Capire con il cuore
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Capire con il cuore

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La sindrome di Asperger fa parte dei disturbi dello spettro dell'autismo ed è caratterizzata sia da un deficit persistente nella comunicazione sociale e nell'interazione sociale sia dalla presenza di comportamenti, interessi e attività ristretti e ripetitivi. Ma gli Asperger, come spiega questo libro, non hanno una disabilità intellettiva, rappresentano una minoranza di persone che sentono e pensano diversamente, incapaci di ipocrisie e malizie: persone che la sorte ha voluto diverse. Contribuiscono al successo della specie Homo sapiens e sono stufe della compassione appiccicosa dei cosiddetti neurotipici e, soprattutto, della medicalizzazione psichiatrica. La loro diversità non è una malattia: sfida l'ignoranza e la rigidità sociale, allarga i criteri di inclusione e obbliga a un salto di conoscenze e a una loro ampia diffusione.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788859020240
Argomento
Education

Capitolo primo

Storia

Io sono un Aspy. Odio i locali dove la gente chiacchiera, alcuni rumori mi spaventano; adoro soffermarmi sui dettagli di un’automobile, senza accorgermi del tempo che passa. Non mi interessa accumulare soldi (ma mi servono per spostarmi e comprare modellini e giornali di auto), né il sesso (troppo umido), tanto meno la carriera (chi spende la vita sgomitando mi sembra un cretino). Ho una predilezione per le automobili: mi sveglio ogni giorno col desiderio di comprare un altro modellino o un nuovo giornale su rally o nuovi modelli, ma poi non colleziono né gli uni né gli altri, anzi butto via tutto, desiderando ardentemente un acquisto successivo. Se mi mancano i soldi li chiedo in giro; mio padre dice che non posso fare l’accattone e si è rassegnato a foraggiare questa mia passione. Preferisco chiamarla «pensiero prevalente», o meglio «predilezione», anche se alcuni dei dottori del cervello che mi hanno visitato l’hanno invece definita disturbo ossessivo (bramosia di acquisto) oppure compulsivo (impulso irrefrenabile a buttare quanto acquistato il giorno prima). Non so se abbiano ragione, so solo che non posso farne a meno e, se mi chiedono di controllarmi, rispondo: «Fosse facile!». Di fatto è impossibile. I dottori del cervello la chiamano «comorbilità», perché ossessività e compulsione si registrano negli Aspy, come ansia e depressione, che, per fortuna, io ho vissuto solo quando hanno provato a darmi delle pastiglie (Risperdal), che mi facevano diventare tristissimo.
Mi muovo in modo goffo, dicono, e ho qualche rituale da rispettare; le chiamano stereotipie e sono movimenti sempre uguali che mi tranquillizzano; odio variazioni e improvvisazioni di qualunque tipo sui programmi previsti. Rispettare la routine senza sorprese mi rende calmo e felice. I miei sensi sono molto acuti: le orecchie percepiscono anche il minimo rumore, ascolto poco la radio (troppo rumorosa) e metto la TV al minimo volume. La mia vista è altrettanto fine: colgo particolari e dettagli che altri non vedono. Le mie emozioni sono violente: se qualcosa mi turba, come un cambio di programma, vado in tilt. Sono un Aspy e sto bene come sono, anche se ho pochi amici, quelli capaci di rispettarmi. Io «sento» se la gente è buona d’animo, così come avverto l’ostilità: ho una specie di sesto senso.
So fare la «Settimana Enigmistica» meglio di chiunque altro e rispondere a domande di cultura generale mi è sempre piaciuto: per questo seguo i quiz in TV. Leggo molto rapidamente e memorizzo ciò che mi emoziona accorgendomi all’istante se in una pagina c’è un errore di stampa. Ho scritto da bambino dei libri, perché le mie maestre di sostegno non mi capivano; da adolescente, al liceo classico, ne ho avute di peggiori: pigre, incompetenti, parcheggiate nell’area «sostegno» perché incapaci di gestire una classe.
Ho fatto l’università senza frequentare perché sarebbe stato impossibile per me seguire lezioni i cui orari e luoghi cambiavano continuamente, insopportabile frequentare aule chiassose con docenti che talvolta venivano sostituiti in modo imprevedibile, difficile fare amicizia con compagni che mi scartavano e consideravano idiota. Ho studiato la letteratura scientifica su quella che i sapienti della psichiatria chiamano sindrome di Asperger e ora sono pronto a parlarvene, perché sono certo che più gente è informata, meglio staranno gli Aspy come me. Non che me ne freghi molto, ma certo se genitori, insegnanti e medici ci lasciassero in pace, senza pretendere di normalizzarci ricorrendo a farmaci e psichiatri, staremmo meglio.
Quando ho approfondito la storia di ciò che continuano a chiamare sindrome di Asperger (AS) e che qualcuno, forse per cortesia, definisce disturbo o disordine di Asperger (AD), ho affrontato lo studio di 2.414 lavori scientifici prodotti da psichiatri, psicologi, operatori dell’area psichiatrica, medici, infermieri, pedagogisti, scritti e pubblicati tra l’8 marzo 1947 e il 31 dicembre 2018. I più prestigiosi tra questi lavori scientifici, in termini di Impact Factor,1 sono quelli scritti dai medici, ovviamente con specializzazione in psichiatria, ma tra loro i contrasti sono numerosi e perfino più aspri. Mi c’è voluta grande pazienza e ho molto profittato della mia eccellente memoria visiva per metterli in ordine. Mio padre dice che leggo molto e ricordo ciò che leggo, perché lo rivedo nella mente. Ciò ovviamente mi aiuta a scrivere, quando decido di farlo, come ho fatto ora per aiutare le persone a capire come sono gli Aspy. Sarà una sfida per molti lettori, perché pochi avranno familiarità con forma e funzioni del cervello umano, oppure con DNA, neurotrasmettitori e caratteri genetici, per cui dovrete impegnarvi per avere la soddisfazione di uscire dalla nebbia che si è alzata attorno a voi da quando vostro figlio o un vostro alunno è stato etichettato come Asperger.
Per evitare di confondere i lettori analizzando troppe contrastanti ricerche scientifiche, non m’è restata altra scelta che tornare alle origini, cioè ad Hans Asperger, il medico viennese che nel 1938 (molti anni prima dello psichiatra Leo Kanner, leggete più avanti per scoprire chi è) analizzò il caso di Fritz V. in modo così dettagliato che la sua storia rappresenta ancora oggi la più brillante descrizione di un caso di autismo infantile. Se volete sapere quanto Fritz somigliasse a me quando ero bambino, dovete leggere il mio libro del 2006 (Io sento diverso), il primo della collana col Sole (andate a leggere in Appendice di cosa si tratta). Quel logo è un prodotto della fantasia di Claudia Cornaglia, architetto e grafico, che ha pensato l’Aspy come una luce che brilla sul resto di un’umanità minuta. È stata lei a disegnare il piccolo libro delle mie poesie infantili, C’è una fortuna che mi aspetta (Erickson, 2006). Altissimo, dinoccolato, fuori misura, il Sole della collana editoriale «Io sento diverso» è proprio l’Aspy che ho in mente di raccontare, uno che illumina ciò che per gli altri è oscuro. Preparatevi dunque a leggere cosa significhi essere nato diverso nel cervello, accogliendo tale differenza come illuminante, non come un problema psichiatrico o sociale. Noi Aspy siamo diversi e provo a spiegarvi perché. Ma andate piano, perché nozioni da apprendere ne troverete parecchie e qualcuna sarà difficile da capire.

Chi era Hans Asperger?

Un articolo di Baron-Cohen, pubblicato su «le Scienze» nel maggio 2018,2 racconta del pediatra austriaco Hans Asperger, pioniere nello studio dell’autismo. È stato visto come un eroe che salvava bambini affetti da autismo dal programma di sterminio nazista, sottolineandone l’intelligenza. Tuttavia, è indiscutibile che sotto il Terzo Reich il dottor Asperger abbia collaborato alla soppressione di bambini con disabilità. Lo storico austriaco Herwig Czech lo ha documentato nel numero di aprile 2018 di «Molecular Autism» e sempre nello stesso anno è uscito I bambini di Asperger. La scoperta dell’autismo nella Vienna nazista della storica statunitense Edith Sheffer (2018)3 che va nella stessa direzione degli studi di Czech argomentando in modo convincente che le idee fondamentali sull’autismo emersero in una società che propugnava l’opposto dell’inclusione e rispetto della neurodiversità.
Sono risultati che gettano un’ombra sinistra sulla storia dell’autismo, già di per sé segnata da disaccordi sulla diagnosi differenziale, quasi mai concordante, nonché da enormi difficoltà d’inserimento nella scuola, negli ambienti di lavoro e nella società. Queste rivelazioni storiche alimentano un vivace dibattito tra le persone autistiche, le loro famiglie, i ricercatori e i clinici sull’opportunità di abbandonare o meno il termine «sindrome di Asperger». La psichiatra britannica Lorna Wing per prima portò le osservazioni cliniche di Asperger all’attenzione del mondo medico di lingua inglese e coniò il termine sindrome di Asperger.
Un decennio più tardi, nel libro Autism and Asperger Syndrome (1991), la psicologa dello sviluppo Uta Frith tradusse in inglese il trattato di Asperger del 1944, in cui affermava essere stato lui ad avere scoperto l’autismo. Infine, nel 1994, l’American Psychiatric Association (APA) riconobbe la diagnosi differenziale «sindrome di Asperger» nella quarta edizione del suo Manuale diagnostico e statistico (DSM-IV), per poi cancellarla nella quinta edizione (DSM-5). La sindrome è caratterizzata da interessi insolitamente profondi e specifici (punti di forza) e da deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale, in persone con quoziente intellettivo nella media o superiore alla media e senza ritardi nell’apprendimento del linguaggio. (Occorre precisare che, nella revisione del 2013 del DSM, l’APA ha eliminato la dizione sindrome di Asperger a favore di una singola categoria, denominata disturbo dello spettro dell’autismo di grado lieve). Scavando nel contesto storico del lavoro di Asperger, Sheffer riempie lacune anticipate da John Donvan e Caren Zucker nel libro In a different key, del 2016,4 che si riferiva alle prime scoperte di Czech. Sheffer chiarisce in che modo l’obiettivo nazista di progettare una società «pura», eliminando persone considerate indegne, portò all’Olocausto.
Combinando intuizione e un’attenta ricerca storica, Edith Sheffer rivela che sotto il regime di Hitler la psichiatria — allontanandosi da principi quali compassione ed empatia — divenne parte di un progetto per classificare la popolazione di Germania, Austria e altrove, come geneticamente adatta o inadatta. Nell’ambito dei programmi di eutanasia, psichiatri e altri medici dovevano determinare chi sarebbe sopravvissuto e chi sarebbe stato eliminato. È in questo contesto che furono create etichette diagnostiche come «psicopatia autistica» (coniata da Hans Asperger).
Sheffer espone le prove, ricavate da fonti quali documentazioni mediche e lettere di accompagnamento, che dimostrano che Hans Asperger fu complice di questa macchina di sterminio. Protesse i bambini che considerava intelligenti, ma inviò anche diversi bambini alla clinica Am Spiegelgrund di Vienna, che sapeva senza dubbio essere un centro di «eutanasia infantile», parte del programma che in seguito fu chiamato Aktion T4.5 Era lì che venivano uccisi i bambini etichettati dai nazisti come «geneticamente inferiori» perché ritenuti incapaci di conformarsi alla società o perché avevano condizioni fisiche o psicologiche giudicate indesiderabili. Alcuni erano lasciati morire di fame, altri ricevevano iniezioni letali. Le loro morti furono registrate come causate da fattori quali la polmonite. Sheffer afferma che Hans Asperger sostenne l’obiettivo nazista di eliminare i bambini che non potevano adattarsi al Volk: l’ideale fascista di un popolo ariano omogeneo.
Sia Czeck sia Sheffer riportano dettagli su due bambine non imparentate, Herta Schreiber e Elisabeth Schreiber, e le loro lettere di accompagnamento, firmate da Asperger. Il pediatra giustificava l’invio di Herta e Elisabeth ad Am Spiegelgrund perché dovevano essere un peso insopportabile per le loro famiglie. Quella corrispondenza documenta la condanna a morte di quelle bambine. All’Am Spiegelgrund ne furono uccisi quasi 800. Ciononostante, il dottor Asperger divenne professore e continuò a godere di una lunga carriera accademica — fu prima direttore di una clinica pediatrica e in seguito titolare della cattedra di Pediatria presso l’Università di Vienna — durata fino agli anni settanta. Morì a settantaquattro anni nel 1980.
Sia I bambini di Asperger sia l’articolo di Czech arrivano alle stesse conclusioni. Baron Cohen afferma: «personalmente, non mi sento più a mio agio nel nominare una diagnosi intitolata ad Hans Asperger». In ogni caso, questa categoria è stata messa in discussione nella quinta edizione del DSM (APA, 2014), utilizzato in tutto il mondo occidentale. Le nazioni europee seguono questa indicazione diagnostica dal 2019, anno dell’undicesima edizione dell’International Classification of Diseases (ICD) curata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’uso futuro del termine sarà tema di un dibattito che coinvolgerà anche le persone autistiche? Questo sarà possibile ma difficilmente praticabile al di fuori del web, con tutti i pregi e difetti dello strumento. Molti Aspy sono orgogliosi di avere una sindrome di Asperger come parte della loro identità. Ritengono, infatti, che si riferisca alla loro personalità e stile cognitivo, che ovviamente non cambieranno a causa di rivelazioni storiche. Quindi potrebbero non desiderarne affatto l’eliminazione (in realtà nessun cambiamento è gradito a un Asperger).
Per brevità e neutralità, io non sono a favore del ricorso ad «autismo» come termine unico a causa della notevole eterogeneità esistente tra le persone cosiddette autistiche; penso che potrebbe essere utile per loro e le loro famiglie discutere — insieme ai ricercatori, ai clinici e agli esperti di autismo — se dovrebbero essere introdotti sottotipi con definizioni diverse e un po’ più precise. Autismo è un minestrone indigeribile, che confonde tutto e tutti, e una parola che spaventa molto i genitori. Al tempo di Wing, quando fu coniato il termine «sindrome di Asperger», nessuno sapeva del sostegno attivo del dottor Asperger al programma di eugenetica nazista. Baron Cohen afferma che «come risultato della ricerca storica di Sheffer e di Czech, ora dobbiamo rivedere le nostre opinioni e probabilmente anche il nostro linguaggio. I bambini di Asperger dovrebbe essere letto da qualsiasi studente di psicologia, psichiatria o medicina, in modo da imparare dalla storia a non ripetere i suoi terrificanti errori. Le rivelazioni contenute in questo libro sono un agghiacciante promemoria che la massima priorità nella ricerca e nella pratica clinica deve essere la compassione».

La storia di Fritz V.

Fritz V. fece grande impressione al dottor Hans Asperger, il pediatra viennese che lo aveva visto per la prima volta nel 1938 all’età di 6 anni a Vienna. Asperger lo descrisse come «un ragazzo molto insolito che mostra una grave menomazione nell’integrazione sociale […] Il suo sguardo era straordinariamente strano: era generalmente diretto nel vuoto». A scuola «diventò rapidamente aggressivo e colpì tutto ciò che riuscì a raggiungere (una volta con un martello). […] A causa del suo comportamento totalmente privo di inibizioni la sua formazione fallì sin dal primo giorno […]. Un altro strano fenomeno in questo ragazzo era il verificarsi di movimenti e abitudini stereotipati» […] «Il contenuto del suo discorso era completamente diverso da quello che ci si sarebbe aspettati da un bambino normale» […] «Solo raramente è stato coerente quello che ha detto in risposta a una domanda». Strano, eppure ha iniziato a parlare a 10 mesi e prestissimo «ha parlato come un adulto». Fritz V. è sopravvissuto nella letteratura medica perché resta ancora oggi il bambino autistico meglio descritto. Fritz, infatti, fu il primo caso di studio su ciò che divenne noto, molti decenni dopo, come disturbo di Asperger, condizione classificata come disturbo pervasivo dello sviluppo, anche chiamata disturbo dello spettro autistico. Ma è un «autismo lieve» oppure solo «un pizzico di autismo» in quanto contraddistinto dalla mancanza di ritardo nel linguaggio e da un’intelligenza nella norma o superiore alla media?
Lo studio del dottor Hans Asperger non è stato tradotto in inglese fino al 1994 — mezzo secolo dopo — e oggi è disponibile anche in italiano. In realtà la lettura del racconto di Asperger su Fritz V. fa capire la gravità del suo disturbo e la sua somiglianza con l’autismo «classico». «Il lettore del primo articolo di Asperger non può non rimanere colpito dalle strette somiglianze con le descrizioni dei casi di Leo Kanner e dalle relativamente poche differenze», ha scritto Lorna Wing nell’antologia del 1994 Autismo e sindrome di Asperger, che include la prima traduzione in inglese.
Uta Frith ha osservato: «Con una singolare coincidenza, Asperger e Kanner hanno descritto in modo indipendente lo s...

Indice dei contenuti

  1. L’autore
  2. Premessa
  3. Capitolo 1. Storia
  4. Capitolo 2. Famiglia
  5. Capitolo 3. Cervello
  6. Capitolo 4. Trattamento
  7. Capitolo 5. Prospettive
  8. Bibliografia
  9. Appendice. Storia della collana col Sole