I limiti del popolo
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Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo

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I limiti del popolo

Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo

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Il libro analizza il significato delle nozioni di popolo, autorità e democrazia nella tradizione del popolarismo, in un fecondo incontro con la tradizione liberale. Il punto fermo del popolarismo sturziano è un'idea di "popolo" del tutto differente da quella fornita dai populismi di ogni tipo. In particolare, il problema di fronte al quale Sturzo pone i cattolici riguarda la domanda se essi dovrebbero accettare un regime politico che nega le libertà, in cambio dell'ottenimento di privilegi. L'assenso verso tali regimi è impraticabile per un cattolico, a pena di sacrificare la propria coscienza sull'altare dell'idolo della Politica. Il popolarismo sturziano mette in discussione la nozione di popolo declinata al singolare, per declinarla al plurale. Tale pluralismo salvaguarda e presuppone il valore della coscienza individuale e non si lascia assorbire in un indistinto misticismo politico di impronta tanto giacobina quanto organicistica: il brodo di coltura di ogni populismo.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788849862553

1. Popolo e potere

Come il monarca assoluto dei passati regimi doveva avere coscienza dei suoi doveri e dei limiti naturali ed etici della sua sovranità, e se non l’aveva comprometteva sé e il bene del suo popolo, così il popolo sovrano (per chiamarlo con l’amplificazione retorica di un tempo) deve avere coscienza della sua responsabilità e dei limiti del suo potere; se non l’ha perde se stesso e la democrazia che l’incoronò sovrano.
LUIGI STURZO

PROLOGO

Con particolare riferimento al problema del potere, osserva Giovanni Sartori, la dottrina è divisa e si sostengono almeno due punti di vista, diametralmente opposti. La prima tesi afferma che le democrazie continentali non sarebbero altro che il proseguimento delle monarchie assolute, avendo agito storicamente come un potere «supremo» e «livellatore», distruggendo tutti i poteri intermedi; questa sarebbe la tesi dimostrata da Alexis de Tocqueville nell’Antico Regime e la Rivoluzione1. La tesi è abbastanza intuitiva: avendo annientato le autorità intermedie, il sovrano si trova di fronte a una distesa sterminata di sudditi, facilmente dominabili da un unico «vertice». La seconda tesi, di contro, critica la democrazia per la ragione inversa; la pretesa formale uguaglianza democratica nasconderebbe effettive e sostanziali disuguaglianze economiche che darebbero vita a nuove formazioni «potestative». Il che sarebbe dimostrato dal fatto che a uguali diritti non corrisponderebbero gli stessi poteri e che la libertà e l’uguaglianza, formalmente riconosciute, sarebbero esautorate da una gerarchia sostanziale alla quale parteciperebbero una serie di poteri più o meno forti, più o meno trasparenti2. Osserva Sartori: «Le due diagnosi sono, come si vede, agli antipodi. Nella prima la democrazia livella tutti nell’impotenza; nella seconda l’uguaglianza democratica riesce tradita e aggirata da disparità sostantive di potere»3.
La democrazia, in tal senso, risponde alla domanda circa il problema fondamentale del potere, ossia, il rapporto tra autorità politica e cittadini e, in epoca moderna e contemporanea, il rapporto tra il popolo e lo stato4. Se per stato, assumendo l’ipotesi avanzata da Sartori, intendiamo le persone preposte alla formazione dell’autorità potestativa che sovraintende alla vita associata e, di conseguenza, per popolo intendiamo tutti i restanti, allora il potere non può essere associato al popolo. Ne consegue che più il potere è concentrato nelle mani dello stato, meno sarà presente nel popolo; «all’inverso lo stato sarebbe veramente popolare se il demos sottraesse alla stato ogni suo potere. Non scherziamo col fuoco e con i travasi dialettici: il potere è, di fatto, in mano di chi lo esercita»5. Da ciò discendono due conseguenze: l’esigenza di neutralizzare il potere e di democratizzarlo. In ordine alla neutralizzazione del potere, è fondamentale non consentire «poteri troppo potenti», non tollerare pieni poteri e «strapoteri», combattendo ogni forma di concentrazione di potere6. In ordine alla democratizzazione del potere, dovremmo realizzare che esso viene sottratto al despota non perché sia riconsegnato ad altri con le medesime intenzioni dispotiche, ma per rendere impossibile la formazione di una qualsiasi forma di dispotismo: «il che postula la diffusione del potere, che esso rifluisca e venga travasato in tutta la distesa della vita associata»7.
È qui che entra in gioco la nozione di popolo, tra le più abusate, equivoche, suggestive e logore della storia del pensiero politico. Ci siamo posti il problema se l’utilizzo del concetto di popolo implichi la considerazione di un soggetto unico, compatto, omogeneo, declinabile al singolare, come d’altronde la lingua italiana impone più che suggerisce. Ovvero, se non si tratti di un soggetto poliarchico-plurarchico, polisemico, ricco di sfumature, composto di sistemi e di sottosistemi, di persone e di nuclei sociali, al punto da doverlo necessariamente declinare al plurale, come la lingua inglese impone: the people. In definitiva, il popolo del popolarismo sturziano è una totalità, organicisticamente intesa, suscettibile di essere interpretata da una volontà generale oppure una «molteplicità discreta dei ciascheduno»8?
A questa domanda, con particolare riferimento al fenomeno del populismo, tenta di rispondere il politologo Loris Zanatta, in una maniera che intercetta le grandi questioni teoriche sollevate dal popolarismo sturziano, a cominciare dal rifiuto dell’organicismo come chiave interpretativa della nozione di popolo. Sebbene esistano una miriade di fenomeni populistici, alcuni dei quali, apparentemente, distanti anni luce gli uni dagli altri, ci sarebbe un nocciolo duro che, in modo più o meno consapevole, osserva Zanatta, alla fine dei conti, rappresenta una sorta di minimo comun denominatore del fenomeno: l’idea che la società sia paragonabile, per analogia, a un organismo vivente, «dove ogni organo contribuisce al buon funzionamento del corpo, per cui la salute e la coesione di una società sono garantite dalla sottomissione dell’individuo a essa»9. In questa prospettiva, il populismo non avrebbe alcun confine geografico e potrebbe emergere ovunque e sempre, in forme comunque diverse: hard o soft, essendo animato da una prospettiva mitica, se non mistica – quando non direttamente religiosa – che fa del popolo un’entità unica, indivisibile e necessaria; citando Perón: «La vera democrazia è quella in cui il governo fa ciò che vuole il popolo», intendendo per popolo il suo popolo, che esaurisce, senza residui, tutto il popolo10; nella versione hard, citando un passaggio chiave dell’opera di Hannah Arendt sulle origini del totalitarismo, nel quale l’autrice riporta le parole di Hitler, citate da Konrad Heiden, si può leggere che «60 mila uomini sono diventati esteriormente pressoché un’unità, tanto che non solo le idee di questi membri sono uniformi ma anche la loro espressione fisionomica. Se si guardano questi occhi ridenti, questo entusiasmo fanatico, si scopre […] come nel movimento centomila uomini sono diventati un unico tipo»11.
È interessante confrontare il modo in cui si declina il popolo del populismo in tutte le salse, europeo-continentali e sudamericane, con il popolo del popolarismo sturziano; scrive Zanatta: «Di costante, in tutte, c’è il popolo, visto in quest’ottica, è inteso come il depositario esclusivo della “virtù”, come lo scrigno nel quale si conserva un senso comune del quale il populismo si eleva a naturale interprete e di cui possiede il monopolio. “Dignitoso” è il popolo chavista, “felice e buono” quello peronista, “onesto” quello grillino”, “forte e virile” quello padano, intriso di pura etica quello cubano. Puro e migliore del ceto politico, d’altronde, integerrimo e perspicace suole essere per definizione il popolo di ogni populismo»12. La distanza dell’idea di popolo tipica del populismo da quella caratteristica del popolarismo è abissale; il primo è un organismo, in cui l’insieme è superiore alla somma delle parti che lo compongono e in nome di tale superiorità chiede sacrifici umani che assumono il nome pomposo – Sturzo userà l’espressione «untuoso» – e sempre giustificabile di ragion di stato. Il popolarismo sturziano, risolvendo l’autorità politica negli atti giuridici e, in definitiva, nella cultura politica, economica e religiosa che anima coloro che li pongono in essere, considera la comunità politica un’associazione volontaria di persone che tentano di organizzare il potere, limitandolo13, affinché ciascuno sia libero di disporre della propria forza, necessaria per contribuire al bene proprio e dei propri cari, che è tale, nella misura in cui promuove il bene comune.
Di questo abbiamo tentato di occuparci nel presente capitolo, accompagnati per mano dall’opera di Sturzo, il quale ha sempre considerato il potere come un problema irrisolto e irrisolvibile in maniera definitiva, finché esisterà l’uomo. Anche in questo caso, la prospettiva sturziana sembra incrociare, per sensibilità e cultura politica, quella di Sartori, quando scrive: «Molti dei nostri contemporanei si comportano come se il problema del potere sia stato risolto una volta per tutte: essendosi trovati per le mani un potere domato dai loro padri, essi progettano società razionali e funzionali senza più badare agli antefatti. Ma perciò è proprio nel momento in cui disegnano questo migliore dei mondi che aprono il varco al potere dispotico e incontrollato»14.

1. «POTERE» E «POSSESSO»

Una questione fondamentale sulla quale Sturzo basa la comprensione del potere è la sua dimensione relativa; è emblematico quanto scrive in un articolo del 1951: «Nel mondo nessun uomo, nessun istituto e nessun paese è autosufficiente. Tutto è fatto di limiti e di relatività. Neppure la chiesa, sul piano della realtà contingente, può dirsi autosufficiente, perché richiede mezzi temporali e garanzie civili; essa utilizza ai suoi fini spirituali quel che la natura e la ragione han dato all’uomo e alla società»15. Il fondatore del Partito popolare aggredisce la tematica del potere, assumendola come fenomeno sociologico, politico e teologico e analizzandola all’interno di un ampio ragionamento sulle dinamiche e le forme della società16. Le maggiori difficoltà, insormontabili – nelle parole di Sartori –, s’incontrano quando si considera il combinato disposto popolo-potere, per la cui comprensione il principale problema non è tanto la titolarità del potere quanto il suo esercizio17.
Inteso come disponibilità dell’uso della forza – ovvero come “la capacità di realizzare desideri”, per dirla con le parole di Bertrand Russell –, il potere si misura in relazione al contesto e sappiamo quanto sia importante per il prete siciliano il contesto storico, al punto che Felice Battaglia arriva ad affermare che il sacerdote giunse a costituire un contesto filosofico, dal momento che dai fatti si appellò ai principi e a questi rimase sempre fedele18. Per tale ragione, attraverso l’analisi di come si sono evolute nella storia le dinamiche del potere19, Sturzo assume il rapporto tra proprietà e potere, nel momento in cui il problema evidenziato da tale rapporto passa dal «piano dell’ascetica personale», che interessava inevitabilmente un numero ristretto di persone, almeno se paragonato all’intera popolazione mondiale, al «piano sociologico», dove il problema centrale diventa, per dirla con le parole del teologo Romano Guardini, come liberare il potere dal dominio20. Tale questione è riassumibile nella ricerca di una soluzione al problema di come liberare il possesso e il potere del loro carattere di potenziali fonti di «mali e turbamenti sociali», a causa di riprovevoli comportamenti individuali e non in quanto tali, per renderli «strumenti di bene» e, nella prospettiva e nella terminologia sturziana, anche morali21....

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Indicazione di collana
  5. Frontespizio
  6. Colophon
  7. Dedica
  8. Introduzione
  9. 1. Popolo e potere
  10. 2. Autorità politica e coscienza individuale
  11. 3. Democrazia come processo inclusivo
  12. Conclusioni
  13. Bibliografia
  14. Note
  15. Dello stesso autore