Rosso Malpelo
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Rosso Malpelo è una novella di Giovanni Verga comparsa per la prima volta su «Il Fanfulla» nel 1878 e successivamente, nel 1880, raccolta insieme ad altre novelle nel volumeVita dei campi. Il protagonista è un giovane discriminato da tutti che ha perso prematuramente il padre, l'unico che gli abbia mai dimostrato affetto nel corso della vita, e che si isola dalla comunità in cui vive a causa del risentimento che prova verso la stessa.Il "nostro" Malpelo è stato strappato dalla sua realtà e catapultato in quella attuale, dove diventa una persona discriminata come oggi ce ne sono tante. Il protagonista di Verga rappresenta lo spunto per toccare argomenti di grande attualità, come l'immigrazioni e i diritti delle seconde generazioni.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788831352345

Rosso Malpelo

Malpelo si chiamava cosí perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre col sentirgli dir sempre a quel modo aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.
Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c’era anche a temere che ne sottraesse un paio di quei soldi; e nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni.
Però il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non piú; e in coscienza erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio che nessuno avrebbe voluto vedersi davanti, e che tutti schivavano come un cane rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorché se lo trovavano a tiro.
Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel suo pane di otto giorni, come fanno le bestie sue pari; e ciascuno gli diceva la sua motteggiandolo, e gli tiravan dei sassi, finché il soprastante lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei c’ingrassava fra i calci e si lasciava caricare meglio dell’asino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre cencioso e lordo di rena rossa, ché la sua sorella s’era fatta sposa, e aveva altro pel capo: nondimeno era conosciuto come la bettonica per tutto Monserrato e la Carvana, tanto che la cava dove lavorava la chiamavano «la cava di Malpelo», e cotesto al padrone gli seccava assai. Insomma lo tenevano addirittura per carità e perché mastro Misciu, suo padre, era morto nella cava.
Era morto cosí, che un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso a cottimo, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno nella cava, e che ora non serviva piú, e s’era calcolato cosí ad occhio col padrone per 35 o 40 carra di rena. Invece mastro Misciu sterrava da tre giorni e ne avanzava ancora per la mezza giornata del lunedí. Era stato un magro affare e solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone; perciò appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed era l’asino da basto di tutta la cava. Ei, povero diavolaccio, lasciava dire e si contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio come se quelle soperchierie cascassero sulle sue spalle, e cosí piccolo com’era aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: «Va’ là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre».
Invece nemmen suo padre ci morí nel suo letto, tuttoché fosse una buona bestia. Zio Mommu lo sciancato aveva detto che quel pilastro lí ei non l’avrebbe tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma d’altra parte tutto è pericoloso nelle cave, e se si sta a badare al pericolo, è meglio andare a fare l’avvocato.
Adunque il sabato sera mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l’avemaria era suonata da un pezzo, e tutti i suoi compagni avevano accesa la pipa e se n’erano andati dicendogli di divertirsi a grattarsi la pancia per amor del padrone, e raccomandandogli di non fare la morte del sorcio. Ei, che c’era avvezzo alle beffe, non dava retta, e rispondeva soltanto cogli ah! ah! dei suoi bei colpi di zappa in pieno; e intanto borbottava: «Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata!» e cosí andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del suo appalto – il cottimante!
Fuori della cava il cielo formicolava di stelle, e laggiú la lanterna fumava e girava al pari di un arcolaio; ed il grosso pilastro rosso, sventrato a colpi di zappa, contorcevasi e si piegava in arco come se avesse il mal di pancia, e dicesse: ohi! ohi! anch’esso. Malpelo andava sgomberando il terreno, e metteva al sicuro il piccone, il sacco vuoto ed il fiasco di vino. Il padre che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: «Tirati indietro!» oppure «Sta’ attento! Sta’ attento se cascano dall’alto dei sassolini o della rena grossa». Tutt’a un tratto non disse piú nulla, e Malpelo, che si era voltato a riporre i ferri nel corbello, udí un rumore sordo e soffocato, come fa la rena allorché si rovescia tutta in una volta; ed il lume si spense.
Quella sera in cui vennero a cercare in tutta fretta l’ingegnere che dirigeva i lavori della cava ei si trovava a teatro, e non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, perch’era gran dilettante. Rossi rappresentava l’Amleto, e c’era un bellissimo teatro. Sulla Porta si vide accerchiato da tutte le femminucce di Monserrato che strillavano e si picchiavano il petto per annunziare la gran disgrazia ch’era toccata a comare Santa, la sola, poveretta, che non dicesse nulla, e sba...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Nota dell’editore
  5. Rosso Malpelo
  6. Postfazione
  7. Credits