Parte prima
«Regulae»
I.
«Regula» nell’esperienza degli antichi prudentes
1. D. 50.17.1
Per quanto concerne il concetto di ‘regula iuris’ in diritto classico, punto di partenza della presente indagine può essere individuato nell’analisi di D. 50.17.1 di Paolo, in cui esso trova una caratterizzazione compiuta, secondo un’opinione oramai pacifica:
(Paul. 16 ad Plaut.): Regula est, quae rem quae est breviter enarrat. Non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur, et, ut ait Sabinus, quasi causae coniectio est, quae simul cum in aliquo vitiata est, perdit officium suum.
Il frammento è estrapolato dal commentario a Plauzio, e ci dice che la ‘regula’ è ciò che descrive brevemente una ‘res’, e come tale deve derivare dal ius e non viceversa. Si prosegue confermando che la ‘narratio brevis’ è trasmessa per mezzo della regola, «come afferma Sabino». Essendo essa simile a una causae coniectio, allo stesso modo di questa, ove sia viziata, perde la sua funzione. La definizione paolina risulta dalla forma non del tutto limpida, ma resa farraginosa dalla ripetizione in sequenza del ‘quae’. Nella prima parte, essa, se analizzata sotto il profilo sostanziale, rende indefinite il periodo che introduce, quasi atecnico. A ciò sembra corrispondere la genericità del referente di tale pronome, ossia il termine ‘res’, parimenti ripetuto a breve distanza e che, in un periodare così sintetico, lascerebbe pensare, più che a una trascuratezza lessicale, al rafforzamento sul piano del significante di una ratio che si può chiarire analizzando ulteriormente il testo.
2. ‘Regula’ e ‘res’ (Cic., Brut. 41.152)
In via più generale, nelle fonti, l’espressione ‘res’ si declina in svariate accezioni, potendo indicare e definire sia atti sia fatti, fino a «tutto ciò che è esistente»; presente in modo diffuso negli scritti giurisprudenziali precedenti, risulta dal senso maggiormente ampio di ‘factum’ Vi è un brano che merita attenzione, in quanto la ‘res’ si atteggia a referente della ‘regula’ in un modo che riecheggia D. 50.17.1; si tratta di Brut. 41.152:
Rem universam tribuere in partis, latentem explicare definiendo, obscuram explanare interpretando, ambigua primum videre, deinde distinguere, postremo habere regulam qua vera et falsa iudicarentur et quae quibus propositis essent quaeque non essent consequentia.
L’esposizione ciceroniana riveste un valore particolare, in quanto è comunemente ritenuta l’antecedente, non solo temporale, ma anche giuridico dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di regula iuris, attraverso l’impiego di uno schema partitorio; l’inciso ‘tribuere in partis’ infatti, appare chiaro. La ‘regula’, in tale dinamica , coincide oltre che una ‘pars’ della ‘res’ anche con uno stato della logica, sulla scia del pensiero aristotelico di cui Cicerone, come noto, si fa mediatore culturale e linguistico presso i Romani. Non di meno, non si perviene a una sua concezione astratta. Dal testo, infatti, essa si pone come la risultante di un processo derivativo, che parte dall’osservazione del dato reale, che si riferisce a una ‘res’, ed è subordinata al diritto. Pur essendo dedotta dal «fatto», tuttavia non lo trascende, atteggiandosi a una descrizione, attraverso una sorta di circolo logico, che parte da una res e termina con una res diversamente concettualizzata. Essa, così, è divisa in parti che sono poste in relazione tra loro attraverso un rapporto di complementarietà, e, allo stesso tempo, all’interno di una sorta di scala. Dunque, in Cicerone la regola trova il suo referente nella res, come in D. 50.17.1. Purtuttavia, tra i due brani si ravvisa una differenza, poiché se in Brut. 41.152 la regola è concepita come una pars di un totum, ma una volta dedotta, essa assurge a parametro, come nella visione aristotelica. Diversamente, in D. 50.17.1 la medesima funge da mezzo di trasmissione (sempre di res) che va vagliato di volta in volta, non assurge perciò a parametro fisso. In altri termini, in Paolo la regula attiene al metodo, ossia sintesi per trasmettere una res, mentre in Cicerone alla sostanza, ossia una categoria. Tali dati, naturalmente, da soli possono essere considerati argomentazioni parziali da avvalorare in corso di indagine. Non di meno, dall’analisi dei testi ora condotta, si potrebbe pensare che la redazione di D. 50.17.1 si sia ispirata alla trattazione ciceroniana, pur sempre con delle differenze notevoli sotto il profilo giuridico, segno di quella progressiva acquisizione ed evoluzione giurisprudenziale su tale schema logico.
3. ‘Non ex regula ius sumatur’
Proseguendo nell’indagine, occorre notare, che, nonostante il titolo programmatico, ‘De diversis regulis iuris antiqui’, in D. 50.17.1, la specificazione ‘iuris’ è assente. A mio avviso, a tale dato andrebbe prestata una certa attenzione, poiché la rubricazione ora ricordata è naturalmente frutto della mentalità compilatoria, e ciò potrebbe indurre a pensare che il genitivo appartenesse esclusivamente alla stesura giustinianea. Sempre in tale prospettiva, ragionando e contrario, proprio la sua assenza in D. 50.17.1 potrebbe essere, altresì, un indice di classicità. Ma tale idea è smentita da altri testi in cui, come si vedrà, la regola è esplicitamente qualificata ‘iuris’ dagli stessi prudentes. Permane, perciò, la questione inerente all’assenza di specificazione ‘iuris’ in Paolo. Essa potrebbe essere dovuta non solo a una scelta meramente lessicale, o espositiva, ma potrebbe sottendere a una logica specifica. In altri termini, la regola, menzionata sic et simpliciter, avrebbe individuato un concetto generico, non necessariamente limitato al ius, ma ampio, così come ipotizzato per il suo referente, ‘res’. Nella parte seguente del testo, ‘… non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat’, la regola è inserita in un periodo attraverso cui si delinea la sua connessione con il ius: essa risulta un posterius del ius. Tale relazione è resa attraverso l’uso di una proposizione negativa, che evidenzia il divieto – ove la si valuti in chiave normativa –, o la constatazione – ove si concepisca la proposizione in modo descrittivo –, per cui il diritto non si desume dalla regola, ma è il ius ciò che costituisce la stessa. Nel primo caso, si sancirebbe l’idea che la regola dovesse essere compatibile con l’ordinamento, svolgendosi secondo il modus agendi tipico dei giuristi. In altri termini, essa, nella sua formazione, segue il solco di un metodo casistico, per cui le regole non sono imposte ex ante, ma devono rispondere al ius concreto, pur facendo parte integrante dell’ordinamento. Secondo tale impostazione è chiaro che il carattere normativo della regula prescinde dalla sua stabilità all’interno del diritto, potendo variare in base alle diverse concezioni degli operatori del diritto. La letteratura è andata anche oltre questa concezione, attribuendo il passaggio a una precisa visione paolina; quindi, non solo sarebbe attendibile, ma rispecchierebbe anche una sorta di posizione critica del giurista severiano rispetto alla restante giurisprudenza. Un’ipotesi, quest’ultima, alquanto singolare, che non può basarsi sul solo D. 50.17.1, com’è stato rilevato, ma che, tuttavia, non inficia l’economia del nostro discorso. All’inciso in esame è conferita anche una lettura ideologicamente orientata, nel senso che la subordinazione della regula al ius rispecchierebbe, sotto un profilo storico-politico, la gerarchia delle fonti in diritto giustinianeno, in linea con quella tendenza, già ampiamente presente nei codici precedenti, a ridurre e unificare le fonti normative, soprattutto quelle di provenienza non imperiale, possibile strumento di frammentazione dell’esercizio del potere. Così, la parte di frammento sin qui esaminata si presta, tendenzialmente, a una sorta di duplex interpretatio, favorita dalla generalizzazione dalla rubricazione dei commissari. A mio parere, sono ravvisabili motivi di perplessità sia sulla sostanza che sulla coerenza interna del brano, i quali lasciano ipotizzare che l’inciso possa costituire effettivamente un’aggiunta tarda, ipotesi da avvalorare anche nel prosieguo. Si è visto che in apertura di D. 50.17.1 si snoda una dinamica di tipo deduttivo, per cui dalla ‘res’ si inferisce la ‘regula’. In tale contesto, la regola non individua una categoria, ma un metodo, indicato dal complemento di mezzo, ‘per rem’, attraverso cui si perviene a una sintesi, la quale è definita pur sempre ‘regula’. Il periodo risulta, in tal modo, chiuso una logica circolare, quasi tautologica. Anche il prosieguo, ossia l’inciso ‘non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat’ rafforza soltanto quanto espresso nella perifrasi precedente: meglio, ne è una conseguenza, se interpretata nella chiave qui accolta. Infatti, se la ‘regula’ è una sintesi di ‘res’ e null’altro, è chiaro che essa è subordinata al diritto. Allo stesso tempo, mi sembra che dalla ‘res’ si passi al ‘ius’ in modo brusco, come se mancasse un anello di congiunzione tra la prima proposizione e le seguenti. Non solo il breve periodo...