-2000, per poi diventare favorevole alle seconde. Purtroppo non si tratta dell’unica evidenza deludente. Altri risultati suggeriscono che le agevolazioni della legge 488 potrebbero aver prodotto anche effetti di spiazzamento, per cui in assenza di intervento gli investimenti effettuati dalle imprese agevolate sarebbero stati comunque effettuati da quelle non beneficiate dai sussidi. Insomma, picking winners ha significato un trasferimento di risorse pubbliche a favore di imprese a cui non ha fatto seguito una più intensa accumulazione di capitale.
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Interventi top-down
Una modalità tradizionale delle politiche di aiuto è quella di favorire con appositi sussidi l’insediamento di grandi attività industriali in un territorio in ritardo di sviluppo. Tipicamente è il livello centrale di governo che contratta con l’impresa privata la localizzazione degli impianti, le altre regole di ingaggio e la compensazione finanziaria (questa è la ragione per cui si parla di interventi top-down). Nell’esperienza italiana questo approccio è stato seguito, a partire dal 1986, attraverso i Contratti di programma (che erano aperti non solo alle grandi imprese, ma anche ai gruppi di imprese e ai consorzi di piccole e medie imprese),{14} di cui hanno beneficiato aziende italiane e straniere. Forse il caso più noto è quello dello stabilimento di Melfi della Fiat. La figura 2 mostra i territori comunali che sono stati coinvolti nel corso degli anni dall’iniziativa.
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Nel caso di interventi rivolti a un territorio, il controfattuale appropriato è costituito da un territorio simile a quello che ha ospitato gli investimenti sussidiati (ad esempio, una località simile a Melfi per geografia e tessuto socio-economico locale) ma che non è stato interessato da un insediamento produttivo incentivato. Ovviamente, per quanto si possa provare a scegliere oculatamente il controfattuale sulla base delle informazioni che si hanno, resta sempre un margine di incertezza dovuto alla circostanza che alla fine della fiera Melfi è stata scelta in base a un processo di contrattazione tra il governo e la Fiat mentre la nostra località controfattuale no. Per cui è probabile che Melfi possegga delle caratteristiche che la rendono una localizzazione migliore agli occhi della Fiat (ad esempio perché l’azienda ha informazioni sulla qualità della forza-lavoro locale che l’economista non possiede) e/o a quelli delle autorità di politica economica (ad esempio perché un influente membro del governo è di origini lucane!) e che queste caratteristiche possano avere un ruolo per le sorti del territorio all’indomani dell’insediamento Fiat.
Per provare a mitigare la distorsione da selezione, una strada è quella di confrontare in un certo intervallo temporale le aree incentivate con altre simili alle prime, ma che seppure non oggetto dei Contratti di programma durante quel particolare periodo lo divengono successivamente. Se la contrattazione tra governo e imprese si svolge secondo modalità stabili nel tempo (cosa che nell’esperienza italiana sembra avvalorata dalle dichiarazioni dei manager delle imprese coinvolte){15} allora le aree di controllo così selezionate è probabile che abbiano in comune con quelle trattate anche quelle caratteristiche che le rendono appetibili come destinazione degli insediamenti industriali.
Sfruttando questa logica{16} è possibile derivare dei risultati per il periodo 2001-2008 per il quale si ha un gruppo di Contratti approvati nel periodo 2001-2003, che definiscono le aree trattate, che possono essere confrontati con quelli approvati dopo il 2008, che corrispondono alle aree non trattate. I risultati mostrano che nei comuni interessati da un Contratto di programma vi sarebbe evidenza di un modesto effetto positivo sulla crescita del numero di stabilimenti e degli occupati nel settore industriale e dei servizi privati non finanziari (entrambe le variabili crescono rispetto al controfattuale di circa l’1% in più all’anno). Tuttavia, questo effetto avviene per lo più a discapito delle aree confinanti. L’intervento avrebbe cioè per lo più indotto uno spostamento dell’attività economica dalle aree limitrofe non interessate da un Contratto di programma verso quelle in cui era localizzata un’iniziativa imprenditoriale agevolata. Non si tratta di un risultato bizzarro: effetti di spiazzamento di questo tipo (displacement) sono frequenti quando si tratta di interventi di sostegno rivolti ad aree delimitate.{17},{18} Complessivamente, quindi, questo intervento top-down pare abbia funzionato poco, e quel poco è stato raggiunto a scapito dei territori limitrofi.
Interventi bottom-up
Durante gli anni Novanta si fece strada l’idea per cui gli interventi volti a favorire lo sviluppo di un’area dovessero basarsi non su una decisione presa a livello centrale, ma su un accordo a livello locale tra soggetti portatori di interessi diversi (amministrazioni pubbliche, sindacati, imprenditori) tutti interessati allo sviluppo economico, in modo da delineare un piano di sviluppo applicabile al territorio di riferimento. L’idea dell’impostazione bottom-up era che il metodo della concertazione sarebbe stato in grado di contribuire a costruire quel capitale di fiducia e cooperazione storicamente assente nelle aree depresse. Questa impostazione è stata seguita in Italia con i Patti territoriali, attraverso i quali venivano sia finanziati interventi di tipo infrastrutturale sia erogati sussidi alle imprese, sulla base di un accordo sottoscritto dai rappresentanti delle amministrazioni locali, degli imprenditori e dei lavoratori di un gruppo di comuni contigui. Raggiunto l’accordo localmente, il Patto veniva successivamente approvato dalle autorità centrali.{19}
Eliminare la distorsione da selezione per questo tipo di interventi non è un compito agevole. Confrontare un insieme di comuni che aderisce a un Patto con un insieme (anche simile per caratteristiche geografiche e socio-economiche) di comuni che non aderisce all’iniziativa non è una strada percorribile visto che i primi sono dichiaratamente più cooperativi dei secondi e, sulla carta, hanno maggiormente a cuore lo sviluppo dell’area. Una possibilità è sfruttare la circostanza per cui non tutte le aree italiane potevano dar luogo ai Patti territoriali.{20} In base alle norme Ue, infatti, vi erano alcune province che non potevano essere destinatarie di aiuti. Si tratta delle province centro-settentrionali che si trovavano al di fuori degli Obiettivi 2 e 5b (in base alle classificazioni Ue adoperate in quel periodo). La figura 3 mappa sul territorio nazionale i comuni eleggibili e, tra questi, quelli che effettivamente hanno dato luogo a un Patto territoriale. Per il Centro-Nord, quindi, si è in grado di “accoppiare” ciascun comune trattato con un comune simile per caratteristiche geografiche e socio-economiche ma con una diversa possibilità di partecipare a un Patto territoriale (i comuni al di fuori delle province degli Obiettivi 2 e 5b non sono eleggibili).
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I risultati mostrano che i Patti territoriali non hanno avuto alcun effetto. Hanno quindi finanziato iniziative imprenditoriali che sarebbero state in ogni caso portate a termine, anche in assenza del programma. Come accennato, questa stima è però relativa all’area del Paese meno interessante ai nostri fini, ovvero alle regioni del Centro-Nord. Per i Patti del Mezzogiorno si è proceduto con una stima leggermente più complessa che implica il calcolo di un selection bias per i comuni del Centro-Nord per utilizzarlo poi come fattore di correzione per le stime sui comuni del Sud. Anche in questo caso i risultati confermano l’assenza di effetti. Il fatto che l’intervento bottom-up italiano non abbia prodotto i risultati sperati potrebbe essere messo in relazione alla circostanza in base alla quale i fondi pubblici furono effettivamente trasferiti ai territori con ritardi significativi. Alcuni risultati tuttavia non sembrano supportare questa interpretazione: per esempio, l’inefficacia si ritrova sia per i Patti che hanno sperimentato ritardi con i trasferimenti sia per quelli in cui invece non ci fu nessuna lungaggine.
Soldi alle aree in crisi
Introdotti negli anni Novanta, i Contratti d’area sono dei programmi di aiuto per le aree interessate da rilevanti processi di de-industrializzazione. Nel disegno della politica, i Contratti d’area avevano degli elementi in comune con i Patti territoriali per quanto riguarda le aree di eleggibilità (che sono le stesse di figura 3), alcuni elementi di concertazione locale (tra amministrazioni e rappresentanti di lavoratori e imprese) che venivano richiesti come pre-condizione ai finanziamenti, decisi successivamente dall’autorità centrale e relativamente al...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Prefazione, di Nicola Rossi
  3. Introduzione. Cosa racconta questo pamphlet
  4. Capitolo 1. Misurare l’efficacia degli aiuti
  5. Capitolo 2. Effetti indesiderati
  6. Capitolo 3. Cosa succede negli altri Paesi
  7. Capitolo 4. L’efficacia degli aiuti e le istituzioni
  8. Capitolo 5. Politiche pubbliche e funzionamento dei mercati
  9. Capitolo 6. Il futuro: come migliorare le politiche per lo sviluppo locale?