Croce ed Einaudi
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Croce ed Einaudi

Teoria e pratica del liberalismo

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Croce ed Einaudi

Teoria e pratica del liberalismo

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Nella storia della cultura italiana vi sono vicende di uomini e di idee molto citate ma molto poco davvero conosciute. La celebre polemica tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi sul rapporto tra liberismo e liberalismo è una di queste. Tutt'altro, infatti, che un duro scontro polemico senza volontà d'intendersi, la celebre polemica fu una civilissima discussione tra i due maggiori interpreti della cultura liberale italiana che ancora oggi, se conosciuta a partire dai testi e dal contesto, è in grado per noi abitanti del terzo millennio di essere un punto di riferimento per schiarire e ingagliardire il concetto di libertà e la nostra stessa fragile democrazia rappresentativa. Qui, nelle pagine che seguono, la discussione tra il filosofo e l'economista è ricostruita per la prima volta nella genesi, nello sviluppo, nella conclusione e nel suo significato considerando sia i testi sia le lettere sia gli avvenimenti degli anni Venti, Trenta, Quaranta del secolo scorso in cui i veri nemici di Croce e Einaudi, e di tutti gli uomini liberi, erano le varie forme di totalitarismo, dal nazionalsocialismo tedesco al comunismo sovietico. Non mancano le sorprese, sia perché le posizioni di Croce e Einaudi sono meno distanti di quanto non si immagini, sia perché la conclusione della polemica, mai realmente considerata, appare oggi come un inedito, sia perché la polemica trova una sua composizione nella relazione tra la teoria e la pratica del liberalismo che, non casualmente, dà il titolo al libro.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788849862270

La religione della libertà e i liberismi

La chiave è nella storia. La libertà non può essere ricondotta
ad una
struttura razionale che, posseduta dalla mente
dell’uomo o da una macchina, ne giustifichi il potere totale sulla vita.
Nel 1931 Croce pubblicava la memoria, letta all’Accademia di Scienze morali e politiche della Società reale di Napoli, Capitoli introduttivi di una storia dell’Europa nel secolo decimonono. Erano i primi tre capitoli della Storia d’Europa che sarebbe uscita l’anno seguente: La religione della libertà, Le fedi religiose opposte, Il romanticismo. Einaudi gli scriveva il 22 aprile: «Sulla Riforma sociale uscita or ora pubblico una recensione dei suoi capitoli introduttivi. C’è anche un po’ di discussione. Altra volta lei mi aveva accennato ad una risposta da pubblicarsi sulla Riforma sociale. Se le accadesse ora di voler dir qualcosa, Ella sa come sarei lieto di inserire un suo scritto nella rivista». La discussione continuava.
Cosa diceva Croce in quelle famose pagine e, soprattutto, cosa intendeva dire con l’espressione «religione della libertà»? Con tale celeberrima espressione – non di Croce ma diventata famosa con Croce e, dunque, praticamente sua – il filosofo intendeva rendere più popolare possibile il significato del nuovo concetto di libertà maturato dal pensiero occidentale. Però, al di là del comprensibile tentativo di porre alla portata di tutti, fin quasi a dargli una veste mitica, il concetto filosofico della libertà che costa fatica afferrare e, comunque, come ogni vera comprensione è frutto di un dramma mentale non sostituibile, Croce usa l’espressione «religione della libertà» e non un’altra formula, ad esempio, “filosofia della libertà” o “ragione della libertà” o – perché no? – “struttura della libertà”. Perché? Proprio perché la libertà non può essere ricondotta a una struttura razionale che, posseduta dalla mente dell’uomo o, per stare a oggi, dalla mente di una macchina, ne giustifichi il potere totale sulla vita. È esattamente questo, invece, il meccanismo infernale della moderna mente totalitaria – in particolare comunista – che ritenendo di aver determinato tutti i fini della vita può predeterminare tutte le scelte vere e sante perché ha neutralizzato la possibilità dell’errore e del male.
Per Croce la storia è storia religiosa o etica e il principio che la sorregge è proprio la libertà che è per così dire l’interno motore delle vicende umane di ieri, di oggi, di domani, almeno fino a quando l’umanità resterà nei confini della storia. Così l’espressione crociana «religione della libertà» sta a significare l’impossibilità o la non volontà di ridurre la libertà a una struttura razionalistica o meccanica e a un patto d’acciaio, stabilito una volta per sempre, tra mezzi e fini (ammesso e non concesso che esistano mezzi che non siano fini). Se fosse possibile tale riduzione, allora, la libertà perderebbe la sua dimensione spirituale o storica e l’uomo sarebbe espulso dalla storia e dalla storia della sua anima (cosa, peraltro, che oggi si pensa, visto che si parla con grande facilità di condizione post-storica).
Considerare la dimensione religiosa della libertà significa, dunque, capire che la libertà è sempre in un contesto storico, plurale e di lotta nel quale gli uomini – gli uomini di buona volontà ma anche gli uomini di cattiva volontà – sono liberi proprio perché perennemente in lotta con l’errore e il male e con forze, interne ed esterne, che li avversano ora piegandoli e spezzandoli, ora irrobustendoli e rinnovandoli. Non si è lontani dalla verità se si afferma che l’errore e il male sono gli istituti di garanzia dell’esistenza della libertà (che ha per sé l’eterno).
Luigi Einaudi lesse e scrisse. Evitò, dopo aver indicato il tema della memoria, di «sunteggiarla» perché sarebbe stato «impossibile dare, col sunto, l’impressione di quanta gioia dello spirito e di quanto stimolo a meditare dia questa, come ogni altra scrittura del Croce». Colse l’occasione per un approfondimento perché vide che Croce abbassò ancor più, rispetto al passato, il valore astratto del concetto del liberismo. E, quindi, nello scritto intitolato Dei diversi significati del concetto di liberismo economico e dei suoi rapporti con quello di liberalismo, Einaudi si soffermò su quattro diversi significati del termine “liberismo”: astrazione, precetto, religione, storia.
Esiste, spiega Einaudi, un primo tipo di liberismo che è astratto perché gli economisti, nel tentativo di elaborare il ragionamento scientifico, formulano delle supposizioni o ipotesi: «Tutta la scienza economica è un’astrazione pura; e non può non essere tale». La scienza economica se non fosse astratta non avrebbe qualità di scienza. Attraverso la formulazione di ipotesi, di supposizioni, di astrazioni gli economisti si illudono di poter adeguare a esse la realtà. Si tratta di un’illusione necessaria, quasi di una sorta di «astuzia della ragione», per dirla con la famosa espressione di Hegel, altrimenti l’economista per il troppo sconforto deporrebbe gli strumenti di lavoro prima di iniziare a lavorare. Il salto o, come dice Einaudi, lo hiatus, tra l’astrazione e la realtà resta e «solo il fiuto del politico» o «la potenza visiva dello storico» possono unirli.
Il secondo tipo di liberismo è quello precettistico, quando l’economista si misura con la realtà ed è chiamato a risolvere un problema concreto. Qui Einaudi, sulla base di quanto già detto, afferma che si tratta di un impegno gravoso per l’economista perché, pur non sottraendosi al suo dovere di rendere un servigio pubblico, è consapevole che si tratta di un compito arduo. Purtroppo, oggi, a dispetto di Einaudi, il difficile mestiere dell’economista è svolto con grande nonchalance, quasi come se l’economista fosse un cuoco pronto a dispensare le sue ricette. E così se il cuoco è liberista si avranno miracolose ricette liberiste, se il cuoco è socialista si avranno miracolose ricette socialiste, se il cuoco è interventista si avranno miracolose ricette stataliste. Invece, per il grande economista italiano, posto davanti ai “problemi concreti”, quelli che fanno parte della vita reale, «l’economista non può essere mai né liberista, né interventista, né socialista ad ogni costo». Il suo compito consisterà prima di tutto nel confrontarsi con la realtà e, quindi, il suo giudizio sulle dogane, sul libero scambio, sulla legislazione sociale non sarà l’applicazione di una dottrina bensì la ricerca di una soluzione conveniente o, come avrebbe detto Croce, utile. Si ammetta che la soluzione trovata in una determinata situazione sia liberistica, ebbene, dice Einaudi, «essa si impone non perché liberistica, ma perché più conveniente delle altre».
C’è poi un terzo tipo di liberismo che Einaudi definisce religioso e consiste nel ritenere che la massima del lasciar fare e lasciar passare sia una legge universale, una sorta di legge di natura. Secondo gli economisti che professano tale fede, gli uomini perseguono il loro interesse e tale perseguimento è libero e giusto che avvenga perché conduce anche alla soddisfazione dell’interesse della società. Il liberismo religioso sarebbe ispirato alla famosa e provvidenziale «mano invisibile» di Adam Smith ma, avverte Einaudi, è proprio lo stesso Smith a sconfessare questo principio quando rileva l’opposizione tra interessi degli individui e della collettività e ritiene valido l’intervento statale. Tuttavia, Einaudi riconosce al liberismo religioso un grande valore morale che è quello di privilegiare l’etica del lavoro e dell’iniziativa rispetto alla morale del poltrone che tutto attende dalla manona pubblica statale che, una volta intervenuta, fa grossi danni proprio alla collettività.
Dopo aver esposto i primi tre tipi di liberismo, Einaudi fa un’importante precisazione che è in perfetta consonanza con Croce: tutt’e tre «si muovono nell’ambito dell’economia e non hanno un legame necessario con la visione liberale del mondo». Tant’è che può accadere che vi siano liberisti che vanno d’amore e d’accordo con un governo assoluto o con una dittatura ma, naturalmente, può accadere il contrario, ossia che vi siano liberali che sono anche liberisti, e qui il caso classico che piace ricordare è quello del conte di Cavour. Ma il quarto tipo di liberismo? Eccolo.
Esiste per Einaudi un liberismo storico che sembra proprio essere «affratellato» con il liberalismo e così immedesimato con esso da essere «impossibile scindere l’uno dall’altro». Per introdurre questo quarto tipo di liberismo, Einaudi dialoga direttamente con Croce e introduce il riferimento a un passo del capitolo Le fedi religiose opposte lì dove il filosofo quasi ipotizza che se fosse vero che gli eventi storici conducessero al cospetto di un bivio, ossia perdere la ricchezza ma conservare il capitalismo oppure salvare la produzione ma abolire la proprietà privata, ebbene, il liberalismo non potrebbe fare altro che dar corso all’abolizione della proprietà. Ma il paradosso di Croce è solo un espediente retorico per far risaltare il contrario e, infatti, Einaudi correttamente avverte che il filosofo subito distrugge la supposizione con una delle sue «pagine più belle» dicendo che se ciò si verificasse, allora, il comunismo arricchirebbe gli uomini materialmente ma li svuoterebbe spiritualmente fino a trasformarli in maiali o «transiti di cibo» come li definiva Leonardo. Si aggiunga che per Croce la proprietà privata non è sopprimibile perché coincide né più né meno con la categoria spirituale dell’utile-vitale. Su questo punto si soffermerà ancora alla fine dei suoi giorni in uno scritto riguardante, non casualmente, Marx e il comunismo e che si legge in Indagini su Hegel e intitolato La monotonia e la vacuità della storiografia comunistica. Vi si legge: «[…] perché la proprietà privata non si potrà mai radicalmente abolirla in quanto coincide col concetto dell’individuo, che non vive già come classe o altra generalità ma con sé stesso, e, se esiste, ha la proprietà di sé stesso e di quanto lo fa esistere» e in questa esistenza e in questa proprietà vi è già esplicita sia la resistenza ai soprusi, alla tirannia e agli annientamenti totalitari sia l’iniziativa che è propria dell’individuo e della sua vitalità. Tuttavia, quell’espediente retorico è stato formulato ed Einaudi lo riprende per porre la vera questione che gli preme sottolineare: il liberalismo può esistere lì dove non c’è proprietà privata e lo Stato è padrone di tutto?
La risposta di Einaudi è chiarissima: tra liberalismo e comunismo vi è «incompatibilità assoluta» perché là dove c’è una sola volontà – lo Stato, il Partito, il Capo – che impone il suo volere, lì non c’è libertà e perfino la stessa libertà del pensiero è negata se il pensiero non è esprimibile perché avverso all’unica volontà valida. Quindi la libertà vive per forza di cose quando c’è una certa dose di liberismo, anche se – specifica Einaudi – ciò non significa porre un’unità tra il liberalismo e uno dei tre “significati tecnici” prima illustrati. In altre parole, il comunismo nega proprio quella pluralità che abbiamo visto essere indispensabile all’esistenza della libertà. Il liberismo storico, dunque – dice Einaudi affratellandosi con lo storicismo di Croce –, mostra non solo che vi è incompatibilità tra liberalismo e comunismo ma che è la stessa libertà a creare l’economia che le serve per vivere e, quindi, Einaudi sfugge all’eventuale critica di Croce di far dipendere in tal modo la vita libera e spirituale dall’economia. Era, questa, una conclusione che anche Croce poteva accettare. E, tuttavia, la discussione sarebbe continuata andando ancora più in profondità.

Signori e servi

Tutti i “mezzi” sono impotenti a creare la libertà, eppure quali sono i mezzi migliori per l’opera creativa della libertà?
Nel 1936 Croce recensiva, stroncandolo, il libro di Harold J. Laski The rise of european liberalism. An essay in interpretation con l’articolo Tardi fraintendimenti marxistici di un professore inglese di politica apparso ne «La critica» (anno XXXIV, fascicolo VI), ripreso e pubblicato poi nella serie quinta delle Conversazioni critiche. Einaudi prendeva spunto dalla «postilla» di Croce per riprendere il dialogo con il saggio Tema per gli storici dell’economia: dell’anacoretismo economico pubblicato nel giugno del 1937 nella «Rivista di storia economica» (anno II, numero 2).
La terza tappa della discussione tra Croce ed Einaudi ebbe qualcosa di ironico. Questa volta, infatti, fu l’economista a formulare un’ipotesi paradossale ossia che se il sistema comunistico fosse voluto in modo libero e consapevole potrebbe anche essere adottato ma, naturalmente, a patto che la libera scelta si potesse anche ritrattare, esattamente come un prete può liberamente decidere di togliersi l’abito religioso e vivere la vita in modo diverso dall’obbligo del voto confessionale. Ma il comunismo dopo Marx non è più il comunismo prima di Marx: prima, infatti, le teorie comuniste erano utopistiche e, per così dire, ritrattabili quando una volta attuate si fossero rivelate non più desiderabili, ma dopo Marx il comunismo sarà una dottrina «scientifica» che i dirigenti intellettuali del Partito comunista attueranno con la violenza. E questo, come si è già visto, è esattamente il meccanismo diabolico che unisce la verità e il potere pervertendo sia l’una sia l’altro, sia il pensiero sia la volontà: è il convincimento luciferino con cui l’uomo s’illude di essere Dio e così, avendo in mano la soluzione di tutto e il senso stesso della vita umana, non c’è altro da fare che attuare la «soluzione finale» costi quel che costi, anche lo sterminio di massa, tanto nessun prezzo sarà così alto da non poter giustificare la realizzazione della stessa «natura umana».
Dunque, l’idea della libertà è semplicemente incompatibile con il comunismo che mira unicamente a ridurre gli uomini in servi i quali se dissentono o se si rivoltano sono eliminati o, per dirla con Stalin, schiacciati come pidocchi. E, allora, la libertà – ripete Einaudi acconsentendo con Croce – vive di certo libera dalla regola pratica del liberismo e, tuttavia, si attua e si allarga e si diffonde e si alimenta se gli uomini che hanno voluto essere liberi per intelletto e per morale riusciranno anche ad attuare un sistema economico adatto alla libera vita morale. Insomma, Einaudi batteva, come evidenziò lui stesso, sullo stesso chiodo del liberismo storico ma mentre licenziava le bozze della rivista e del suo saggio gli giunse «La critica» del 20 maggio in cui, ironia della sorte, vi era ancora una «postilla» di Croce intitolata Comunismo e libertà – che sarà poi ripubblicata nel terzo volume delle Pagine sparse – in cui il filosofo illustrava la incompatibilità tra libertà e comunismo e, nella sostanza, metteva tutti in guardia dall’ave...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Colophon
  5. Introduzione Apologia della libertà
  6. Il «fratello maggiore» di Einaudi
  7. Quando Einaudi chiese consiglio a Croce
  8. Il giudizio e la lotta
  9. La discussione
  10. Liberismo e liberalismo
  11. La religione della libertà e i liberismi
  12. Signori e servi
  13. L’obiezione di Aldo Mautino
  14. Al fondo delle cose
  15. Neppure in piccola parte
  16. La tecnica
  17. Teoria della libertà
  18. Machiavelli e la libertà
  19. La cultura come prepartito
  20. Il ceto mediatore
  21. La democrazia liberale
  22. Il maestro necessario
  23. A nessuno l’Italia deve tanto come a Benedetto Croce
  24. Il no di Croce alla nomina di senatore a vita
  25. L’indimenticabile amico
  26. Dello stesso autore