Sfida con l'assassino. La terza indagine del commissario Bonelli
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Sfida con l'assassino. La terza indagine del commissario Bonelli

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Sfida con l'assassino. La terza indagine del commissario Bonelli

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Degli omicidi apparentemente inspiegabili fanno pensare che un serial killer si stia aggirando per le vie di Genova. Tutto sembra ruotare intorno all'ultimo libro del famoso giallista Matteo Ferrari ed è presto chiaro che – in un gioco perverso tra letteratura e realtà – l'assassino sta sfidando il commissario Bonelli a risolvere un caso che lo vede coinvolto, suo malgrado, anche sul piano personale: stavolta non si tratta soltanto di scoprire il colpevole, ma anche di capire se e quando colpirà di nuovo. In una corsa contro il tempo, il commissario e la sua squadra dovranno fermare l'omicida prima che completi il suo folle piano perché la prossima vittima potrebbe essere proprio Bonelli o qualcuno a lui molto caro.

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Informazioni

Editore
Go Ware
Anno
2019
ISBN
9788833632797

Capitolo 1

Sabato, 26 gennaio
Era stata una giornata fredda e grigia, culminata in un temporale con vento di libeccio che aveva spazzato la città per oltre un’ora e poi si era spento in una pioggerellina fredda e sottile. All’imbrunire, anche quella era cessata, lasciando Genova lucida e grondante, tutta un gioco di riflessi e di tetti di ardesia scintillanti.
Anche via Garibaldi scintillava nel buio di quel tardo pomeriggio di gennaio, come un corridoio di luce in mezzo alla penombra dei carruggi. Ha cambiato più di un nome, dal Cinquecento a oggi, ma è stata e resta una delle strade più belle di Genova e sicuramente la più sontuosa, con i palazzi dell’antica aristocrazia che sfilano, uno dopo l’altro, in un turbinio di affreschi, stucchi, pietre e marmi.
Palazzo Tursi – il più grande e imponente, con le scenografiche logge affacciate sulla strada – era pronto per l’evento che avrebbe avuto inizio di lì a poco. L’atrio cinquecentesco rivelava il gioco di luci e prospettive degli interni: la scalinata in marmo, il cortile sopraelevato, lo scalone a doppia rampa che portava al piano nobile.
Dal Salone di Rappresentanza proveniva un brusio diffuso e solo cinque persone – tre uomini e due donne – si attardavano all’esterno, sul ballatoio dai candidi soffitti a crociera. Tra loro, c’erano anche i protagonisti della serata: il sindaco di Genova e lo scrittore Matteo Ferrari.
«Signor sindaco, il gran giorno è arrivato e io sono più orgoglioso che mai del riconoscimento che ha voluto concedermi. Noi siamo più orgogliosi che mai» sottolineò poi lo scrittore, con uno sguardo affettuoso alle due donne che erano al suo fianco. «Le presento Laura Grimaldi, una carissima amica.»
La donna più giovane accennò un sorriso e porse la mano al sindaco, che gliela strinse mormorando un compito: «Onoratissimo».
«E la signora è Gloria Bagnasco, la mia preziosa assistente.» Di nuovo le mani si incrociarono, con mormorii di circostanza.
C’erano un paio di fotografi appostati sull’altro lato del ballatoio e il sindaco mantenne il sorriso che aveva esibito durante le presentazioni, cambiando però il tono della voce, che si fece tirato e quasi tagliente: «Dottor Ferrari, il premio è meritatissimo e il suo ultimo libro è magnifico anche se, come dicevo al questore» aggiunse indicando l’uomo alla sua destra, «quella denuncia sulla malasanità genovese è stato un inaspettato colpo basso».
«Sia io che il signor sindaco abbiamo letto il suo libro solo qualche giorno fa», assentì gravemente il questore, «e ne siamo rimasti sbalorditi: i nostri ospedali rappresentano un’eccellenza a livello nazionale.»
Lo scrittore non si scompose. Rimase un attimo in silenzio e poi rispose con un’ombra di condiscendenza appena percettibile dietro all’affabile sorriso: «Be’, gli intrighi e i misfatti sono alla base di ogni giallo e io tendo sempre a privilegiare i problemi sociali rispetto a quelli personali. Questa volta ho puntato l’obiettivo sulla malasanità: come piaga nazionale, però, non certo genovese, e sono sicuro che nessuno dei miei lettori penserà a una denuncia specifica e circostanziata».
Il sindaco fece per replicare, ma la donna che era stata presentata come Gloria non gliene diede il tempo: «Suvvia, signor sindaco, non si concentri su una trama che il libro stesso dichiara essere un’opera di fantasia e pensi alla nota di encomio al glorioso corpo di polizia di Genova: quella sì che è reale. Se deve parlare del libro, si focalizzi sull’encomio ed espanda pure a piacimento, il dottor Ferrari la sosterrà in qualsiasi aggiunta vorrà fare a quanto già espresso nella dedica».
Ferrari alzò impercettibilmente gli occhi al cielo: l’intraprendenza era uno dei punti di forza della sua assistente, anche se talvolta – come in quel caso – la portava a intromettersi in questioni che esulavano dalle sue responsabilità.
Quella lezioncina di dialettica non piacque neanche al sindaco, ma poi pensò che avrebbe potuto usare a proprio vantaggio l’implicita autorizzazione a rivelare più di quanto si diceva nel libro e tagliò corto: «Va bene, va bene. Adesso andiamo, non dobbiamo farci aspettare».
Alle diciotto e trenta la cerimonia della consegna del Grifo era in pieno svolgimento.
Era un evento importante per il Comune e per la città: il Grifo è un’onorificenza riservata ai personaggi che hanno reso Genova famosa nel mondo, e la notorietà e il fascino di Matteo Ferrari aveva riempito il salone di uomini eleganti e signore ingioiellate. Anche il pubblico, però, veniva messo in secondo piano dalla magnificenza dell’ambiente, con l’enorme lampadario di cristallo che pendeva dalla volta affrescata e le altissime finestre con i tendaggi in seta gialla che, riflettendo le luci, parevano d’oro. Sulla parete di fondo, troneggiava il gonfalone di San Giorgio, simbolo millenario della Repubblica di Genova.
Ferrari era seduto in prima fila. Nonostante l’ufficialità dell’evento, non aveva rinunciato allo stile informale che lo contraddistingueva: giacca di velluto blu su pantaloni casual, sciarpa buttata sulle spalle e camicia chiara senza cravatta. Ogni tanto lanciava uno sguardo a Laura, che stava alla sua destra, così felice ed emozionata che pareva quasi che la festeggiata fosse lei.
“Questo salone è spettacolare… Ma lo sai che non l’avevo ma visto?” gli aveva bisbigliato all’orecchio quando erano entrati, con quella spontaneità che era stata la prima cosa di lei che lo aveva conquistato. La seconda, gli occhi: grandi, con le ciglia lunghe e l’iride di un nocciola chiaro e quasi trasparente.
Alla sinistra c’era Gloria, seduta sulla punta della poltroncina, come pronta a intervenire nel caso qualcosa fosse andato storto. Era stata lei a curare i contatti con il Comune e con la stampa e – sebbene ormai fosse soltanto una degli spettatori – faticava a spogliarsi del ruolo di organizzatrice: ogni tanto ruotava la testa per controllare il pubblico, sbirciava Matteo e poi tornava a fissare lo sguardo sul tavolo delle autorità. Neanche lei aveva rinunciato al suo look abituale: scelta infelice, in questo caso, perché il tailleur un po’ informe, dal taglio severo, ne accentuava il fisico massiccio e la mancanza di femminilità.
L’assessore alla Cultura – una donna alta e magra, tutta vestita di nero – era stata la prima a parlare: un discorso preparato a tavolino e declamato con un tono impersonale che aveva riscosso solo tiepidi applausi di circostanza.
Poi era stata la volta di un famoso critico letterario: una presentazione piacevole e ben argomentata, che si era conclusa con una battuta che aveva strappato risate e applausi al pubblico e a Ferrari stesso: «E dopo aver espresso la mia sincera ammirazione per il lavoro e il percorso letterario dello scrittore, voglio esprimere la mia altrettanto sincera ammirazione per l’uomo. L’ufficialità dell’evento non prevede una sessione di domande e risposte ma, se ci fosse, ci sarebbe una cosa che mi piacerebbe chiedere: “Ma come fa, Ferrari, ad avere tanto successo con le donne?”».
E adesso toccava al sindaco, che – in piedi davanti al microfono – stava facendo il suo discorso introduttivo alla consegna del Grifo. Aveva iniziato con un breve preambolo per poi passare all’argomento che gli stava a cuore: «Peccati Mortali, l’ultimo libro di Matteo Ferrari, è già un best seller in Italia e presto lo sarà anche in molti altri Paesi in Europa e nel mondo. È una storia carica di suspense e di significati: una riconferma delle doti letterarie e creative del nostro illustre concittadino. Parlo di creatività per la ricchezza della trama, che – come viene sottolineato nel libro stesso – è di pura fantasia, e d’altra parte non potrebbe essere altrimenti, vista l’eccellenza della nostra sanità locale». Non era certo il suo più bel discorso, ma l’improvvisazione non era mai stata il suo forte. «La dedica di encomio che apre il libro ci conferma però la professionalità e la dedizione del glorioso corpo di polizia di Genova – cito testualmente quanto scritto – e si basa su un reale e personale convincimento dello scrittore.» Fece una pausa, cercò con gli occhi Ferrari e poi il questore; indugiò un attimo, incerto, e infine proclamò, d’un fiato: «Per il suo Peccati Mortali, l’autore si è infatti ispirato a un vero commissario di polizia, che ha avuto l’occasione di conoscere e apprezzare sul campo durante le indagini per l’omicidio della compianta dottoressa De Santis: il nostro commissario Vittorio Bonelli».
Il pubblico si sciolse in un applauso, come sempre quando si menziona il nome di un morto e questa volta anche di più, visto che il caso della dottoressa aveva avuto un grosso risalto mediatico per le varie celebrità che vi si erano trovate coinvolte: una stella del cinema, uno psicanalista di fama mondiale e, indirettamente, anche Ferrari stesso, che era stato un amico intimo della vittima.
Nessuno tranne il sindaco, che sapeva di aver giocato sporco, si accorse che quattro persone in prima fila erano rimaste immobili, con le mani artigliate ai braccioli delle poltroncine e le facce sbigottite. Poi Ferrari guardò il questore, seduto accanto a Laura, e sibilò tra i denti: «Merda!». Il questore sgranò gli occhi e scosse appena la testa, come per dire: “Io non ne sapevo niente”. Laura e Gloria sbirciarono Ferrari, una apprensiva, l’altra indignata.
Dopo aver sottolineato l’efficienza della polizia e menzionato il nome di Bonelli a riprova del fatto che l’elogio dello scrittore non era solo una dedica di circostanza, il sindaco riprese il suo discorso – quello preparato in precedenza e quasi imparato a memoria – che prevedeva una lunga serie di lodi a Ferrari e al suo lavoro. Passò poi alla lettura delle motivazioni che avevano portato all’assegnazione del premio: «Per essersi imposto nel panorama letterario internazionale… Per il prestigio che il suo nome e i suoi libri hanno portato alla città di Genova…», fino alla frase conclusiva: «I suoi romanzi sono tradotti in più di trenta lingue, sono apprezzati da milioni di lettori in tutto il mondo e adesso anche la sua città vuole dargli un segno simbolico, ma anche tangibile, del proprio apprezzamento».
Ferrari lo ascoltava a metà, ancora furioso per quella rivelazione fuoriprogramma e inopportuna, ma quando l’applauso scrosciante del pubblico riempì la sala, l’emozione ebbe la meglio: si passò una mano tra i capelli – l’unico segno che tradiva l’imbarazzo –, poi si alzò in piedi e si volse verso gli spettatori, col sorriso da ragazzo e lo sguardo sfrontato che erano alla base del suo fascino.
Il sindaco gli consegnò la medaglia onorifica e la pergamena legata da un nastrino rosso, si strinsero la mano, accennarono un abbraccio che venne immortalato da macchine fotografiche e telefonini. Poi Matteo Ferrari si avvicinò al microfono e, con la disinvoltura di un attore consumato, affrontò gli occhi indiscreti del pubblico e i flash dei fotografi.
«Sono un girovago, sia nella vita che nei miei romanzi, ma in qualsiasi posto mi trovi e dovunque siano ambientate le mie storie, non mi allontano mai da Genova. Non c’è presenza più grande di una mancanza – quella che ti senti dentro quando sei lontano da qualcosa o da qualcuno che ami – ed è per questo che ogni ritorno a Genova è per me più emozionante di qualsiasi viaggio.»
Raccolse il primo applauso e proseguì, con la scioltezza che caratterizzava ogni suo gesto. Parlava a braccio, rendendo vera e sentita ogni parola e concedendosi anche qualche battuta non priva di autoironia. Il discorso fu talmente coinvolgente che, quando tacque, il pubblico si alzò in piedi, tributandogli la prima standing ovation della sua vita.
Per un buon quarto d’ora Ferrari fu monopolizza...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespzio
  3. Colophon
  4. Presentazione
  5. Presentazione dei personaggi principali
  6. Prologo
  7. Capitolo 1
  8. Capitolo 2
  9. Capitolo 3
  10. Capitolo 4
  11. Capitolo 5
  12. Capitolo 6
  13. Capitolo 7
  14. Capitolo 8
  15. Capitolo 9
  16. Capitolo 10
  17. Capitolo 11
  18. Capitolo 12
  19. Capitolo 13
  20. Capitolo 14
  21. Capitolo 15
  22. Capitolo 16
  23. Capitolo 17
  24. Capitolo 18
  25. Capitolo 19
  26. Capitolo 20
  27. Capitolo 21
  28. Capitolo 22
  29. Capitolo 23
  30. Capitolo 24
  31. Capitolo 25
  32. Capitolo 26
  33. Capitolo 27
  34. Capitolo 28
  35. Ringraziamenti