Z STORY: Il Contagio
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Z STORY: Il Contagio

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Z STORY: Il Contagio

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Informazioni sul libro

Z STORY è un romanzo attualissimo, in quanto, parla di un contagio pandemico, similmente al caso COVID-19 - Coronavirus. Scritto da una biologa italiana, il romanzo è specchio e metafora, al tempo stesso, della tragica condizione in cui l'umanità si è trovata improvvisamente a confrontarsi. Concepita in tempi non sospetti, l'opera descrive, in modo quasi preveggente, scenari di certo romanzati e fantasiosi ma comunque drammaticamente simili alla dura cronaca dei nostri giorni. SINOSSI Svegliarsi nel cuore della notte per scoprire che la vita di prima non esiste più, che gli incubi si sono trasformati in realtà. Questa è la storia di Anna, una giovane donna normale, che diventa un’eroina. Prima dell’esplodere della pandemia del nuovo virus, Anna è una ricercatrice, una donna di scienza, armata di logica e razionalità. Quella logica e quella razionalità che in un nuovo mondo sembra aver perso in cambio di una animalesca brutalità. Per quanto possa sembrare improbabile e insensato, Anna si risveglia protagonista di un mondo, che solitamente fa da sfondo nei racconti e nei film horror, popolato dagli zombi, spietati predatori di chi è ancora vivo. E in questo nuovo mondo dominato dalla illogica irrazionalità, Anna si trova perfettamente a suo agio, sa cosa fare, lucida sin dai primi istanti, in cui salva i suoi amici e il suo amore di sempre, Filippo, rifugiandosi nel centro di ricerca dove lavora. In questo rifugio sicuro si vengono a creare all’interno del gruppo dei legami molto forti, una fratellanza al di là del legame di sangue, una nuova famiglia in cui tutti si prendono cura l’uno dell’altro, proteggendosi vicendevolmente. Ma Anna è un’eroina molto complessa, connotata da luci e ombre, simbolo di coraggio, ma anche incarnazione delle debolezze umane, delle contraddizioni, delle paure e della fragilità, guidata da un istinto di sopravvivenza e da una voglia di vivere così marcati da renderla capace di calcolare in anticipo, con una precisione minuziosa, ogni singolo dettaglio, fino alla strategia per trovare una soluzione in grado di salvare l’umanità. Trovare la cura comporta uscire dal rifugio di Roma e dirigersi verso il centro di virologia di Edimburgo, dove anche altri ricercatori stanno studiando una soluzione; ma non tutti seguiranno Anna: Filippo, in un primo momento, resterà. Il viaggio nel “mondo fuori”, sin da subito, si rivela più duro del previsto, fino al ricongiungimento con la metà superstite del gruppo romano. Anna e i suoi amici si troveranno, ora, a dover affrontare un nemico molto più atroce e crudele dei non-morti.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788893053440

1. UNA NOTTE INSONNE

Aprii gli occhi. O meglio, cercai di aprirli. Invisibili spilli mi puntellavano le palpebre. Ero immersa in quello stato antecedente al risveglio in cui il corpo è vigile, ma la mente fatica a capire dove si trova. Fuori era ancora buio. Buio? Volsi istintivamente lo sguardo alla sveglia arancione sul mio comodino, ma l’oscurità era troppo densa e non riuscivo a vedere i numeri. Il cellulare era in carica e per controllare l’ora avrei dovuto tirarmi fuori dal letto; opzione assolutamente non praticabile. La spossatezza che ancora avvolgeva il mio corpo mi rendeva impossibile qualsiasi forma di movimento, che non fosse sbattere le palpebre. Mi rigirai su un fianco e allungai la mano in cerca dell’interruttore dell’abatjour. Lux fiat. Le 3:20. Le 3:20? Perché ero sveglia a quell’ora di notte? Avrei dovuto alzarmi fra meno di quattro ore per andare al lavoro. Il pensiero di dovermi svegliare entro poche ore mi avrebbe sicuramente fatto vegliare per tutta la notte. Avrei controllato l’ora fino al momento di alzarmi. Sarebbe stata una gran giornata di merda. Poi, improvvisamente, alle mie orecchie giunse un ticchettio cadenzato. Ripetitivo. Qualcuno bussava alla porta. Era un ticchettio piuttosto debole, eppure molto probabilmente era quella la causa del mio anticipato risveglio.
Chi bussava alla mia porta alle tre del mattino? Se non fossi stata tanto spaventata sarei uscita, imbracciando un’enorme spranga di ferro e gli avrei fracassato la testa. Di chiunque si trattasse! Uscii dalla stanza, con il passo pesante di chi aveva subito un enorme torto, e notai subito le mie coinquiline, Marzia e Carlotta, ferme nel corridoio a fissare la porta chiusa a distanza di sicurezza. Forse temevano che la porta le aggredisse. Anche loro erano sveglie; d’altronde era ovvio che fossero sveglie, lo ero io che avevo il sonno pesante come quello di un orso appena entrato in letargo.
“Chi è?” domandai rabbiosa, strofinandomi gli occhi cisposi.
Ero furibonda, detestavo svegliarmi nel cuore della notte.
“Non lo so” replicò Marzia.
Era stretta nella sua vestaglia di raso blu e mi guardava con quei suoi enormi occhi azzurri, che non riuscivano a celare il turbamento che le scatenava quella surreale situazione.
“Bussa da tanto?” interrogai confusa.
“Da almeno mezz’ora” rispose Carlotta, avvicinandosi a me.
La fissai stranita. Era inquieta, e quella sua inquietudine mi infastidiva indicibilmente. Mi faceva rabbia la paura fine a se stessa; che senso aveva rimanere ferme in corridoio a fissare la porta?
“Avete chiesto almeno chi è?” incalzai irritata.
Marzia accennò un timido segno di diniego.
“Un tizio bussa alla nostra porta, nel cuore della notte, per più di mezz’ora e nessuna delle due è interessata a sapere chi è ‘sto matto?” domandai fuori di me dalla rabbia, “almeno avete chiamato la polizia?”.
C’era qualcosa di strano, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Forse una bussata di porta nel cuore della notte era già sufficientemente strana, ma mi sembrava come se mancasse un tassello importante a quel puzzle. Mi avvicinai alla porta guardinga, cercando di mostrare sicurezza.
“Che fai?” bisbigliò Marzia, afferrando il mio braccio.
Mi divincolai.
“Faccio l’unica cosa sensata che c’è da fare! Tu chiama la polizia” ordinai perentoria, “io provo a vedere dallo spioncino della porta!” poi, in un sussurro, mi rivolsi a Carlotta, “Carli, prendi le chiavi. Meglio chiudere con qualche altra mandata” mi voltai intorno in cerca di qualcosa o qualcuno, “e non fate rumore”.
In cerca di chi o di cosa?
Marzia e Carlotta si allontanarono, lasciandomi sola con quell’inquietante picchiettio. Mi avvicinai lentamente all’ingresso. Quello strano rumore, che somigliava al ticchettio di un gigantesco orologio, mi fece improvvisamente rabbrividire. Appoggiai la mano sulla porta e istintivamente abbassai lo sguardo, in cerca di… in cerca di Schizzo, il mio gattino. Quando qualcuno bussava alla porta era sempre il primo ad arrivare; sembrava un cane, si sedeva impettito e aspettava che qualcuno aprisse; se fosse stato dotato di braccia e mani avrebbe provveduto da solo. Invece, non c’era. A pensarci bene, quando mi ero svegliata non era accoccolato accanto a me. Dov’era finito? Forse il gatto era spaventato e si era nascosto da qualche parte. Ma dove? Che il gatto fosse spaventato o meno, io ero terrorizzata. In bocca avevo uno strano sapore, le gambe mi tremavano, le tempie pulsavano e avrei voluto nascondermi insieme al gatto, anzi no, avrei voluto scappare a gambe levate. Perché ero così spaventata? Stavo correndo troppo con la fantasia, tutta colpa di quegli stupidi film horror, ne vedevo troppi, che poi a dire il vero non mi facevano per niente paura, ma probabilmente in fondo in fondo mi spaventavano molto più di quanto dessi a vedere a me stessa.
L’unica nota stonata a interrompere il silenzio assordante di quei secondi lunghi un’eternità, era il ritmico tamburellare nelle mie vene, accompagnato dall’eco del mio respiro. Appoggiai l’occhio allo spioncino, sperando che chiunque ci fosse dall’altro lato non avesse una pistola puntata. Ero sempre spaventata da quella eventualità. Che brutta fine! Maledetti film splatter alla Tarantino. Guardavo decisamente troppa televisione!
Dal buco, intravidi una folta chioma di capelli bianchi. Un volto familiare: era la nostra vicina, la signora Quaglia. Anche se le immagini erano distorte dalla lente dello spioncino, notai che sul pianerottolo, proprio accanto alla porta dell’appartamento di fronte al nostro, c’era un altro corpo. Il pianerottolo era fievolmente illuminato e non riuscivo a identificare il corpo che era riverso sul pavimento. Deglutii, lentamente e silenziosamente. I nostri vicini erano una coppia di persone anziane senza figli che ricevevano poche visite, quindi con ogni probabilità quella sagoma informe era il marito. Sotto il corpo mi sembrava ci fosse del liquido scuro. Non ne ero molto sicura, ma mi sembrava una pozza di sangue. Deglutii, di nuovo. Doveva essere successo qualcosa di grave, molto grave. Un ladro? Un furto finito male? Forse la signora era impazzita per la paura. Cercai di spiare il suo volto. Aveva gli occhi lividi e la bocca sembrava sporca di sangue; forse il ladro l’aveva colpita in faccia o forse era solo sporca di pomodoro. Comunque, di qualunque cosa si trattasse, stava evidentemente male e, senza essere un esperto nel settore, era chiaro che aveva perso la ragione, visto che invece di chiamare la polizia o suonare il campanello, continuava a prendere a testate la nostra porta.
Il buon senso mi diceva di aprire la porta e provare a soccorrerla. Il buon senso mi diceva di domandarle se andasse tutto bene. L’istinto me lo impediva. L’istinto mi impediva di aprire la porta, ma anche solo di parlare. Avevo paura che, quella cosa, si accorgesse della nostra presenza. Trattenni il fiato. Vedevo troppa maledetta televisione, ma a me quella scena ricordava un film di Romero. Cosa dovevo fare?
La porta sembrava reggere bene. Menomale che le porte delle case italiane sembravano molto più resistenti di quelle delle case dei film americani. Un ladro avrebbe potuta tranquillamente aprirla con una carta di credito, ma quella cosa fuori dalla mia porta tentava di aprirla a testate, quindi mi dava sicurezza una bella e solida porta italiana.
Carlotta ritornò all’ingresso, porgendomi le chiavi.
“Sei riuscita a capire chi è?” sussurrò appena.
“È la signora Quaglia” replicai senza prestare attenzione alla risposta.
Dovevo riflettere. Dovevo cercare di capire cosa stesse succedendo. Carlotta mi scansò e spiò anche lei dal buco della porta. Rimase immobile a osservare la stessa scena che aveva lasciato me senza parole. La vidi girare la chiave nella toppa, appoggiare la mano sulla maniglia e abbassarla lentamente. Osservavo la scena che si svolgeva davanti ai miei occhi con un innaturale distacco, come se osservassi una scena da moviola di quelle noiose trasmissioni sportive della domenica sera. Poi il mio cervello realizzò ciò che stava accadendo e il mio istinto di sopravvivenza si impose sul buon senso. La spinsi lontano con tutta la mia forza e richiusi bruscamente la porta. Girai il blocco del portoncino e ruotai convulsamente la chiave nella toppa. Quella cosa sul pianerottolo cominciò a picchiare con forza contro la nostra porta, che teneva alla perfezione.
“Ma sei impazzita? Dobbiamo aiutarla!” si arrabbiò Carlotta, sollevandosi dal pavimento e strofinandosi il sedere.
“Io sarò anche impazzita, ma tu sei un’idiota. Ti sembra che voglia essere aiutata?” sibilai, massaggiandomi nervosamente le palpebre.
Dovevo pensare!
“Sta male!”
“È impazzita!” puntualizzai senza ammettere repliche.
“Sta male!” rafforzò Carlotta cocciuta, “dobbiamo aiutarla. Non possiamo lasciarla fuori. Dobbiamo portarla in ospedale”.
“Se apriamo, quella cosa entrerà e ci ucciderà, proprio come ha ucciso il marito” argomentai sicura.
“Non puoi sapere come sono andate le cose, tu non eri con loro e il corpo a terra potrebbe persino essere quello di un ladro, per quel che ne sappiamo.”
“Due vecchi che sopraffanno un uomo giovane?” scossi la testa incredula, “mi sembra poco probabile e, comunque, nemmeno tu puoi sapere come sono andate le cose e io non voglio morire in un modo tanto stupido, solo per provare chi di noi due ha ragione” sbottai seccata.
Mi stava facendo saltare i nervi! Mentre battibeccavamo e quella cosa ululava fuori dalla nostra porta, Marzia ci raggiunse all’ingresso con un velo di preoccupazione dipinto sul suo bellissimo viso perlaceo.
“La polizia dice di non aprire a nessuno” proferì con voce tremante, “il poliziotto con cui ho parlato mi ha consigliato di non uscire di casa.” Sembrava terrorizzata, “ha detto che le persone sono impazzite e che sono pericolose, che l’epidemia di rabbia che ha colpito il paese negli ultimi mesi, ormai è fuori controllo” sospirò profondamente, “dice di non aprire a nessuno, per nessuna ragione al mondo” ripeté meccanicamente.
Volsi istintivamente lo sguardo verso Carlotta, con l’aria di quella che ha stampato sulla fronte a caratteri cubitali: TE LO AVEVO DETTO! Mi piaceva averla vinta su di lei e sulla sua cocciutaggine, anche se, forse, non era il caso di rallegrarsi troppo per un’epidemia di rabbia fuori controllo.
“Lei non è un nessuno qualsiasi. Lei è la nostra vicina. La conosciamo da quattro anni!” insistette Carlotta, legandosi i lunghi capelli color miele in una stretta coda.
Era pronta a controbattere fino alla morte, ma questa volta non ero disposta a cedere. C’era più di un puntiglio in gioco, c’erano le nostre vite.
“Io non le aprirei nemmeno se fosse mia madre, ridotta in quello stato.”
“Cosa succede? Perché state litigando? E cosa c’entra la nostra vicina?” interrogò Marzia basita dall’ennesimo battibecco a cui assisteva.
Io e Carlotta litigavamo per qualsiasi ragione e a volte anche senza una ragione. Eravamo molto simili, entrambe testarde e capricciose, ci piaceva argomentare sulle nostre ragioni per averla vinta sull’interlocutore di turno, non era mai una questione di idee o di principio era semplicemente un incontrollabile desiderio di rivalsa.
“Fuori c’è la signora Quaglia e sta chiaramente male” si apprestò a spiegare pacatamente Carlotta, “dobbiamo soccorrerla e chiamare un’ambulanza. Credo siano entrati dei ladri, che abbiano ucciso il signor Vincenzo e che lei sia impazzita per la paura!”.
“Non è una spiegazione plausibile” osservai seccata, anche se era sicuramente meno fantasiosa di quella che mi stava frullando nella testa, “non senti con quale violenza si accanisce sulla porta per riuscire a buttarla giù? Io non le apro. Però possiamo chiamare un’ambulanza se proprio ci tieni, anche se mi dispiacerebbe per i poveri portantini. Non vorrei che se li mangiasse a morsi”.
“Mangiare a morsi?” ripeté Carlotta basita, scuotendo teatralmente la testa, “vedi troppa televisione. Non è Resident Evil, né una di quelle schifezze zombi che ti piacciono tanto. Fuori c’è una persona che conosciamo e che ha bisogno del nostro aiuto”.
Mi guardava con quell’aria affranta, come se provasse pietà per me e per la mia follia; eppure eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità (1). Sapevo che era assurdo, che era impossibile, ma per quanto improbabile dentro di me non c’erano dubbi, se avessi aperto quella porta la nostra vicina ci avrebbe divorate; perché lei non era più lei.
“Hai ragione” cominciai conciliante, “forse mi sono un po’ fatta prendere la mano, vedo troppa televisione e forse in questo momento di tensione ho sovrapposto la realtà alla fantasia” soppesavo ogni singola parola, “però, per quanto sia giusto aiutare la nostra vicina, converrete con me che il fatto che urli e che sbavi e che si stia scagliando contro la nostra porta con tanta violenza” per mangiarci, pensai fra me, anche se mi guardai dall’esprimere quel pensiero con troppa leggerezza, “non rende troppo agevole la nostra azione di salvataggio” terminai con sguardo fermo.
Se dopo tanta fatica quella scema permaneva nella sua posizione, le avrei lanciato una sedia in testa, incaprettata e abbandonata nelle fauci della vicina impazzita. Così avrei anche esaudito il suo più grande desiderio: aprire la porta e farsi sbranare dalla vicina impazzita. Ma quale decerebrato avrebbe aperto la porta a una pazza sbavante?
Rimanemmo in silenzio per un po’. Speravo con tutto il cuore che il loro istinto di sopravvivenza urlasse a squarciagola per farsi sentire.
“Ha ragione!” sentenziò Marzia combattuta, “non possiamo aprirle. È troppo pericoloso”.
Carlotta mi osservava pensosa. Sapevo che anche lei era giunta alla stessa conclusione, ma temevo che la sua cocciutaggine le impedisse di darmi ragione.
“Ok” chiuse gli occhi e dopo un lungo sospiro aggiunse, “ora che facciamo?”.
Che facciamo? Bella domanda! Qual era la risposta giusta? Se fossimo stati in The Walking Dead non avrei avuto nessuna esitazione, avrei preso una pistola e avrei sparato in testa alla signora Quaglia. Ma non avevo una pistola a disposizione per poterle sparare. Ero sempre stata orgogliosa del fatto che nella c...

Indice dei contenuti

  1. INTRODUZIONE
  2. NOTA DELL’AUTORE
  3. 1. UNA NOTTE INSONNE
  4. 2. L’ALBA
  5. 3. PAURE
  6. 4. ALLEATI
  7. 5. MEMENTO MORI
  8. 6. NIL EST DICTU FACILIUS (7)
  9. 7. NELLA PANCIA DELLA BALENA
  10. 8. IL PAESE DELL’UTOPIA
  11. 9. PUNTI DI VISTA
  12. 10. IL MONDO DI FUORI
  13. 11. OLTRE IL MURO E AL DI LÁ DEL CANCELLO
  14. 12. L’ODORE DEL MALE
  15. 13. MODENA
  16. 14. QUANDO FINISCE LA SPERANZA INIZIA LA DISPERAZIONE
  17. 15. FRAMMENTI DI MEMORIA
  18. 16. IL DIARIO DI ALICE
  19. 17. FRAMMENTI DI VITA
  20. 18. CONFESSIONI
  21. 19. IL MONDO DI PRIMA…
  22. 20. … CHE ARRIVASSI TE
  23. 21. BRESCIA E LA BADIA
  24. 22. HOMO HOMINI LUPUS
  25. 23. UCCIDIAMOLI TUTTI
  26. 24. DAMNATIO AD BESTIAS
  27. NOTE
  28. BIOGRAFIA DELL’AUTORE