Calendario civile europeo
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I nodi storici di una costruzione difficile

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I nodi storici di una costruzione difficile

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LA STORIA D'EUROPA DA SARAJEVO A BREXIT. I MOMENTI FONDATIVI, LE TRAGEDIE RIMOSSE, I TEMI CONTROVERSI. QUARANTA STUDIOSI EUROPEI. UN PROGETTO ORIGINALE DI DONZELLI EDITORE.LE DATE: 1789 Dichiarazione dei Diritti dell'uomo - 1889 Primo Congresso della II Internazionale - 1914 Attentato di Sarajevo - 1918 Proclamazione della Repubblica tedesca - 1919 Diritto di voto per tutte le donne tedesche - 1920 Trattato del Trianon - 1924 Esce Der Zauberberg di Thomas Mann - 1932 Fine della Repubblica di Weimar - 1932 Primo governo socialdemocratico in Svezia - 1933 Decreto dei pieni poteri a Hitler - 1936 Rimilitarizzazione della Renania - 1937 Inizio del Grande terrore staliniano - 1939 Invasione nazista della Polonia - 1944 Insurrezione di Varsavia - 1945 Liberazione del campo di Auschwitz - 1945 Conferenza di Potsdam - 1945 Elezione della prima Costituente in Francia - 1946 Entra in vigore la Costituzione dell'Unesco - 1947 Annuncio del piano Marshall - 1948 «Colpo di Stato» di Praga - 1949 Esce Le deuxième sexe di Simone de Beauvoir - 1956 Inizio della rivoluzione ungherese - 1957 Trattato costitutivo della Cee - 1962 Fine della guerra d'Algeria - 1967 Concerto dei Rolling Stones a Varsavia - 1968 Invasione di Praga - 1970 Brandt inginocchiato nel ghetto di Varsavia - 1980 Scioperi di Danzica - 1989 Caduta del Muro di Berlino - 1991 Nascita del gruppo di Visegrád - 1995 Massacro di Srebrenica - 2000 Carta dei diritti fondamentali della Ue - 2002 Entrata in vigore dell'euro - 2004 Ingresso nell'Unione di dieci nuovi paesi - 2013 Strage di Lampedusa - 2014 Rivoluzione ucraina - 2016 Papa Francesco al premio Carlo Magno - 2016 Referendum su Brexit - 2016 Tentato colpo di Stato in Turchia - 2016 Elezione di Donald Trump - 2017 Referendum indipendentista in Catalogna.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788855220590
Argomento
Storia

1° settembre 1939

Invasione nazista della Polonia

L’inizio della guerra totale

di Herfried Münkler
La seconda guerra mondiale cominciò in Europa con una spudorata menzogna: la dichiarazione di Hitler alla radio con cui annunciava che dalle 5.45 «si rispondeva al fuoco». Si riferiva a un presunto attacco sferrato da militari polacchi alla stazione radio tedesca di Gleiwitz (l’attuale Gliwice), compiuto in realtà da uomini delle SS in uniformi polacche1. Hitler sapeva che gran parte della popolazione tedesca non era entusiasta all’idea di una guerra e che persino molti tra i suoi fedelissimi speravano di non dover fronteggiare un conflitto di vaste dimensioni, già evitato in precedenza con l’Anschluss dell’Austria, l’occupazione dei Sudeti e l’avanzata della Wehrmacht nel «resto della Cechia» («Rest-Tschechei»)2. Questa volta tuttavia non fu così, perché la Polonia oppose resistenza e le potenze occidentali, Francia e Gran Bretagna, rispettarono il patto di alleanza, imponendo a Hitler di ritirare la Wehrmacht entro il 3 settembre, ovvero di ristabilire lo status quo ante. Quando Hitler non reagì a tale ingiunzione, le due nazioni dichiararono lo stato di guerra con la Germania. In tal modo quella che da parte tedesca era stata concepita come una «campagna di Polonia» limitata nel tempo e nello spazio si era trasformata in una guerra europea. Certo, quel primo di settembre non si poteva ancora intuire che da ciò sarebbe scaturito un conflitto di portata mondiale che avrebbe superato di gran lunga gli orrori della Grande guerra del 1914-18. Va detto tuttavia che quella che definiamo come seconda guerra mondiale, che si configurò come una serie di guerre in Europa, in Nord Africa, nell’Atlantico, in Asia orientale e nel Pacifico, dall’altra parte del globo era già cominciata nel 1937, con l’attacco giapponese alla Cina.
A un primo sguardo, quelle che Hitler aveva rivolto alla Polonia e che il governo polacco aveva respinto erano richieste politiche circoscritte: riguardavano infatti l’annessione al territorio tedesco della libera città di Danzica, che si trovava sotto l’amministrazione della Società delle nazioni, e un collegamento extraterritoriale ferroviario e stradale verso la Prussia orientale3. Hitler aveva volutamente limitato le proprie richieste; da un lato per poter accusare la Polonia di corresponsabilità nello scoppio del conflitto una volta che queste fossero state respinte, dall’altro per smorzare la volontà degli alleati di correre in aiuto della Polonia. Mourir pour Dantzig, morire per Danzica, era una domanda che si ponevano in molti, soprattutto in Francia4. Ci si chiedeva, in sostanza, se valesse la pena innescare una guerra dalle conseguenze incalcolabili per un problema di portata limitata. Ma proprio questa era stata la tattica con cui Hitler dal 1938 aveva inanellato un successo dopo l’altro. I polacchi non intendevano subire lo stesso destino vissuto dalla Cecoslovacchia l’anno precedente, ovvero quello di venire smembrati pezzo per pezzo e inglobati dalla Germania hitleriana con il beneplacito delle potenze occidentali. E dunque, essi opposero una decisa resistenza.
La Polonia aveva però valutato male le proprie probabilità di successo, sia dal punto di vista politico che militare, e per tale ragione pagò un prezzo terribile. I polacchi avevano calcolato che Francia e Gran Bretagna avrebbero adempiuto al loro patto di alleanza aprendo un’offensiva lungo la frontiera occidentale tedesca, costringendo così il comando supremo della Wehrmacht a spostare sul Reno una parte delle divisioni schierate contro la Polonia. Ma così non fu, tranne un paio di attacchi aerei britannici di valore pressoché simbolico a porti militari tedeschi. Inoltre, i polacchi non potevano immaginare che la Germania nazista e l’Unione Sovietica avrebbero stretto un patto di non aggressione tra le cui clausole segrete figurava un accordo sulla quarta spartizione della Polonia. Eppure proprio questo era avvenuto il 23 agosto, quando gli interessi geopolitici russi e tedeschi si erano rivelati più importanti dell’opposizione ideologica tra nazionalsocialisti e comunisti. Infine, la Polonia aveva decisamente sopravvalutato le proprie capacità militari, sottovalutando invece quelle della Wehrmacht. Le truppe polacche si difesero strenuamente, ma non ebbero alcuna chance di successo contro l’avanzata dei panzer tedeschi, schierati in una vasta operazione di accerchiamento da nord a sud5. Anche se gli scontri proseguirono fino al mese di ottobre, al più tardi dopo due settimane l’esito della campagna militare era già deciso, anche perché il 17 settembre 1939 l’Armata rossa aveva varcato il confine polacco in Bielorussia e Volinia e marciava rapidamente verso occidente. Alla metà del mese di ottobre la resistenza polacca si spense e russi e tedeschi fissarono le precise linee di demarcazione che tagliavano l’Europa centro-orientale. Con i loro 66300 soldati caduti, i polacchi avevano perso il 5,1% delle forze schierate in campo, i tedeschi l’1,2%, con 17800 caduti, e i russi lo 0,21%, ovvero 1000 soldati dell’Armata rossa. Circa 700000 militari polacchi furono fatti prigionieri dai tedeschi6. Circa 80 000 soldati polacchi internati nei campi di prigionia sovietici, una volta liberati il 20 marzo 1942, riuscirono a ricongiungersi all’esercito britannico passando per il Mar Caspio e l’Asia Minore; nel 1944 avrebbero combattuto di nuovo contro Hitler e i tedeschi in Italia, in seguito anche in Francia7.
Nel calendario politico europeo il 1° settembre non segna soltanto l’inizio della seconda guerra mondiale, ma anche la fine della fase di anteguerra in cui Hitler a poco a poco, a partire dal 1936, aveva scardinato l’ordine stabilito dalla Conferenza di pace di Parigi e gettato le premesse per la grande guerra contro l’Unione Sovietica, da lui fin dal principio voluta e preparata. Al contempo il 1° settembre marca l’inizio di un nuovo sviluppo della strategia hitleriana, che da azioni limitate nel tempo e nello spazio passò a campagne militari che confluivano tutte in un unico grande disegno bellico, dove i vari scenari di guerra non potevano più essere tenuti distinti, bensì erano intrecciati l’uno con l’altro. Il 1° settembre è dunque il giorno in cui l’ordine sancito con i trattati di pace di Parigi crollò definitivamente8.
È chiaro che si può discutere sul significato delle date: numerosi sono i motivi che si possono addurre a sostegno dell’idea che la portata simbolica di questo giorno non sia così determinante, e che a esso se ne potrebbe anteporre un altro; così come si può sostenere la necessità di prendere in considerazione un periodo più ampio piuttosto che un singolo momento storico. In questo senso si può contestare alla scelta del 1° settembre che l’ordine dei Trattati di pace di Parigi fosse stato già minato con l’Anschluss dell’Austria al Reich tedesco il 14 marzo 1938, oppure, al più tardi, dagli accordi di Monaco della fine di settembre del 1938, con cui la Cecoslovacchia veniva politicamente mutilata con l’accordo di Gran Bretagna e Francia; oppure, se una data simbolica deve implicare un riferimento a eventi bellici, si potrebbe prendere in considerazione il 7 aprile 1939, giorno in cui cominciò l’invasione italiana dell’Albania. Che il 1° settembre 1939 e l’aggressione tedesca alla Polonia siano entrati nei libri di storia, così come nella memoria collettiva europea, a segnare la fine del periodo tra le due guerre e l’inizio della seconda guerra mondiale non ha tanto a che vedere con i suoi antefatti, quanto con gli avvenimenti successivi, dato che questa guerra venne condotta con la massima brutalità e con il massimo terrore non in Europa meridionale o sud-orientale, bensì in Europa centro-orientale e orientale, e che qui si collocò l’epicentro dello sterminio degli ebrei e vi si svolsero le battaglie decisive tra la Wehrmacht e l’Armata rossa9. E fu qui che Hitler divenne la figura che impresse il segno decisivo all’intero corso della guerra. Pertanto, nonostante molti altri scontri armati più circoscritti che si svolsero in luoghi diversi, ma che alla fine sfociarono tutti nel conflitto mondiale, è corretto datare l’inizio della guerra come guerra mondiale al 1° settembre 1939, e farla iniziare in Europa centro-orientale.
Fin da subito l’ordine fissato dai Trattati di pace di Parigi si era poggiato su basi molto fragili. Nelle regioni dell’Europa centro- e sud-orientale e in Asia Minore, infatti, all’indomani del crollo dei grandi imperi multinazionali e multiconfessionali che avevano regnato fino al 1917-18, il diritto all’autodeterminazione dei popoli proclamato dal presidente Usa Woodrow Wilson si era potuto attuare solo fino a un certo punto. D’altro canto, la stabilizzazione dell’ordine postbellico sancito con i Trattati di Versailles, di Saint-Germain e del Trianon non poteva contare sull’appoggio di nazioni quali la Germania, l’Unione Sovietica e l’Italia, che anzi molto presto cominciarono a riflettere sulla possibilità di una loro revisione. Un assetto di pace alla cui continuità non siano interessati tutti i soggetti coinvolti necessita di un «protettore» potente che sia in grado di imporne la validità − se necessario anche con l’uso della forza − nei confronti dei suoi sabotatori e difenderla contro coloro che mirano palesemente alla sua distruzione. Nell’ordine sancito nel 1919 tale compito era stato affidato alla Società delle nazioni, ma molto presto emerse con chiarezza che essa non era certo quel potente «protettore» che sarebbe stato invece indispensabile; il Congresso americano aveva bocciato l’ingresso degli Usa nella Società delle nazioni, e sia la Gran Bretagna che la Francia alla fine della guerra erano troppo provate, tanto dal punto di vista psicologico che materiale, per poter farsi carico di tale compito.
Di conseguenza la Società delle nazioni insediata a Ginevra non poté che limitarsi a emanare risoluzioni e appelli destinati a rimanere ignorati da parte di tutti i soggetti sufficientemente forti da poterselo permettere, sia da un punto di vista economico che politico. Dapprima la Germania non fu tra coloro che erano in grado di esercitare un’aperta opposizione, dato che francesi e britannici, assieme ai belgi, così duramente provati dalla prima guerra mondiale, tenevano sotto particolare osservazione quello che rimaneva un attore potenzialmente egemone collocato al centro del continente, e si preoccupavano che questi adempisse agli obblighi delle riparazioni di guerra imposti con il Trattato di Versailles. Una conseguenza di ciò fu il fatto che il nuovo assetto di pace sancito dai trattati parigini, e in particolare proprio da quello siglato a Versailles, che ne costituiva la pietra miliare, finì con l’essere considerato dalla maggioranza dei tedeschi un diktat ingiusto10; ragion per cui quando Hitler nel 1934 cominciò la propria politica di revisione del Trattato di Versailles poté contare su un vasto consenso.
Ma anche la Russia sovietica – dal 1922 Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche – non era interessata al mantenimento degli equilibri di pace fissati a Parigi; anzitutto perché questi si opponevano all’espansione della rivoluzione comunista a livello mondiale, e inoltre perché stabilivano confini nazionali che sottraevano alla sfera di influenza russa l’area affacciata sul Baltico e parti dell’Europa centrale11. Pertanto Mosca aveva un forte interesse ad eliminare il cordon sanitaire creato a Parigi contro la spinta sovietica verso occidente, che si stendeva dai paesi baltici attraverso Polonia e Cecoslovacchia fino al regno di Jugoslavia di serbi, croati e sloveni, ovvero dal Mar Baltico fino all’Adriatico. Inoltre, il cordon sanitaire avrebbe dovuto tenere separate quelle due potenze che, se si prescinde dallo sfaldamento del colosso asburgico in singoli Stati nazionali, avevano subito in Europa le maggiori perdite territoriali, nonché evitare che si accordassero su una linea politica comune. Sia nella Russia sovietica che in Germania si puntò dunque fin da subito ad allentare, se non addirittura a spezzare del tutto questo cordon sanitaire. Si cominciò in Germania, prima con il reclutamento delle truppe clandestine della cosiddetta «Schwarze Reichswehr», poi con la ricostruzione − vietata ai tedeschi dal Trattato di Versailles − di una nuova aviazione militare su territorio russo per finire con il protocollo segreto allegato al patto tra Hitler e Stalin del 23 agosto 1939, in cui si prevedeva una nuova spartizione dell’Europa centro-orientale tra Germania e Urss. Per questi motivi le radici dello scoppio della seconda guerra mondiale alla data del 1° settembre 1939 affondano fin negli anni dell’immediato dopoguerra.
A ciò si aggiunse il fatto che la cintura di Stati creata a Parigi era tutt’altro che solida e stabile, in quanto all’interno dello spazio geopolitico da essi occupato venivano avanzate richieste territoriali del tutto differenti, e molte tra le neonate nazioni esigevano di inglobare anche quelle minoranze nazionali rimaste fuori dai loro nuovi confini politici. Perciò nel corso degli anni venti scoppiarono conflitti armati tra Polonia e Unione Sovietica e tra Ungheria e Romania, nonché una guerra tra Grecia e Turchia che terminò con un’immane deportazione forzata di intere popolazioni, ovvero in quella che oggi chiamiamo pulizia etnica12. È anche grazie a questi precedenti che la politica di revisione territoriale avviata da Hitler con l’Anschluss dell’Austria al Reich tedesco nel marzo del 1938 poté essere portata avanti con relativa facilità e senza che le venissero opposte particolari resistenze.
Ma anche in Italia, una tra le potenze che a Parigi erano sedute al tavolo dei vincitori nei negoziati sul nuovo assetto dell’ordine politico europeo, molti non furono d’accordo con le forme che alla fine furono impresse alla pace13, al punto che la politica revisionista praticata da Mussolini a partire dalla metà dagli anni trenta in Africa orientale (guerra di Abissinia) e nell’area adriatica raccolse il favore della popolazione. La «vittoria mutilata», come aveva definito Gabriele D’Annunzio la pace di Parigi, avrebbe dovuto essere trasformata in una vittoria reale. Così l’Italia fascista divenne la terza tra le più grandi potenze europee a spingere per un cambiamento dell’ordine stabilito dai Trattati di Pa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Nota dell’editore
  6. Dalla dissoluzione degli imperi alle incognite del terzo millennio Introduzione di Guido Crainz
  7. 26 agosto 1789. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Il nodo dei diritti civili di Raffaele Romanelli
  8. 14 luglio 1889. Il primo congresso della Seconda Internazionale. La lunga marcia dei diritti sociali di Massimo L. Salvadori
  9. 28 giugno 1914. L’attentato di Sarajevo. La Grande guerra e l’incubo della modernità di Angelo Ventrone
  10. 9 novembre 1918. Proclamazione della Repubblica tedesca. La Germania alle prese con la sconfitta di Heinrich August Winkler
  11. 19 gennaio 1919. Diritto di voto per tutte le donne tedesche. I movimenti delle donne nel Novecento di Elda Guerra
  12. 4 giugno 1920. Il Trattato del Trianon e i nodi di Versailles. La dissoluzione degli imperi e le tragedie dei confini di Jochen Böhler
  13. Novembre 1924. Esce a Berlino Der Zauberberg di Thomas Mann. Gli intellettuali della Mitteleuropa e la percezione di una «fine d’epoca» di Luca Crescenzi
  14. 12 settembre 1932. Fine della Repubblica di Weimar. La parabola della «grande illusione» di Andreas Wirsching
  15. 24 settembre 1932. Insediamento del primo governo socialdemocratico in Svezia. Modello scandinavo e socialdemocrazia europea di Mario Telò
  16. 24 marzo 1933. Decreto dei pieni poteri a Hitler. L’epoca dei fascismi di Emilio Gentile
  17. 7 marzo 1936. Rimilitarizzazione della Renania. Le difficoltà delle democrazie di fronte al nazismo di Gabriele Ranzato
  18. 2 luglio 1937. L’inizio del Grande terrore staliniano. Il comunismo sovietico tra Europa e Asia di Marcello Flores
  19. 1° settembre 1939. Invasione nazista della Polonia. L’inizio della guerra totale di Herfried Münkler
  20. 1° agosto 1944. Insurrezione di Varsavia. Resistenza/Resistenze di Guido Crainz
  21. 27 gennaio 1945. La liberazione del campo di Auschwitz. La Shoah e il permanere dell’antisemitismo di Anna Foa
  22. 17 luglio 1945. Conferenza di Potsdam. Gli esodi forzati e la scomparsa delle minoranze dall’Europa centro-orientale di Antonio Ferrara
  23. 21 ottobre 1945. Elezione della prima Assemblea costituente in Francia. Le costituzioni democratiche del secondo dopoguerra di Carlo Fusaro
  24. 4 novembre 1946. Entrata in vigore della Costituzione dell’Unesco. L’Europa nelle istituzioni sovra-nazionali di Giovanni Puglisi
  25. 5 giugno 1947. L’annuncio del Piano Marshall. Europa/America di Umberto Gentiloni Silveri
  26. 25 febbraio 1948. Il «colpo di Stato» di Praga. La sovietizzazione dell’Europa orientale di Pavel Kolář
  27. Maggio 1949. Esce a Parigi Le deuxième sexe di Simone de Beauvoir. Europa, territorio dell’altro e della differenza di Julia Kristeva
  28. 23 ottobre 1956. L’inizio della Rivoluzione ungherese. Il fatidico autunno del 1956 di Federigo Argentieri
  29. 25 marzo 1957. Il Trattato costitutivo della Comunità economica europea. Identità europea e identità nazionali di Giuliano Amato
  30. 18 marzo 1962. Gli accordi di Évian e la fine della guerra d’Algeria. Il tramonto del colonialismo e le ombre della civiltà europea di Marie-Anne Matard-Bonucci
  31. 13 aprile 1967. Concerto dei Rolling Stones a Varsavia. L’esplosione delle culture giovanili in Europa di Alessandro Portelli
  32. 21 agosto 1968. Invasione di Praga. I ’68 delle «due Europe» di Anna Bravo
  33. 7 dicembre 1970. Brandt inginocchiato nel ghetto di Varsavia. Le ferite e le memorie divise d’Europa di Guido Crainz
  34. 14 agosto 1980. Gli scioperi di Danzica. Dal dissenso al crollo del comunismo di Paolo Morawski
  35. 9 novembre 1989. La caduta del Muro di Berlino. L’Europa, il mondo e la questione tedesca di Angelo Bolaffi
  36. 15 febbraio 1991. Nascita del gruppo di Visegrád. Speranze e contraddizioni dell’«Europa ritrovata» di Jacques Rupnik
  37. 11 luglio 1995. Massacro di Srebrenica. Il conflitto nella ex Jugoslavia e il ritorno della guerra in Europa di Marta Verginella
  38. 7 dicembre 2000. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’«Europa dei diritti»: una utopia? di Mariuccia Salvati
  39. 1° gennaio 2002. Entrata in vigore dell’euro. La svolta della moneta unica di Pierluigi Ciocca
  40. 1° maggio 2004. Ingresso nell’Unione di dieci nuovi paesi. I nodi irrisolti di un’«Europa più grande» di Sergio Fabbrini
  41. 3 ottobre 2013. Strage di Lampedusa. Il lavoro migrante. Drammi, paure, conflitti di Stefano Allievi
  42. 18 febbraio 2014. La rivoluzione ucraina. L’Europa a confronto con la Russia post-comunista di Fabio Bettanin
  43. 6 maggio 2016. Discorso di papa Francesco per il conferimento del premio Carlo Magno. Tra radici cristiane e diritti universali: l’ultima utopia di Alberto Melloni
  44. 23 giugno 2016. Referendum su Brexit. Il Regno (non) Unito in un’Europa divisa di Brendan Simms
  45. 23 giugno 2016. Referendum su Brexit. A data da destinarsi? di Riccardo Perissich
  46. 15 luglio 2016. Tentato colpo di Stato in Turchia. Fine dei sogni europei, spinte integralistiche e vocazioni totalitarie di Giancarlo Bosetti
  47. 9 novembre 2016. L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. La fine dell’era transatlantica e la solitudine d’Europa di Angelo Bolaffi
  48. 1° ottobre 2017. Referendum per l’indipendenza della Catalogna. Gli indipendentismi fra memorie del passato e crisi del presente di Fernando Vallespín
  49. Uno sguardo verso il futuro di Angelo Bolaffi
  50. Gli autori