1. L’inganno diabolico delle sette
Sul mistero del male sono state scritte intere biblioteche teologiche. Il cardinale Giacomo Biffi, indimenticato arcivescovo di Bologna, descrisse la «ribellione a Dio che accompagna dall’inizio il cammino dell’umanità: non c’è epoca storicamente conoscibile nella quale l’uomo non appaia segnato dal male».
Nell’odierna società occidentale, secolarizzata e atea, le sette sono una delle più rilevanti manifestazioni del «mysterium iniquitatis».
Il diavolo «esiste davvero», assicura Papa Francesco che, più volte, nella messa mattutina di Santa Marta, ha ripetuto che il male è reale, tangibile. «A questa generazione hanno fatto credere che il diavolo fosse un mito, una figura, un’idea, l’idea del male», ha detto il Pontefice il 30 ottobre 2014.
Il diavolo
«Ma il diavolo esiste e noi dobbiamo lottare contro di lui». Una presenza reale che lavora dietro le quinte, insomma. Jorge Mario Bergoglio lo ha descritto con termini precisi: «È il bugiardo, il padre dei bugiardi, il padre della menzogna, è un seminatore di zizzania, fa litigare, induce nell’errore grave». «Il diavolo non ci butta addosso fiori ma frecce infuocate, per ucciderci». Per questo Francesco esorta a «prendere l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito che è la Parola di Dio». L’antidoto è «la fede e la consapevolezza che la vita cristiana sia una milizia, una lotta: si deve combattere, non è un semplice scontro, è un combattimento continuo».
A Torquato Tasso il diavolo appare con una «gran fronte» adornata da «gran corna», una «orrida maestà» dall’«irsuto petto», per Thomas Mann, invece, «è un uomo piuttosto allampanato, non alto, con un berretto sportivo tirato su un’orecchia».
Belzebù, Asmodeo, Behemoth, Lucifero, Mefistofele, Satana: il principe del male ha molti nomi ed è descritto con fattezze differenti.
A metà Ottocento, il poeta francese Charles Baudelaire sosteneva che «la più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste». Nel 1953, lo scrittore cattolico Giovanni Papini argomentò che «l’ultima astuzia del diavolo fu quella di spargere la voce della sua morte». Una convinzione condivisa dal collega agnostico André Gide: «Non credo nel diavolo. Ma è proprio quello che il diavolo spera, che non si creda in lui».
Il cardinale Gianfranco Ravasi, biblista e ministro vaticano della Cultura, osserva che «la non esistenza di Satana farebbe totalmente ricadere sulla libertà umana la piena, assoluta ed esclusiva responsabilità del male che stria tutta la storia coi suoi fiumi di sangue, di violenza, di immoralità, di perversione».
Diverse tipologie di setta
Spesso si abbina la parola «setta» al satanismo e si pensa sia solo una questione antireligiosa. E invece non tutte le sette sono sataniche, ma tutte sono diaboliche, perché separano l’individuo da sé stesso, dal suo ambiente vitale, dai suoi cari, dalla vita, dal lavoro. Uno dei tabù più consolidati nei mass media è il silenzio sul tema delle sette. Per timore di svegliare «dragoni dormienti», appostati in gangli di potere fondamentali, scarseggia il coraggio di chiamare per nome chi s’approfitta delle persone vulnerabili. Il velo sulle sette occulte resta abbassato. Se ne parla poco perché è una categoria minacciosa, per molti aspetti persino più pericolosa delle mafie. Dietro la trappola delle sette ci sono criminali che si beffano dello Stato, guru che si approfittano della solitudine, della debolezza, del bisogno, della sofferenza. E ci sono vittime, usate e gettate, plagiate. Un mondo invisibile costituito da persone non ascoltate, che si nascondono, che si vergognano, sole e isolate anche dalle istituzioni, derise e umiliate. Terreno ideale di caccia per il maligno.
Per sua natura la setta agisce in modo sotterraneo. È impossibile quantificare i numeri effettivi delle sette occulte più o meno organizzate. Molte sono improvvisate da giovani che si ritrovano e si uniscono attraverso iniziazioni attinte dal web o, come accaduto per le Bestie di Satana, attraverso riti di affiliazione ispirati da satanisti del passato o ripresi dallo spiritismo. Nel territorio italiano la presenza delle sette è capillarmente articolata. Sono attive «micro sette» in tutte le regioni. A diffondersi più rapidamente sono i gruppi acido giovanili i cui adepti fanno uso di sostanze sintetiche e organizzano rituali orgiastici. Sono sette di basso livello, nel quale le droghe sintetiche equivalgono alla «comunione di Satana» e vengono usate proprio perché producono danni cerebrali. Per questo tipo di gruppi, la morte psichica è più importante di quella fisica.
È possibile suddividere le tipologie di sette in tre grandi macroaree: acido giovanile (sopra descritta), del potere e apocalittica.
Quella del potere coinvolge persone di livello socioculturale medio-alto che entrano nella setta per raggiungere il successo o avanzamenti economici e di carriera: il leader gestisce e manipola gli adepti condizionando il comportamento dei singoli in virtù della sua autorità riconosciuta dal gruppo. Chi guida le sette del potere ha mezzi materiali da ostentare per adescare, reclutare e influenzare soprattutto persone attratte dal mondo dell’occultismo.
La tipologia di setta apocalittica e/o pseudoreligiosa può usare un’antireligione per prevedere la fine del mondo e un futuro oscuro con continui rimandi a preveggenze e conoscenze ultraterrene acquisite dalle tenebre attraverso medium, stregoneria, spiritismo. Nel Duemila, fu don Oreste Benzi, fondatore dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, ad accogliere le richieste di tante persone, soprattutto genitori disperati che si rivolgevano a lui per chiedere aiuto. Erano casi di lacerazioni familiari drammatiche, di giovani scomparsi da casa o di adolescenti che improvvisamente avevano cambiato il loro comportamento in modo drastico. Da sacerdote molto pratico e concreto, don Benzi fece tesoro delle conoscenze acquisite a contatto diretto con i danni provocati da varie realtà settarie, e decise, com’era nel suo carisma, di dare voce a chi non ha voce riconoscendo anche nelle vittime delle sette persone estremamente vulnerabili e deboli.
Il Telefono Antisette (800-228866) nasce per sua iniziativa nel 2002 e dal 2006 collabora con la Sas, la squadra antisette della Polizia di Stato in una sinergia di prevenzione e aiuto alle vittime delle sette. In media al numero verde telefonano 15 persone al giorno. Circa 5 mila telefonate all’anno.
Le psicosette
Le segnalazioni in maggiore crescita riguardano le psicosette, cioè quelle realtà che fanno ricorso a tecniche di manipolazione mentale e adescamento con la promessa di risolvere ogni problema della vita.
Emblematico il caso di Lucrezia. 23 anni, un rapporto conflittuale con la sua famiglia. Nella cittadina in cui vive si sente soffocare. Circondata dall’opulento benessere del Nord-Est italiano, avverte dentro di sé, fin dall’adolescenza, un senso di inquietudine.
I genitori sono separati, ed entrambi, forse perché si sentono in colpa, la ricolmano di regali costosi.
Attraverso una compagna d’università, Lucrezia entra in contatto con un gruppo di meditazione pseudoorientale che ogni settimana riunisce una ventina di persone in un centro culturale nel capoluogo della provincia veneta, nella quale la famiglia d’origine di Lucrezia è ben conosciuta e rispettata.
L’impatto con la nuova realtà è rassicurante: tutti sono gentili con lei, in particolare la maestra di respirazione diaframmatica. È un’insegnante di educazione fisica prossima alla pensione e racconta spesso a Lucrezia dei suoi viaggi in India, le descrive con toni epici le meditazioni e gli esercizi spirituali compiuti con maestri di comprovata esperienza. Lucrezia l’ascolta affascinata e inizia a seguire i suoi consigli su come nutrirsi, vestirsi, rapportarsi alla sua famiglia e ai problemi ai quali non riesce a trovare una soluzione.
Pian piano, incontro dopo incontro, la fiducia verso la sua maestra di meditazione diventa un’insana dipendenza.
La ragazza non riesce più a prendere nemmeno una semplice decisione senza aver prima consultato la sua guru.
Smette progressivamente di frequentare l’università, che fino a quel momento era stata la sua principale occupazione.
Anche i contatti con i suoi familiari subiscono un radicale raffreddamento. Decide di lasciare casa di sua madre e di andare ad abitare con una sua compagna del corso di meditazione, per poter stare più vicina alla sede in cui si tengono gli incontri del gruppo.
Solo la vicinanza alla sua maestra sembra placare il crescente sentimento di inadeguatezza di Lucrezia.
Il padre e la madre si rendono conto che la figlia si sta inesorabilmente separando dalla famiglia e dal mondo e per due volte cercano invano di convincerla a tornare a casa, ma, in entrambi i casi, la risposta è a suon di urla e attacchi di panico.
Passano settimane, poi mesi, e la ragazza si riduce a non voler muovere più un passo senza il consenso della sua guru.
La famiglia s’accorge del dramma solo quando una cugina incontra Lucrezia a un angolo della strada. Lucrezia, con i capelli rasati e una tunica lunga fino ai piedi, è diventata una schiava di un’organizzazione internazionale che impone turni di questue e continue mortificazioni ai propri adepti.
La patologica dipendenza psicologica dalla santona s’è tramutata in appartenenza a una setta orientale che prevede la totale cessione al gruppo della propria volontà individuale.
La vita di Lucrezia è completamente cambiata e nel giro di pochi mesi si ritrova a doversi svegliare ogni mattina alle 5.00 per accudire gli animali della comune, nella quale occupa il gradino gerarchico più basso.
La sua maestra di meditazione l’ha introdotta e iniziata in un mondo settario fatto di lavoro nei campi e lunghe ore di rumorose meditazioni scandite dal suono assordante di tamburi e campanelli.
Ogni sera, per assicurarsi la sua incondizionata accondiscendenza, alla ragazza vengono somministrate pillole e gocce: sono psicofarmaci per annientare la sua capacità critica e per non farle avvertire la condizione di sottomissione che le è stata imposta.
Dopo un anno, Lucrezia, in un raro momento di lucidità, tenta la fuga dalla comune, ma viene riacciuffata da uno dei guardiani del gruppo e confinata in una stanza adibita all’isolamento al termine del quale tenta il suicidio. Riescono a toglierle il lenzuolo un solo istante prima del soffocamento.
La vicinanza alla morte è uno shock che la riporta in vita. Tenta di nuovo la fuga e stavolta le riesce.
Dimagrita e quasi irriconoscibile arriva di corsa da sua madre.
Da lì inizia a ricostruire un’esistenza lontana dalla setta, che più volte cerca di recuperare l’ad...