Le azioni della pazienza
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Le azioni della pazienza

Impegnare, esplorare, osare

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Le azioni della pazienza

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Il richiamo all'idea di pazienza è comune e frequente nell'esperienza umana: bambini, adulti e professionisti ne intuiscono la presenza poiché ne fanno esperienza. Se ne parla con tale frequenza che si ritiene di conoscerne il significato e il senso. In realtà il significato della pazienza spesso viene frainteso e confuso con dimensioni quali la sopportazione, la disponibilità, la meticolosità, la costanza, la perseveranza. Ne segue una nebulosità semantica in ragione della quale la questione della pazienza deve essere ricostruita nella sua necessaria implicazione con il discorso pedagogico chiarendone l'intenzionalità e le possibili declinazioni.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788838249341
Argomento
Study Aids
Categoria
Study Guides

1.1. Capacità di stare

1.1.1. Sulla capacità di stare come capacità di resistere

La pazienza si afferma come azione dell’impegnare, in primis, in quanto si fa testimonianza della capacità di stare nelle «avversità» [1] . La capacità di stare [2] emerge con chiarezza e prende corpo nell’intreccio tra le forme verbali greche che traducono la parola pazienza: ἀνέχω ( anecho), ὑπομένω ( hupomeno), καρτερέω ( kartereo) e μακροθῡμέω ( makrothymeo) [3] .
La prima, vicina alla dimensione della sopportazione e al suo perdurare, evoca l’espressione comune del “portare pazienza”, sollevarla, sopportare il peso delle condizioni che ne esigono la presenza. L’ἀνοχή ( anechein) esprime i concetti del «tenere in alto» [4] e del mantenere su di sé che, sebbene interessanti in relazione alla portata e alla forza della sopportazione stessa (non farsi abbattere), possono sottendere un’idea di immobilità. Lo stare implica certo una condizione di stabilità, saldezza, radicamento, ma non necessariamente statica e priva di obiettivi concreti.
Maggiormente segnato dalla dimensione dell’attesa [5] , l’ὑπομονή ( hupomone) è la capacità di «tenere la posizione», non retrocedere e trattenere l’impeto [6] . È un termine che si impone parallelamente al diffondersi dello stoicismo e richiama le gesta del guerriero greco della falange oplitica, che tiene salda la propria posizione per salvare gli altri, proteggendo con lancia e scudo metà del corpo del compagno. È uno stare che, pur riproponendo la condizione di sopportazione e mantenimento, sottende una spinta alla resistenza attiva, volta a un obiettivo e partecipata dall’impeto, sebbene trattenuto. È uno stare che sa di movimento composto ma internamente irrequieto volto a promuovere una qualche trasformazione.
Più esplicito ancora sul versante dell’azione, è lo stare proprio delle riflessioni dell’etica ellenica arcaica (dalle origini fino ad Aristotele) che definiscono la pazienza come καρτέρησις ( karteresis). Essa esprime forza, κράτος( kratos), e capacità di dominarsi per agire efficacemente nel momento giusto [7] . È propria di chi «sa insistere, trattenere, rimandare» [8] ed è rappresentata dagli eroi omerici Ettore e Ulisse in relazione alla loro capacità di stare nella battaglia ricorrendo all’attesa e alla difesa per comprendere il momento e il modo più opportuno per sopravanzare rispetto all’avversario. Questa forma di stare implica perseveranza e costanza di agire con precisione nella direzione del “bene” anche lontano nel tempo. La perseveranza è una spinta all’azione nonostante le indolenze che provengono dall’interno, mentre la costanza riguarda le difficoltà imposte dall’esterno [9] . Tuttavia se questa forma di stare fosse identificata ed esaurita entro i confini della perseveranza e della costanza, perderebbe il suo essere paziente. Costanza e perseveranza, con forme e modalità differenti, intervengono, sosterrebbe Mario Ceruti, in circostanze complicate ma non complesse [10] .
Le circostanze entro le quali “opera” la pazienza sono invece complesse poiché implicano, a differenza di quanto accade nella perseveranza e nella costanza, «l’incombere dello scacco e con esso l’ampiezza, il respiro grande e profondo, il coraggio generoso di sopportazione di ciò che è altro, soprattutto di ciò che è enigmaticamente altro, dell’altro che non si spiega» [11] .
Costanza e perseveranza rappresentano una forma di per-sistenza, un fare e rifare, un avanzamento impervio o uno sforzo difficile ma non improbabile per mantenere l’esistente o per ottenere un risultato non necessariamente trasformativo. Costanza e perseveranza, così come tenacia, persistenza e permanenza, intervengono nello stare ma non esauriscono «l’area semantica della “pazienza”» [12] , non ne sono sinonimi e non ne rappresentano l’essenza.
Infatti, lo stare paziente è espresso meglio da due dimensioni che lo costituiscono: la fermezza e la fortezza.
La fermezza è uno stare che accoglie la difficoltà, il fallimento, l’oscurità con un atteggiamento di salda arrendevolezza, propria di colui che coraggiosamente rimane in vista di trasformare e permane proprio nella fede per l’impermanenza della difficoltà. Tuttavia rimane non in qualsiasi modo e a qualsiasi condizione: sta perché in fondo lo sceglie e fa sua, in modo originale, questa fermezza salda e arrendevole. È una fermezza che, nel fermare lo stare (stabilizzarlo, equilibrarlo), lo firma [13] rendendolo autentica espressione personale che “definisce” sé stessi nel patire e attraverso esso.
La fortezza è uno stare che esprime forza, virtù cardinale propria di colui che affronta difficoltà temibili con ardore, non cedendo definitivamente alla paura e alla tentazione di fuga dai pericoli: «La pazienza [...] è il modo della fortezza. [...] Ma nessuno ha il diritto di pretendere la capitolazione dell’altro. [...] Per questo chi è paziente è longanime» [14] .
La dimensione della longanimità riconduce all’ultima forma linguistica greca che traduce la parola pazienza: μακροθῡμία ( makrothymia). La makrothymia è una qualità attribuita a Dio e da lui manifestata attraverso la capacità di tollerare gli errori degli uomini e di attendere un loro cambiamento nella direzione desiderata [15] . La makrothymia, ossia la lentezza all’ira e letteralmente la “lunghezza d’animo”, è coinvolta nello stare della pazienza poiché esprime l’intenzione di trattenere l’impeto della rabbia contro l’altro, comprendendolo e in qualche modo accettandolo per quello che è, nell’attesa di una sua trasformazione [16] .
Così delineata, nell’intreccio tra le dimensioni precedentemente espresse, la capacità di stare della pazienza trova il proprio nucleo nel re-sistere [17] . Dalla radice latina sisto (far stare, fermare), la particella “ re” conferisce allo “stare” anche l’accezione dell’opporre resistenza (resistere) e dell’alzarsi di nuovo, del risorgere.
Il resistere è quindi la capacità di stare in un rapporto fermo, forte e lungo con ciò che dall’esterno preme. Il resistere pone inoltre in evidenza il movimento che deve compiere la persona paziente per “reggere” e insieme per contrastare la particolare difficoltà della situazione che sta vivendo. Il resistere è quindi un movimento relazionale con ciò che preme con forza sulla persona (la difficoltà, il problema), a volte la ferisce o la pervade intensamente.
Resistere infatti non è distanza o impermeabilità rispetto all’esterno, ma è al contrario spazio di contatto: è sempre un resistere-a, che pone la persona in relazione con la difficoltà, ed è anche un resistere-per che coltiva l’impegno verso una direzione. Nulla nella costanza, nella perseveranza, nella tenacia, nella sopportazione evidenzia in maniera inequivocabile la dimensione del resistere nel confronto con ciò che da fuori incombe: l’urto, il peso, lo scontro, lo strappo [18] .
Il resistere esprime la capacità non solo di reggere ciò che preme ma anche di opporsi, di ribellarsi, di non sottomettersi in modo incondizionato o incosciente a ciò che minaccia la propria o altrui dignità e di creare, sostiene Miguel Benasayag, nuove e più costruttive forme di stare [19] . Infatti la pazienza è “votata”, da un lato, ad assecondare (lo sforzo, la fatica, la sofferenza) e, dall’altro lato, a opporsi faticosamente e a volte disperatamente [20] .
Questi due movimenti, tra loro contrari, che traducono il resistere hanno in comune la stessa necessità etica: agire il proprio stare nell’impegno per il valore [21] . All’interno di una cornice teorica che da un lato ha il pensiero di Alasdair MacIntyre e dall’altro ha quello di Paul Ricœur, il valore rappresenta un ideale degno ed eccellente che si pone, nella sua intensità emotiva, come principio di giudizio e di azione. Il valore è infatti espressione di ciò che suscita impegno per la sua irrinunciabilità e universalità e che, nella sua bontà, permette di dare all’esistenza un senso sempre più umano, per sé stessi, per gli altri e per il mondo [22] .
Lo stare paziente è così un resistere chiaramente non individualistico o distaccato. Al contrario è un resistere che si compromette con l’ esistere, con le sue contraddizioni che ne esprimono la complessità e, a volte, ne celano gli enigmi. Questo esistere è per Ramoso, il protagonista del racconto di Gaetano Mollo, una capacità di stare

decisamente, anche se lentamente. Era questo il modo in cui si sentiva espandere [23] .

Il resistere si compromette così con un esistere che non sta ai margini o sulla superficie, ma procede lentamente e con difficoltà verso la generazione e rigenerazione di sé.


1.1.2. Lo spazio della corporeità

La capacità di stare della pazienza ha uno spazio nel quale si origina e si compie. Al fine di comprenderne la natura è necessario richiamare il significato etimologico della parola pazienza, che riconduce al concetto del patire nelle sue accezioni di subire, soffrire e di provare una passione, un sentimento [24] . È proprio il patire, insito nella pazienza, che fa della corporeità lo spazio dello stare.
È infatti nella corporeità che il patire è vissuto e sperimentato, che si origina e si compie. Il corpo sente il patire come difficoltà dell’impegno e come passività [25] della sopportazione e il suo sentire fa della pazienza un’ esperienza incarnata [26] . Lo stare paziente ha avvio in questo spazio dove, come suggerisce Emmanuel Levinas, «la corporeità del soggetto è la pena dello sforzo, l’avversità originaria della fatica» [27] .
Il patire della pazienza, entro lo spazio della corporeità, non è passivo in quanto subalterno, non è un sopportare in modo inerme o rassegnato. Se così fosse la resistenza dello stare non avrebbe ragion d’essere in forma attiva e propositiva. È un patire che si riferisce alla condizione...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. LE AZIONI DELLA PAZIENZA
  3. Indice dei contenuti
  4. INTRODUZIONE
  5. I. IMPEGNARE
  6. 1.1. Capacità di stare
  7. 1.2. Orientamento del ponderare
  8. 1.3. Generazione dell’aspirazione
  9. II. ESPLORARE
  10. 2.1. Capacità di scoprire
  11. 2.2. Orientamento del porre in questione
  12. 2.3. Generazione dell’auto-determinazione
  13. III. OSARE
  14. 3.1. Capacità di competere
  15. 3.2. Orientamento del provare
  16. 3.3. Generazione del talento
  17. CONCLUSIONE
  18. BIBLIOGRAFIA
  19. INDICE DEI NOMI
  20. CULTURA STUDIUM