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Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria

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Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria

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Qual è il significato delle Fosse Ardeatine? Quale memoria ha lasciato la strage nazista compiuta a Roma il 24 marzo 1944, come rappresaglia dell'attentato partigiano di via Rasella, in cui il giorno prima erano morti 33 tedeschi? Questo libro, uscito nel 1999 e insignito del Premio Viareggio, è divenuto ormai una pietra miliare della storiografia contemporanea e un punto di riferimento per i tantissimi lettori che continuano ad accostarsi ad esso, spesso in occasione dei ricorrenti quanto accesi dibattiti sulla memoria del fascismo e dell'antifascismo. Protagonista assoluta del libro è la voce diretta dei portatori della memoria: duecento intervistati, di cinque generazioni, e di diversissima estrazione sociale e politica (compresi fascisti ed ex fascisti). L'autore torna a lavorare sul suo saggio bandiera, che ha gettato per la prima volta una luce sulle false notizie circolate in occasione del terribile eccidio delle Fosse Ardeatine. Ad arricchire questa nuova edizione, in occasione dei vent'anni dall'uscita della prima, è un saggio dedicato proprio alla memoria del nazifascismo e al suo rapporto con le più recenti riprese di sussulti fascisti e di letture revisioniste o svalutative della Resistenza. Ancora oggi, in modo singolare, quella tragica strage rappresenta un banco di prova della coscienza delle nuove generazioni. Raccolte da Alessandro Portelli, con uno scrupolo che è pari alla passione civile e alla tensione letteraria, le voci di questo libro danno vita a una ricostruzione di grande respiro corale, che si struttura attorno all'elaborazione e alla codificazione di un linguaggio. Ed è il linguaggio, alla fine, a farsi storia: una storia parlata; parlata a Roma.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788855220514
Argomento
Storia

Parte 1

Roma

…Vito Artale, Cesare Astrologo, Raffaele Aversa, Carlo Avolio, Antonio Ayroldi, Manfredi Azzarita, Ugo Baglivo, Giovanni Ballina, Aldo Banzi, Silvio Barbieri, Nino Benati, Donato Bendicenti, Lallo Berardi, Elio Bernabei, Secondo Bernardini, Tito Bernardini, Aldo Berolsheimer, Giorgio Leone Blumstein, Michele Bolgia…
Ada Pignottia: Io, dopo che eravamo stati lì per vede’ dai frati, lì, a San Callisto, allora dopo ciànno detto, ciànno spiegato, dice vedete quella lì? Lì dentro l’hanno messi. Noi ci siamo precipitati per anda’ a vede’. Lì che c’era, c’era niente, era una discarica; c’era tutta mondezza, tutta robba – addirittura bisognava, c’erano i mucchi che dovevamo passa’ così. E da una parte c’era l’entrata, dove loro so’ entrati, e lì, l’hanno strascinati, l’hanno portati dentro. Allora siamo andati lì – i mosconi, non gli dico quello che c’era. Un tanfo, una puzza che non se respirava, la carne umana che se disfaceva. E siamo andati, però fino a un certo punto, poi era chiuso. De qua è chiuso, de là è chiuso perché hanno messe le due bombe e hanno chiuso dove stavano loro. Quindi, l’hanno messi dentro la galera, tutti. Allora la gente, così, tutti i giorni andava a vede’, e vedevamo – tant’è vero che dopo ce se portavano ’e fotografie de quelli che so’ mancati, così, magari pe’ vedere anche che qualcuno magari, passando, vedeva che magari l’avesse visto in un’altra parte – insomma, tutta un’illusione, la vita è stata tutta un’illusione. E così.
Dopo invece quando hanno cominciato a fa’ la riesumazione, allora andavamo lì tutti i giorni. Io mi ricordo che stavo lì quando hanno trovato mio marito che poi – mio cognato [Umberto] l’hanno trovato il giorno avanti; il giorn’appresso hanno trovato mio… mio marito; che gli hanno trovato il portafoglio di mio cognato sopra le gambe. Quindi, è morto prima mio marito e poi è morto… poi lui hanno ammazzato. Uno sull’altro. E così. Ma che vedeva? Che voleva riconosce’? Che cosa! Niente! Perché poi erano stati ammucchiati uno dentro l’altro, quindi tutto, tutto quello che c’era, il liquame, la cosa, una cosa da, da diventa’ p…. no’ lo so io, da’mpazzire a vedere certe cose. Il viso poi – che voleva vedere, il viso, che ce l’aveva tutto storto… Poi niente, la pelle nera, e nient’altro. ’Na cosa orribile, proprio orribile.
Poi c’era Mastrangeli Fulvio, che era il cognato di mio cognato; poi c’era il cugino che si chiamava Prosperi Antonio. Questo Prosperi Antonio quando c’è stata la riesumazione dei morti, l’abbiamo trovato – l’hanno trovato, sì, accostato alla parete della camera, mummificato. Ancora – a occhi sbarrati – quando l’hanno tirato fuori, gli si vedeva ancora il celeste degli occhi, pensa, proprio – mummificato, era rimasto – dal terrore, st’occhi sbarrati. E, quando l’hanno portato fuori è diventato tutto nero, sennò prima [era] così ancora – perché s’era mummificato, era stato là tre mesi – tre mesi, marzo, aprile, maggio; a luglio l’hanno cominciato a [riesumare]. Tant’è vero che quando poi hanno fatto la – come si chiama – autopsia, diciamo così, che hanno fatto la riesumazione, [il dottor] Ascarelli ci disse che quello non era morto subito. Non si sa quanti giorni, aveva sofferto.

II. Tempi e luoghi

1. Cominciare dal principio.

Sentite che ve dice er Sor Capanna
er millenovecento s’avvicina
è aritornato er tempo de la manna
che a uffa ce la danno la farina.
(stornello tradizionale, Umberto Trugli,
Palombara Sabina)1
«Ma che cos’è, in fin dei conti, un inizio?» chiede lo scrittore israeliano Amos Oz: «Esiste, in sostanza, un incipit davvero appropriato per una storia? O piuttosto non è sempre presente – allo stato latente, ma senza alcuna eccezione – un inizio prima dell’inizio?»2.
«È così difficile ricomin… cominciare dal principio» (Vera Simoni)b. Da dove comincia questa storia? Dall’esplosione della bomba a via Rasella, dall’8 settembre, dal 25 luglio, o da molto prima? Tutti i narratori si muovono all’indietro, in cerca di un altro inizio che dia forma e senso. Una biografia del generale Sabato Martelli Castaldi, ucciso alle Fosse Ardeatine, comincia così: «È l’una di pomeriggio del 19 agosto 1896, e Argia dà alla luce il suo primo bimbo». Il libro di Rosario Bentivegna, che accese la miccia a via Rasella, comincia: «Una mattina come le altre. Presto, verso le prime ore di quel 19 luglio…», il bombardamento di San Lorenzo3. In molti mi hanno detto che avrei dovuto cominciare dal 16 ottobre, la deportazione dei romani ebrei; altri retrodatano ancora, alle leggi razziste: «11 novembre 1938: un giorno che non si dimentica»4. Marisa Musu, gappista, comincia da un atto di nascita di un padre antifascista, datato 18885. E persino Erich Priebke, per spiegarsi, torna indietro: «Io, Erich Priebke, sono nato il 29.7.1913 a Berlin-Hennigsdorf…»6.
Ada Pignotti: «Noi, il paese nostro se chiama Oricola – lo conosce? [vicino Avezzano, in Abruzzo]. Papà era un poveraccio, era un contadino. Quello che raccoglievano, facevano due parti a chi la lavorava e una parte a, al padrone diciamo. Però, quand’era ultimo, il padrone se pigliava tutto perché magari non se riusciva a fine anno; e allora glie dava quello [di cui il contadino aveva bisogno], però poi doveva [ri]darglielo raddoppiato. Noi purtroppo siamo vissuti così. Allora ’n c’era altro, dove s’andava? O dovevi emigrare, come fanno adesso questi che alle volte noi diciamo “eh, tutti qua, tutti qua”. Però, i nostri ch’hanno fatto? Hanno emigrato lo stesso, in America, in tutti i paesi stranieri, no».
Adolfo Fantinic: «La storia parte dall’inizio del secolo. Mio padre faceva parte di una famiglia poverissima, viveva in una frazione dell’Agro degli Abruzzi, si chiama Coppito. Mio nonno faceva i mattoni, impastavano a mano l’argilla e lui quando non andava a scuola accompagnava mio nonno, andava in giro in queste fornaci a fare i mattoni. Era la zona di questo paese più scoscesa, era tutta piena di pietre dove l’inverno scorreva l’acqua con i liquami delle bestie perché sotto tutte le case erano delle stalle. Questo era il paese da dove mio padre partì per l’America. Quando mia madre ha voluto ristrutturare quei due buchi, lì dove era nato mio padre, scavando nel pavimento che era allora la stalla – lei ci aveva fatto un piccolo soggiorno – nella soglia hanno trovato inciso sul cemento “Viva il socialismo”… Parlo dell’altro secolo…».
Orfeo Muccid: «Io so’ nato a Roma, a San Lorenzo, quartiere totalmente proletario. Mio padre faceva il falegname e era il segretario della Confederazione generale del lavoro della lega del legno. Anarchico, di fede anarchica. Era dell’84 papà, ma nel 1908-10 era già molto attivo. Mio nonno, a Benevento aveva partecipato all’insurrezione della Prima Internazionale. Poi dopo so’ stati sconfitti, regolarmente, e so’ stati arrestati dai carabinieri, i soliti carabinieri e ha dovuto lascia’ Benevento e è dovuto venirsene a Roma, coi figli; difatti papà a due anni stava a Roma».
Il marito di Ada Pignotti fu ucciso alle Fosse Ardeatine; il padre di Adolfo Fantini fu coi primi partigiani fucilati a Forte Bravetta nel dicembre 1943; Orfeo Mucci era il commissario politico di Bandiera Rossa: più di sessanta suoi compagni sono morti alle Fosse Ardeatine. Nella loro memoria c’è tutto lo spazio e tutto il tempo dei movimenti operai e contadini in Italia: la banda del Matese e la Prima Internazionale, la povertà contadina e la nascita degli ideali socialisti, l’emigrazione, le Americhe, gli scioperi del Fucino narrati da Ignazio Silone, le lotte mezzadrili… Orfeo Mucci è morto nel 1998, i ragazzi dei centri sociali romani gli hanno dedicato una lapide a San Lorenzo. Dal 1874 al 1998, la storia dell’opposizione in Italia era compresa nella sua memoria.
Ada Pignotti: «Però, lì poi c’è stata la cosa – a Tagliacozzo, come si chiamavano, che c’era il Fucino, come si chiamava – i Torlonia. C’è stato quello che c’è stato. Però papà la pensava in quella maniera, e quando c’era da fa’ sciopero il primo era lui. Ha partecipato a tutto, perché lui la pensava in questa maniera. Difatti poi, dopo finita la guerra, hanno cominciato un po’ a cambiare, allora facevano tre parti a chi lavorava e una parte al padrone. Allora le cose cominciarono a anda’ bene. Papà purtroppo ha campato poco perché nel ’51 se n’è andato. Diceva vedi, ho lottato, ho lottato; però, se non finiva il fascismo, non c’era niente da fa’. Non c’era niente da fa’. Adesso… pare che siamo ritornati un po’ indietro. Vabbe’, allora credevamo in una cosa, invece poi non era così…».
Adolfo Fantini: «Allora mio padre lì in quella frazione riuscì ad andare a scuola fino alla terza elementare, perché non c’era più altro. Faceva parte già da giovinetto di questi primi circoli socialisti. Pianse quando non poteva andare più a scuola; comunque a sedici anni, nel 1910, parte assieme con un altro gruppo di emigranti in America. [A Boston] fece il terrazziere, e la sera andava a scuola, alle scuole serali. Lì fece parte dei gruppi anarchici e scriveva in un giornale, la “Scintilla”. Era rimasto entusiasmato da Jack London e si firmava Jack in questi articoli che faceva. Quindi con un gruppo di compagni volevano redimere i peones, i contadini, si imbarcarono in un viaggio a piedi dall’America del Nord fino all’America centrale, due anni e viaggiavano a piedi, si fermavano in qualche fattoria, lavoravano per [mangiare] e lui faceva il diario la sera accanto al fuoco, c’è pure qualche amorazzo con qualche padrona nella fazenda. Lui era amico di Sacco e Vanzetti, mio fratello ancora conserva una lettera di Sacco e Vanzetti che gli scrissero dal carcere perché lui tornò in Italia nel ’22 proprio per questa campagna per salvare Sacco e Vanzetti e fece una serie di comizi nelle Marche che era una zona di anarchici e loro gli scrissero per ringraziarlo… Il ’20, ’22 quando sembrava che ci fosse la possibilità di sommovimento, la rivoluzione… lui niente, fremette, e venne in Italia.

2. Il richiamo di Roma.

Roma capitale raddoppia in trent’anni, passando da 240000 a 460000 abitanti, quasi al novanta per cento per immigrazione7. Vi si trasferisce prima la classe dirigente, l’apparato dello stato; poi, si tira dietro una ben più numerosa espansione popolare. «Occorrevano muratori e manovali per costruire le case e le strade, occorrevano operai e lavoratori in genere alla centrale del gas, alla società dell’acqua, nei molini, al mattatoio, ai mercati, alla guida dei primi omnibus. La città cominciò ad attirare la gente che la campagna respingeva, sia che ve ne fosse veramente ed immediatamente bisogno, sia che la probabilità e speranza di un bisogno futuro sembrasse già meglio della sicura miseria rurale»8. Dall’Umbria, dall’Abruzzo, dalla Puglia, dalle Marche, dalle campagne laziali lavoratori e famiglie di origine rurale affluiscono verso Roma, in un flusso che solo il fascismo interromperà. I figli e i nipoti di queste prime generazioni di nuovi romani li ritroveremo a via Rasella («mia madre [era] di una famiglia contadina, poverissima, abruzzese, un paesino bellissimo, Cittaducale, con una pianta architettonica magnifica. E così ha conosciuto mio padre, si sono sposati, hanno avuto me»: Mario Fiorentini)e e alle Fosse Ardeatine.
Bruno Frascaf: «Mio padre era ciociaro, di Veroli – manco Veroli la cittadina: la campagna intorno a Veroli, una frazione che si chiama Santa Francesca. I miei nonni erano contadini. Mi pare che un pezzetto [di terra] era loro, ma erano più mezzadri: mezzo raccolto davano al padrone e mezzo lo prendevano loro. Facevano le olive, le viti, il grano, c’erano certi campi di grano… Adesso è tutto prato quasi… ’na cosa brutta anda’ fuori e vede’ tutto prato. Io ci so’ andato a scuola lì; ciò fatto la quarta e la quinta. Mi ricordo i vecchi ciociari con le ciocie, quelle case tutte brutte che se ritornassero oggi, i ragazzi di oggi gli verrebbe l’infarto; la miseria che c’era allora… Infatti quelli del paese di mio padre hanno cominciato a vivere un po’ negli anni cinquanta quando andavano a fa’ i manovali, gli operai a Roma, pure senza permesso venivano».
All’inizio del secolo, la famiglia Capecci gira da una tenuta all’altra nella campagna romana. Racconta Angelo Capeccig: «Tre mesi in un posto, sei mesi da ’n’altra parte, un anno in un’altra. Perché facevano i contratti d’affitto questi proprietari che ciavevano bestiame. Mio padre era un dipendente, e faceva il guardiano, diciamo, il guardiano di bestiame. Peripezie, caricavano sulle barozze quelle quattro cose che ciavevano e se ne andavano, e magari da Sutri andavano a finì a Castel Romano, al trentesimo chilometro della Casilina… hanno cambiati tantissimi posti, in mezzo a zone malariche, due figli morti colla malaria. Poi dopo stavano al Torrino; dopo da lì, venimmo a abita’ a Spizzichina, qui al quattordicesimo chilometro della Cassia; e nel ’35 siamo venuti ad abitare qui [a Isola Farnese]». Suo fratello Mario verrà fucilato a Forte Bravetta; suo fratello Alfredo, a diciannove anni, sarà ucciso alle Fosse Ardeatine.
«La strada di Antonio Ayroldi (n. 1906) parte dalla Puglia degli inizi del secolo»: da Ostuni, una terra dura, una famiglia che va in crisi per il numero dei figli (sei) e per falliti tentativi commerciali9....

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Nota dell’editore
  6. I. Introduzione
  7. Parte 1. Roma
  8. Parte 2. Le Fosse Ardeatine
  9. Parte 3. La memoria
  10. Note
  11. Postfazione 2001
  12. Postfazione 2019
  13. Indice dei materiali sonori