Gian Giacomo Mora
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Gian Giacomo Mora

Il barbiere milanese della peste manzoniana

  1. 131 pagine
  2. Italian
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Il barbiere milanese della peste manzoniana

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In piena dominazione spagnola, l'epidemia di peste del 1630 fece precipitare Milano in uno dei suoi periodi più cupi. Mentre migliaia di cittadini morivano nelle case, nelle strade, o nel lazzaretto di porta orientale, il Senato e il Tribunale di Sanità, impossibilitati a porre un freno scientifico e razionale al flagello abbattutosi sulla città, tentavano le più varie e a volte incredibili strade per arginare la sciagura.Il barbiere Mora, di porta Ticinese, finì con l'essere assurdamente incolpato di diffondere il morbo pestilenziale, fabbricando veleni che i suoi complici spargevano per Milano, ungendo muri e porte. Torturato e processato, fu infine condannato a morte. A far da sfondo alla sua terribile sofferenza, una città quasi fuori controllo, in preda alla morte e alla miseria.

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Informazioni

Editore
Ledizioni
Anno
2020
ISBN
9788855261715
Argomento
Storia
CAPITOLO UNO
Milano tra Cinquecento e Seicento
Gli Spagnoli a Milano
Francesco II Sforza, nono e ultimo duca di Milano, figlio di Ludovico Maria detto il Moro, morì il 2 novembre del 1535.
Con lui si estinse la dinastia degli Sforza, non avendo avuto discendenti dalla giovanissima sposa Cristina di Danimarca, nipote di Carlo V.
Dopo neppure un mese dai solenni funerali, lo stendardo imperiale di Carlo V già sventolava sui torrioni del Castello, inequivocabile segno di come la città e il suo vasto territorio fossero ormai ridotti a colonia della monarchia spagnola.
Il potentissimo regnante non mostrò inizialmente grande interesse per il nuovo possedimento, conservandolo piuttosto come merce per futuri scambi territoriali. Era del resto proverbiale l’ostilità dei milanesi nei confronti degli stranieri invasori.
Tuttavia, il trattato di Crepy (1544) e l’ordinanza di Worms (1545) porranno fine a dubbi e speranze: Milano divenne ufficialmente un feudo di un impero vastissimo (sul quale non tramontava mai il sole, come si diceva, spingendosi fino all’America latina, oltre che insistere su gran parte d’Europa), passando nelle mani di Filippo, figlio di Carlo V.
Dal punto di vista amministrativo, il territorio dello Stato di Milano era formato dal Ducato di Milano, dalla contea di Como, dalla contea di Novara, dal contado di Vigevano, dal principato di Pavia, dalla contea di Lodi, dalla contea di Alessandria e Tortona, dalla provincia di Cremona. Soggetti amministrativi, questi, dotati di una discreta autonomia finanziaria, all’interno dei quali, inoltre, sopravvivevano ulteriori ripartizioni locali (città e borghi) con propri privilegi e consuetudini.
Oltre allo Stato di Milano, l’impero di Carlo comprendeva, sul suolo italico, altri due possedimenti: Napoli e la Sicilia. Per la gestione dei tre territori venne creato il Consiglio d’Italia, in seno al quale sedevano un presidente (di alta nobiltà spagnola) e sei reggenti, tre spagnoli e tre “naturali”, ovvero uno in rappresentanza di ciascuna provincia spagnola.
In ciascuno di questi territori sedeva un amministratore che si relazionava direttamente col re di Spagna: il Governatore, per Milano, il Viceré per Napoli e Sicilia.
Quale il giudizio su questo lungo periodo di dominazione straniera, che si protrarrà fino al 1706?
Solo per completezza, e nel rispetto della brevità che questa introduzione richiede, possiamo affermare che gli storici dei tempi non molto lontani hanno espresso un giudizio molto negativo del periodo spagnolo.
Questa critica molto severa ha generato luoghi comuni quali il cattivo governo e la pessima amministrazione, lo sperpero di denaro, le tassazioni esagerate, la drammatica povertà dei ceti più umili; senza però tenere conto che molti mali dell’epoca erano in realtà comuni a tutta l’Europa. Si pensi al banditismo, fenomeno grave ma non certo solo milanese, all’eccessivo interesse per il lusso, lo sfarzo, le feste e gli eccessi, tipici però della cultura barocca diffusa in molti stati europei, all’incredibile numero di poveri e alle condizioni pessime di salute e assistenza, che erano però il frutto di una visione miope che tutti i regnanti dell’epoca avevano.
La storiografia più recente ha ridimensionato questo impietoso giudizio, tant’è che gli storici moderni propendono oggi per una moderata rivalutazione di questo periodo milanese.
Gli organi della pubblica amministrazione
Con l’ingresso degli Spagnoli, l’amministrazione della cosa pubblica subì importanti cambiamenti. Da un lato, vennero creati nuovi organi (come il Governatore, il Gran Cancelliere, il Magistrato ordinario e straordinario), dall’altro, alcuni organi già attivi durante il periodo signorile (o addirittura comunale) vennero ripensati subendo importanti modifiche in ordine a poteri e nomine (quali il Podestà, il Capitano di Giustizia, il Tribunale di Provvisione).
Tali numerosissimi organi furono ripartiti tra organi dello Stato e organi comunali, questi ultimi appartenenti alle singole realtà locali.
Nonostante la promulgazione, nel 1541, delle Novae Costitutiones dominii mediolanensis (opera variegata e riepilogativa della stratificazione legislativa fino ad allora in essere nel ducato), aventi il preciso intento di regolare la vita giuridica del dominio milanese, di disciplinare gli organi di governo, di assemblare una valida normativa di diritto penale, di diritto privato e di diritto commerciale, i conflitti di poteri tra i vari organi erano all’ordine del giorno. Non solo quindi una diffusa incertezza nella legge applicabile, ma anche nei soggetti chiamati a farla rispettare.
Tracciamo di seguito una lista degli organi di pubblica amministrazione e dei poteri loro spettanti nel periodo di nostro interesse, cioè a cavallo tra cinquecento e seicento.
Iniziamo da quelli centrali dello Stato.
Governatore
Il Governatore era di nomina regia, e manteneva la sua carica per tre anni, anche se nulla di preciso era stabilito in materia. Egli era a capo di un vasto organismo chiamato Cancelleria Segreta, composta da impiegati e funzionari, una sorta di piccola corte. Il governatore non era però il rappresentante militare, spettando tale carica al Castellano. Tuttavia moltissimi Governatori sommarono i due incarichi.
Il governatore, entrato in carica, riceveva il giuramento della città e dei feudatari, e la retribuzione annua era pari a 24.000 ducati. Nei momenti di sua assenza da Milano, o in caso di interregno, i poteri politici e amministrativi venivano affidati al Castellano, oppure al Presidente del Senato. Solo in un secondo tempo si affidò l’interinato al Consiglio Segreto.
I poteri del Governatore erano quelli tipici di un capo di Stato, e del proprio operato egli rispondeva al re di Spagna.
Suoi compiti erano quelli di natura diplomatica, religiosa, monetaria e finanziaria. Presiedeva il Consiglio Generale dei 60 Decurioni. Aveva potere di ordinanza, cioè potestà normativa, di accordare la grazia e di nominare direttamente le cariche biennali.
Nel periodo della peste che afflisse Milano (1629-1631) si avvicendarono quali governatori don Gonzales Fernandez de Cordoba, don Ambrogio Spinola Doria marchese di Los Balbases, interinalmente il Consiglio Segreto, ed infine don Alvaro II de Bazan marchese di Santa Croce.

I Governatori al tempo dell’epidemia di peste
Gonzales Fernandez de Cordoba
Generale andaluso nato a Cabra nel 1585, era discendente diretto del “Gran Capitan” suo omonimo, detto Consalvo de Cordoba.
Combatté nella battaglia di Wimpfen e nella battaglia di Höchst, sconfiggendo Ernst von Mansfeld e Cristiano di Brunswick; si distinse negli assedi di Bacharach e di Heidelberg.
Rivestì la carica di Governatore dello Stato di Milano dal maggio del 1626 al 1629, ma impegnato nella guerra di Mantova e del Monferrato, fu sostituito interinalmente dal Gran cancelliere Antonio Ferrer, quale presidente del Consiglio segreto.
Numerosi furono i suoi provvedimenti in favore dei poveri, con blocco dei prezzi del pane e delle biade. Questa manovra tuttavia spinse i fornai a chiudere bottega, con conseguente assalto alle rivendite (“rivolta di San Martino”, descritta nei Promessi Sposi).
Morì nel 1635 in Spagna.
Ambrogio Spinola Doria marchese de Los Balbases
Di antica e prestigiosa famiglia genovese, nacque nel capoluogo ligure nel 1569. Al servizio, come i suoi fratelli, della corona di Spagna, divenne un prestigioso condottiero partecipando vittoriosamente, con il grado di generale, all’assedio di Ostenda. Insignito per tali fatti d’arme del Toson d’oro, arriverà ai massimi onori nel 1621 con la presa di Breda (diventando così uno dei protagonisti del celebre dipinto di Velasquez “La resa di Breda”).
Divenne Governatore di Milano nell’agosto 1629, ma lasciò la città nelle mani del Gran Cancelliere Ferrer per seguire da vicino l’assedio di Casale. Colpito forse dalla peste, morì nei pressi di Castelnuovo Scrivia il 25 settembre 1630.
Alvaro II de Bazan, marchese di Santa Cruz
Nato a Napoli nel 1571, si rivelò presto un valoroso combattente spagnolo, senza eguagliare tuttavia il prestigio del padre.
Forte delle vittorie nel Mediterraneo, nel 1612 venne nominat...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Gian Giacomo Mora
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Presentazione
  6. 1. Milano tra Cinquecento e Seicento
  7. 2. A Milano arriva la peste
  8. 3. Il dramma di un povero barbiere
  9. Bibliografia