L'assassinio di Luigi Fulci
Dagli intrighi dinastici della Marcia su Roma al chinino letale "di Stato"
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L'assassinio di Luigi Fulci
Dagli intrighi dinastici della Marcia su Roma al chinino letale "di Stato"
Informazioni sul libro
Il sospetto che Luigi Fulci, Ministro dell'ultimo gabinetto Facta, non fosse morto per cause naturali c'era da sempre. Era, però, azzardato pensare all'omicidio senza ragionevoli prove. E così, per più di ottanta anni la sua morte era rimasta avvolta nella verità che gli aveva confezionato il fascismo. È la straordinaria notizia della restaurata verità sulle cause del decesso di Francesco dei Medici che apre uno spiraglio alla vicenda Fulci. Così come i frammenti prelevati da ciò che era rimasto nel sepolcro del nobile toscano, dopo cinquecento anni, avevano chiarito le cause del decesso, a fortiori una salma più giovane di quattro secoli, con l'ausilio dei nuovi mezzi d'indagine, avrebbe potuto raccontare la sua storia. E, in effetti, così è stato. Oggi finalmente sappiamo che Luigi Fulci non è morto di malaria perniciosa ma è stato ucciso dalla polizia fascista con una strategia a lungo studiata ed accuratamente eseguita da professionisti del crimine. Sul perché, il libro fornisce una risposta che travalica lo schema razionale della persecuzione agli antifascisti. Fulci non è soltanto uno che disprezza il fascismo e lo combatte con le armi tradizionali. Per cause fortuite, a partire da quel fatidico 28 ottobre 1922, si trova nella singolare situazione di chi, in possesso di strumenti per tenere sotto scacco l'establishment, non ha alcuna remora a farlo. In un tacito dialogo a distanza con Bocchini sembra stabilire le regole di un gioco pericolosissimo. Ma i fascisti si stancano presto di giocare e quando si accorgono che la nascente OVRA non è all'altezza dei compiti che si prefigge, decidono di sopprimerlo, certo per odio, ma anche per un prosaico calcolo costi/benefici.
Domande frequenti
Informazioni
Note
Alle ore 19.30 dello stesso 15 ottobre il prefetto Lops manda la sua relazione: «Pomeriggio ieri ebbero qui luogo funerali oppositore Luigi Fulci. Trasporto salma seguita da 400 persone, maggioranza comuni provincia e ceto professionale dalla stazione al cimitero, non diede luogo incidenti. Al cimitero dissero poche parole occasione avv. Crisafulli nome consiglio ordine avvocati e tal Veci, a nome famiglia. Mentre intervenuti si allontanavano, sorse parlare con vivacità, comunista Fusco Natale di Ignazio, il quale pronunciò frasi avventate e di contenuto antifascista, provocando da parte tre persone grido: viva l’Italia libera. Dopo poche altre parole repubblicano Vinci Giuseppe, intervenuti rimasti lasciarono cimitero. Commissario comandato servizio presente discorso Fusco non ritenne intervenire per interrompere. Fusco, fermato, sarà denunziato commissione provinciale provvedimenti di polizia. Disposte indagini per identificazione tre persone responsabili grida sedizione. Riservomi inviare rapporto anche per riferire circa comportamento funzionario e dirigente servizio ordine». Loc. ult. cit.
La seconda testimonianza è del giornalista Mario La Rosa che in un libro del 1991 racconta in terza persona un episodio occorsogli quando, bambino, aveva accompagnato il padre al funerale di Luigi Fulci. «Dietro la bara – aveva scritto – si aggrupparono non più di trenta persone: dieci o dodici erano i congiunti, sei o sette gli amici tra cui il papà e lo zio di Mario con Mario stesso al fianco, e per il resto funzionari della questura, i quali dovevano altresì controllare chi si fermava in strada con visibile rimpianto verso colui che se ne era andato senza chiedere mercé ai politici che detenevano il potere. Al cimitero parlò un compagno del defunto di fede socialdemocratica. Disse brevi e misurate parole, ma per quei tempi parole rivoluzionarie. Disse: “Onoriamo colui che in difesa della libertà, con fermezza, levò la voce nel parlamento italiano!”. E concluse invitando gli astanti ad inginocchiarsi in quel recinto sacro dinanzi alle spoglie dell’indomito rappresentante del popolo. Anche i poliziotti dovettero piegare il ginocchio, ma alzatisi ammanettarono l’oratore, dovevano fare il loro dovere, erano comandati». Cfr. M. La Rosa, Mussolini sconosciuto, Edizioni ADI, Roma 1991, p. 20.
Più precisa e circostanziata la testimonianza di Antonio D’Andrea che scrive nel 1998, tentando di emendare il testo di La Rosa a cui pure fa riferimento: «Avrò avuto 12 o 13 anni quando mori l’on. Luigi Fulci, noto avvocato e uomo politico antifascista. Mio padre che era stato suo amico decise di andare ai funerali e mi prese con sé. Quando il corteo arrivò al cimitero, un rappresentante dell’ordine degli avvocati disse tremando poche parole di circostanza. Ma a questo punto uno sconosciuto che era riuscito credo ad arrampicarsi su qualche monumento funebre lì vicino, dopo aver dichiarato che quelle parole senza coraggio erano indegne del morto, attaccò con grande calore un lungo eloquente discorso violentemente antifascista che fu accolto alla fine da un grande applauso. Applaudirono tutti, applaudirono per non farsi riconoscere anche i questurini che costituivano la maggior parte dei presenti. Mentre uscivamo sbalorditi e commossi dal cimitero, li vidi precipitarsi come un nugolo di mosche sull’oratore che sparì in mezzo a loro e non si vide più. Soltanto pochi anni fa ho saputo che si trattava dell’avvocato Fusco, il quale era finito, a causa di quel discorso, al confino. In un volume dedicato alla memoria di Luigi Fulci, l’episodio era infatti raccontato attentamente. C’era una sola inesattezza: invece di menzionare l’applauso, si diceva che tutti i presenti, compresi i questurini, si erano messi in ginocchio o più precisamente avevano piegato il ginocchio. Ebbi occasione di incontrare poco dopo l’autore e gli feci notare l’inesattezza. Lo sapeva. Aveva, però, creduto di dovere aggiustare la verità perché l’applauso gli era sembrato inopportuno in un cimitero e in occasione di un funerale. Ma per me quel discorso, quell’uomo, quell’avvocato che non ho mai avuto occasione di conoscere, erano al di sopra delle bienséances. E come tali sono rimasti nella memoria. Cfr. A. D’Andrea, Filosofia e autobiografia. Un diario al passato, Edizioni Cadmo, Fiesole1998, p. 20. L’episodio è citato anche nella recensione a detto volume di G. Da Pozzo, in «Nuova Antologia», gennaio-marzo 1999, vol. 582, fasc. 2209, p. 389.
Indice dei contenuti
- Cover
- Sinossi
- Profilio biografico dell'autore
- Colophon
- Prefazione
- Nota dell’autore
- Capitolo primo
- Capitolo secondo
- Capitolo terzo
- Note
- Appendice documentale e fotografica
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