Enzo Mattina
L’Europa tra idealità e necessità
1. La storia ricomincia
Sono trascorsi all’incirca due millenni dal tempo in cui si sarebbe verificato l’episodio dell’incontro su una spiaggia tra S. Agostino e un bambino, intento a raccogliere l’acqua del mare con una conchiglia con il proposito di svuotarla tutta in una buca.
All’osservazione del santo filosofo (un berbero, vale a dire un algerino, romanizzato) che l’operazione fosse assolutamente impossibile, il bimbo, con straordinario candore, avrebbe risposto che lo era almeno quanto la sua pretesa di travasare i misteri di Dio e della SS. Trinità nella sua piccola testa di uomo.
Innumerevoli volte questa leggenda è stata evocata per marcare con una sintesi fulminante l’inconsistenza di atti semplici per risolvere problemi complessi. Sembra attualissima anche per ragionare sulle turbolenze del nostro tempo: complesse, imprevedibili, ambigue.
Nella lista delle grandi turbolenze/trasformazioni che hanno interessato il percorso storico dell’umanità, quelle apportate dalle quattro rivoluzioni industriali, che si sono susseguite dalla seconda metà del 1700 fino ai nostri giorni, sono sicuramente le più rilevanti per l’ampiezza dei loro effetti a tutte le latitudini del pianeta terra e sulle condizioni di vita materiali e immateriali dei popoli che le hanno attraversate, talvolta da protagonisti, talaltra da vittime o da recettori passivi.
I tempi di penetrazione e assestamento di ciascuna di esse non sono stati omogenei, talché le prime due hanno avuto consolidamenti lenti, indotti dalla sfasatura temporale di penetrazione tra città e campagne, dal diverso tasso di assorbimento delle economie protette degli Stati nazionali, dalla prudenza degli investitori pubblici e privati nel passaggio dai vecchi ai nuovi sistemi, dalla resistenza al cambiamento di modelli organizzativi rigidamente gerarchizzati. Si accelerano esponenzialmente solo con la terza rivoluzione, che, a pochi anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, si manifesta con la scoperta e successiva utilizzazione dell’informatica, e che invade, nell’arco di qualche lustro, con i suoi mastodontici centri di elaborazione dati, gli apparati pubblici e le grandi aziende di tutti i Paesi occidentali; con lo scarto di qualche anno di ritardo il medesimo cambiamento viene introdotto anche nell’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). E via via in ogni angolo del globo terrestre.
Le loro straordinarie capacità di calcolo riducono i tempi di lavorazione di masse di dati fino ad allora maneggiati da centinaia di migliaia di addetti (si pensi alla logistica nei trasporti aerei, marittimi e terrestri, alla gestione dei dati anagrafici, all’elaborazione dei dati fiscali, ai trattamenti delle operazioni bancarie e finanziarie ecc.).
L’informatica imprime, nel contempo, una forte accelerazione alla ricerca scientifica, con ricadute eccezionali sulle tecnologie dei prodotti e dei processi, sui programmi sempre più ambiziosi nel campo delle esplorazioni spaziali e, sia pure lentamente, sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni.
Arriva, nel 1959, con un primo computer, nel CERN di Ginevra. E i suoi scienziati ne diventano in breve utilizzatori intensivi e straordinari creatori di software. Sospinti dalla necessità di interfacciarsi tra loro e con quanti sono impegnati nei medesimi campi di studio alle più differenti latitudini, si attivano a individuare e sviluppare modalità di comunicazione veloci e affidabili, che battezzano con il nome di World Wide Web (WWW). Una straordinaria invenzione, che nel 1993 fanno conoscere e rendono liberamente fruibile a qualunque comune mortale.
È quest’accessibilità universale, immediata, adattabile a qualsiasi uso che rende la neonata innovazione tecnologica il volano di un cambiamento che a buon titolo si può fregiare dell’aggettivo rivoluzionario. In poco tempo, la scienza ne farà largo uso e farà passi da giganti per via della facilità di condivisione tra gli addetti ai lavori, ma, soprattutto, stimolerà la creatività di decine di migliaia di giovani, il più delle volte senza un background scientifico, a immaginare e realizzare applicazioni che entreranno, con e senza il nostro consenso, nella quotidianità di ciascuno di noi.
La sua natura invasiva era già stata intravista da Nicholas Negroponte e dagli studiosi che avevano dato vita nel 1985 al Medialab nell’ambito del MIT di Boston. Ne ebbero conferma, dopo la svolta del 1993. E fu proprio Negroponte nel 1995 a dare alle stampe Being Digital. Libro tradotto in ben 25 lingue (in italiano solo nel 2004 per merito della Sperling & Kupfer), che possiamo considerare un vademecum previsionale sugli impatti del passaggio dalle tecnologie analogiche alle digitali, comprese le preoccupazioni per il digital divide, che avrebbe escluso milioni di persone.
Internet non poteva certo sfuggire all’attenzione del capitalismo internazionale, che, interessato da sempre a liberalizzare scambi finanziari e commerciali, lo integra in tempo reale nella sua strategia. Accade così che la IV Rivoluzione industriale si manifesta fin dal suo apparire come un parto trigemino di tecnologia, finanza e commercio, il cui habitat vitale è il mondo. Una genesi ben diversa da quella delle prime tre rivoluzioni, tutte nate con connotazioni fortemente nazionali e protette; proiettate solo a distanza di tempo nelle dimensioni e cointeressenze economico-finanziarie internazionali.
Può apparire una forzatura, ma è molto probabile che l’immediato successo planetario di internet abbia impresso una spinta determinante all’accordo istitutivo dell’OMC (l’Organizzazione Mondiale del Commercio), sottoscritto nel 1995, dopo ben nove anni di negoziati inconcludenti nell’ambito del GATT.
L’internazionalizzazione degli scambi economici non è, certo, un’invenzione recente; ha una storia lunga più o meno quanto quella dell’umanità, trovando, all’indomani della Seconda guerra mondiale, una regolazione negli accordi di Bretton Woods.
La loro rottamazione da parte del presidente Nixon nel 1971 rompe, però, gli equilibri che avevano prodotto, blocca la convertibilità del dollaro in oro, fa recuperare spazi agli Stati Uniti nell’economia mondiale e dà il via alla fluttuazione dei cambi, ponendo le basi della finanziarizzazione dell’economia. La svolta digitale, infatti, rendendo ininfluenti distanze temporali e fisiche, favorisce l’aggressività e l’invadenza dei grandi manovratori degli scambi finanziari, assecondandone la conquista di una posizione egemonica nel complesso sistema della globalizzazione dell’economia.
Qualche anno prima, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica e del suo sistema geopolitico, Francis Fukuyama, anche immaginando le potenzialità della svolta dell’interconnessione tra individui e Paesi, arrivò a vaticinare, nel suo saggio del 1992, La fine della storia, con la definitiva vittoria e la diffusione urbi et orbi della democrazia liberale, del capitalismo e di un’economia socialmente attenta. Una profezia che si è rivelata smentita dai fatti. Non a caso, si è premurato di correggere il tiro con il libro del 1999 La grande distruzione.
L’osservazione empirica, prima ancora delle analisi di eminenti studiosi, ci dice che la storia ricomincia, perché le azioni coordinate dei tre gemelli (digitalizzazione/finanziarizzazione/globalizzazione) hanno prodotto effetti tanto sconvolgenti da far saltare modelli economici, sociali e politici che sembravano acquisiti per sempre. Per molti lustri abbiamo esaminato singolarmente ogni atto riconducibile a ciascuno dei tre, considerando, nel complesso, positivo il primo, esecrabile il secondo, tollerabile il terzo. Oggi dobbiamo convincerci che sono un tutt’uno, identificabile con l’etichetta di IV Rivoluzione industriale; ciò per la semplice ragione che non vi è fenomeno che non porti in sé i geni di ciascuno.
Come se non bastasse, sta generando in tempi velocissimi una profonda svolta culturale nei modi di pensare e di agire di un numero crescente di persone. Secondo i dati del Global report, pubblicato nel gennaio 2018, da We are social, in collaborazione con Hootsuite, la piattaforma di social media management più utilizzata a livello mondiale, gli utenti connessi a internet nel mondo sarebbero ben 4 miliardi, più della metà della popolazione mondiale, 9 su 10 lo fanno attraverso un device mobile (un telefonino).
In Italia il 73% della popolazione è online (43 milioni di persone), con 34 milioni di utenti attivi sui social media. Durante il 2017 si è registrata una crescita di 4 milioni di persone connesse a Internet (+10% rispetto all’anno precedente) e una crescita di 3 milioni di utenti social media (+10% rispetto all’anno precedente).
Siamo al cospetto di una moltiplicazione dei canali d’informazione più diversificati possibili e delle opportunità di comunicazione tra i più disparati soggetti; un fenomeno rappresentato con una narrazione suggestiva quanto pregnante da Michel Serres nel suo rapido quanto intenso scritto Non è un mondo per vecchi del 2013.
Immaginando di osservare i comportamenti della sua nipotina Pollicina, scrive:
Nella Leggenda aurea Jacopo da Varagine racconta che nel secolo delle persecuzioni ordinate dall’imperatore Domiziano avvenne a Lutetia (Parigi) un miracolo. L’esercito romano arrestò Dionigi, eletto vescovo dai primi cristiani di Parigi. Incarcerato, poi torturato nell’isola della Cité, fu condannato a essere decapitato sulla sommità di una collina che si chiamerà Montmartre. La soldataglia sfaticata rinuncia a salire fino in cima ed esegue la condanna a metà strada. La testa del vescovo rotola a terra. Orrore! Decapitato, Dionigi si rialza, raccoglie la testa e, tenendola in mano, continua a salire la china. Miracolo! I legionari fuggono terrorizzati. Jacopo da Varagine aggiunge che Dionigi fece una sosta per lavare la testa a una sorgente e proseguì il cammino fino all’attuale chiesa di Saint-Denis. Ed eccolo canonizzato.Pollicina [l’immaginaria giovanissima nipotina] accende il computer. Se anche non si ricorda di questa leggenda, ha comunque davanti e tra le mani la sua stessa testa: ben piena per l’enorme riserva di informazioni, ma anche ben fatta, perché i motori di ricerca fanno a gara ad attivarvi testi e immagini, e, meglio ancora, dieci software possono trattarvi innumerevoli dati più velocemente di quanto possa fare lei. Lei tiene lì, fuori di sé, la sua facoltà cognitiva un tempo interna, come san Dionigi tenne la testa fuori dal collo. Ce la figuriamo Pollicina decollata? Miracolo?
Di recente, siamo tutti diventati san Dionigi come lei. La testa intelligente fuoriesce dalla testa ossuta e neutrale.
Questa separazione tra la testa intelligente e la testa ossuta e neutrale è la cifra della quotidianità di un numero in costante crescita di persone di tutte le età, dislocate a tutte le latitudini. I più coinvolti sono i giovani, fin dall’età infantile; ne vediamo le conseguenze nell’oggi, ma non sappiamo come e quanto influenzerà il percorso di vita.
Osservando, in ogni caso, i comportamenti di giovani e meno giovani, si avverte il bisogno di compiere qualche approfondimento sul fenomeno e di sicuro possono risultare utili alla bisogna le riflessioni contenute nel saggio Demenza digitale del prof. Manfred Spitzer, direttore della Clinica psichiatrica e del Centro per le neuroscienze e l’apprendimento dell’Università di Ulm, città natale di Albert Einestein.
Con ampia documentazione scientifica Spitzer passa in rassegna i pericoli dell’eccessivo utilizzo di apparati elettronici di consumo.
Soprattutto, prende in esame la correlazione tra il loro uso sempre più intensivo con lo sviluppo delle diverse parti del cervello umano. E ne rileva il rallentamento, sulla base degli esiti di anamnesi e diagnostica strumentale, in dipendenza della sostituzione sistematica della lettura, del calcolo scritto e/o a memoria, della memorizzazione di un verso, della conversazione ecc. con il ricorso alle informazioni acquisibili velocemente con la semplice pressione dei tasti di un telefonino, di un tablet, di un computer.
Le conseguenze negative, alla luce di dati raccolti negli anni, sembrano incontestabili sul patrimonio conoscitivo di ciascuno, sulla propensione ad approfondire un qualsiasi tema, esaminandolo da visuali diverse, sulla capacità di concentrazione, di analisi, di comunicazione. Ne soffrono finanche il bagaglio individuale di parole e le modalità di comporle in frasi rispettose delle regole della lingua in cui ci si esprime; ne abbiamo pratica diretta e indiretta nella f...