CAPITOLO 1
È sempre la stessa mattina.
Un raggio di sole accarezza le mie palpebre, il cinguettio degli uccelli non lascia luogo al suono violento della sveglia. Lentamente mi sollevo, la mia camera mi pare diversa, più pulita, più ordinata, l’aria stessa mi sembra più fresca.
Afferro il cellulare. Undici giugno. È già l’ultimo giorno di scuola, è già estate: eppure mi sembra essere ancora al 12 aprile, qualche giorno dopo i diciannove anni di Camilla, qualche giorno dopo l’interrogazione su Pirandello, qualche giorno dopo la spiegazione su Nietzsche.
Mi vesto, nell’armadio ci sono ancora i vestiti primaverili. Non importa, non sono solita mettere le cose in ordine, sarà perché fuori non fa ancora così caldo.
Mamma solitamente va a lavorare alle 7:00, mi lascia il latte riscaldato sul tavolo, ma io lo butto via sempre: non mi piace riscaldato, soprattutto quando è riscaldato e lasciato raffreddare, e non mi piace fare la colazione, mi fa venire mal di pancia, ma mamma non ne vuole sentire.
Faccio la doccia in fretta. No, di mattina non la faccio, di solito, ma oggi ne sento il bisogno. Guardo nello specchio: soliti capelli castani, soliti occhi verdi, un po’ ghiacciati, e alle labbra manca una scia del color sanguigno. Un po’ pallida, eppure non mi sento male, ho solo la sensazione di essermi svegliata da una notte eterna.
Sono le 7:10 passate. Ora posso andare in cucina a buttare il latte. Che cattiva che sono! Ogni volta che faccio questa cosa percepisco un senso di colpa in me, chissà quanto latte ho sprecato, quanto latte avrei potuto mandare in Africa, per quei bambini che non ne hanno!
Passo davanti alla foto di papà che mi teneva in braccio, e la bacio. -”Buongiorno, papà!”- È ormai abitudine, salutarlo ogni mattina, come è abitudine anche buttare il latte.
Papà è scomparso qualche anno fa a causa di un incidente stradale, un camionista ubriaco, alle 8:00 del mattino, l’ha seppellito per sempre sotto la terra fredda.
Papà adorava Foscolo, mi leggeva sempre “Alla sera”, mi citava i versi dei “Sepolcri”, parlando dei cipressi alti del cimitero del mondo classico, le armi del coraggioso Achille tornate fra le mani di Aiace, la povera Cassandra mai ascoltata, e la morte di Ettore che vivrà sempre a prova delle sciagure umane.
“Non siamo certi di nulla” diceva papà “forse solo della morte”.
Diversamente da mia sorella, che sta studiando matematica a Pisa, la letteratura mi ha sempre molto affascinato, è un mondo dove rifugiarsi. Papà diceva che la letteratura non è altro che uno specchio dentro di noi, dove, in un piccolo spazio, possiamo essere ancora noi stessi.
“Io nella vita non ho fatto chissà cosa, Alessia” diceva papà quando avevo tredici anni “ma mi consola il fatto che, quando morirò, tu, tua sorella, e vostra madre vi ricorderete di me, e te soprattutto, Alessia, forse racconterai ai tuoi figli e ai tuoi nipoti come il loro nonno abbia stressato la tua infanzia con le poesie di Foscolo.”
Così morì, qualche mese dopo.
Che tristezza pensare alla morte alle 7:15 di mattina!
Non c’è il latte sul tavolo.
Forse mamma si è alzata tardi, ed è andata a fare colazione fuori.
Tanto meglio per me.
Mi giro per prendere lo zaino e uscire da casa, e all’improvviso mi ritrovo davanti mamma pietrificata, pallida, ha gli occhi rossi che emergono dalle scie bianche che cominciano a farsi vedere fra i suoi capelli.
Non l’ho più vista così dal funerale di papà. È una donna forte, sì, lo ammetto, anche se come madre è da bocciare a priori. Io e Laura siamo state cresciute da papà, e dopo la sua morte siamo sopravvissute solo grazie ai fast food, dato che lei per pranzo non torna a casa, e a volte nemmeno per cena.
Non diventerò mai una madre come lei, o almeno spero.
“Mamma!” mi avvicino a lei, dandole un bacio sulla guancia, “Buongiorno!”
“Buongiorno... Amore mio...”
Non mi ha mai chiamato amore.
Mi accarezza i capelli, poi le guance. I suoi occhi verdi riflettono la mia immagine; mi abbraccia, fortissimo.
Sì, ora è una madre.
“Mamma, qualcosa non va?”
“No, no, va tutto bene. Ho solo fatto un brutto sogno.”
Ha pianto. Avrà sognato papà, o almeno penso.
“Allora vado a scuola. Laura quando torna? Il mio esame di stato è vicino!”
“Torna dopodomani.”
“Va bene. Vado. Ci vediamo stasera. Ciao!”
Ho preso lo zaino e ho chiuso la porta.
Non si è ricordata della colazione, menomale.
Il cielo non nasconde il suo rigoroso blu, uno zaffiro orgoglioso della propria bellezz...