Breve storia del saggio di Benjamin sull’opera d’arte
di Marina Montanelli
1. La nuova edizione tedesca del saggio e la presente.
La presente edizione costituisce un aggiornamento della precedente, uscita per questi stessi tipi nel 20121. All’epoca, infatti, la suddetta edizione doveva ancora necessariamente basarsi, quanto alla numerazione delle stesure, sugli apparati delle Gesammelte Schriften2.
Il 2013 ha rappresentato un passaggio fondamentale per la ricezione di questo testo ormai celeberrimo, seppur sfortunato nella travagliata vicenda editoriale: ha visto infatti la luce, all’interno dell’impresa della nuova edizione critica tedesca cominciata nel 2008 per i titoli di Suhrkamp, il volume 16 dei Werke und Nachlaß a esso dedicato. Curato dal compianto Burkhardt Lindner, con la collaborazione di Simon Broll e Jessica Nitsche, il suddetto volume ha apportato infatti chiarezza e importanti novità dal punto di vista critico-filologico all’interno del trambusto cronologico ed editoriale che ha riguardato questo saggio.
In primo luogo ha fissato una Prima versione, risalente al settembre 1935, di cui solo alcune parti erano state precedentemente pubblicate nelle Gesammelte Schriften erroneamente come Paralipomena all’allora Prima versione (oggi Seconda); alla traduzione francese ha attribuito lo status di versione a sé stante (Quarta versione); di qui, la nuova alterazione della numerazione delle stesure, già mutata in seguito al ritrovamento del dattiloscritto dell’attuale Terza versione, all’epoca classificata come Seconda, tra le carte di Horkheimer presso la biblioteca dell’Università di Francoforte e pubblicato poi, nel 1989, nel volume VII delle Gesammelte Schriften; infine la correzione della datazione della versione cosiddetta «canonica» (oggi Quinta, per le Gesammelte Schriften, Terza) non più al 1939, ma al 1936 (benché resti nondimeno accertato che i lavori di rimaneggiamento per la prosecuzione del testo si siano protratti fino al 1940). Inoltre, tutti i materiali relativi a L’opera d’arte, dagli appunti preparatori a quelli per la continuazione, passando per le tante testimonianze epistolari, sono finalmente raccolti in un unico tomo.
Oggi sappiamo, dunque, che le versioni del saggio a nostra disposizione sono cinque, e che sono state redatte da Benjamin in meno di un anno – dal settembre del 1935 all’estate del 1936. Con la presente edizione le si vuole pertanto mettere a disposizione del lettore italiano, insieme alle corrispondenti acquisizioni storico-filologiche. Fino a oggi, infatti, le suddette acquisizioni sono state in parte restituite in Italia dal volume del Seminario II dell’Associazione italiana Walter Benjamin (AWB), uscito nel 2016 con il titolo Tecniche di esposizione, dove è comparsa anche, per la prima volta, la traduzione dell’attuale Prima versione del saggio di Benjamin3; poi dalla recente edizione Bompiani (2017) de L’opera d’arte, a cura di Salvatore Cariati, Vincenzo Cicero e Luciano Tripepi4. Quest’ultima, però, per la resa dei testi ha adottato il criterio della collazione: su una versione del saggio scelta come base, la cosiddetta «canonica» (Quinta), sono state innestate le molteplici varianti delle altre stesure.
La presente edizione, dunque, è la prima che presenta insieme e in sequenza tutte e cinque le versioni del Kunstwerkaufsatz, così come definite dalla nuova edizione critica tedesca e ciascuna nella propria autonomia. Il che consente una visione d’insieme esaustiva sulla genesi e lo sviluppo del saggio, oltre che una maggiore leggibilità del tutto. Per la prima volta, inoltre, viene tradotta nella sua integrità la Seconda versione; importante, perché si tratta del manoscritto alla base del dattiloscritto della Terza, ossia della stesura non solo, a nostro avviso, più densa dal punto di vista filosofico, ma che sappiamo anche essere quella che Benjamin voleva vedere inizialmente pubblicata5.
2. Il rapporto col Passagen-Werk e l’elaborazione della Prima versione.
È nel contesto del lavoro sui Passages parigini che il saggio su L’opera d’arte trova la sua origine. Come noto, Benjamin inizia a lavorare all’immenso progetto sulle gallerie emblema della modernità nel 1927, che, destinato a rimanere incompiuto, lo terrà occupato fino alla fine dei suoi giorni. Nei primi anni dell’esilio – cominciato nel 1933 col trasferimento a Parigi – ne rielabora la struttura, così, a inizio luglio 1935, invia a Horkheimer l’Exposé: Parigi, capitale del XIX secolo. Horkheimer sembra più che soddisfatto, in particolare individua nell’analisi di Benjamin dedicata all’art nouveau «un ampio passo al di là delle spiegazioni materialistiche dei fenomeni estetici circolate finora»; passo che dimostra che «non esiste alcuna teoria astratta dell’estetica, ma che questa teoria di volta in volta coincide con la storia di una determinata epoca»6.
Questo giudizio positivo dischiude a Benjamin la possibilità di ricevere dall’Institut für Sozialforschung una borsa di ricerca per il progetto sui Passages a partire dalla primavera del 1936. Con la prospettiva di una maggiore serenità innanzitutto materiale, Benjamin, pur senza un preventivo accordo di pubblicazione, comincia a lavorare al saggio su L’opera d’arte, nella «determinata epoca» della sua riproducibilità.
Secondo i curatori dell’edizione critica tedesca, nel settembre del 1935 la stesura della Prima versione deve essere già avvenuta7. Certo, si tratta di una prima bozza, ancora incompiuta o confusa in molte sue parti, ma gli elementi essenziali di un saggio a sé stante, sia dal punto di vista formale che del contenuto, sono già definiti.
Struttura della Prima versione
L’avere finalmente a disposizione questa prima stesura nella sua interezza consente di acquisire una cognizione della genesi e dello sviluppo del saggio ben più dettagliata rispetto al passato. Prima della nuova edizione critica, infatti, soltanto alcune parti del manoscritto in questione erano state pubblicate nelle Gesammelte Schriften, come Paralipomena a quella che allora si pensava fosse la Prima versione e che oggi sappiamo essere la Seconda8. In realtà, i fogli manoscritti provenienti da un unico, piccolo bloc-notes, sono ben 289, e sfogliandoli ci si trova di fronte non semplicemente ad appunti, ma a una vera e propria versione autonoma, seppur non del tutto definita nella forma e nell’andamento analitico. La qual cosa è dimostrata ulteriormente dalla struttura formale del testo, già suddiviso in capitoli (per quanto la sequenza sia ovviamente ancora provvisoria): ben 24 capitoli compongono la Prima versione, di cui risultano però assenti – meglio, mancano le cifre nella numerazione dei fogli manoscritti – il 5 e il 20.
Il titolo – e quindi l’oggetto della trattazione –, che più volte viene riscritto da Benjamin sugli stessi fogli, è già fissato, ma, soprattutto, l’arco argomentativo già tracciato e, con esso, temi e concetti fondamentali che innerveranno poi, in maniera più compiuta, le successive stesure. Come è stato notato anche dagli stessi curatori dell’edizione tedesca, quel che qui si staglia in primo piano è il procedere di Benjamin per prove e tentativi, la primigenia apertura della pista di ricerca: non è un caso che nel testo non si trovino ancora le citazioni o i riferimenti bibliografici (fatta eccezione per la citazione finale di Marinetti; quella tratta dal racconto Arabella di Jensen alla fine del capitolo 4, al contrario, non viene esplicitata), come se Benjamin stesse ancora esplorando passaggi e giunture della propria riflessione. Allo stesso modo, manca ancora qui la Premessa programmatica sull’analisi marxiana dei modi di produzione capitalistici e del rapporto tra struttura e sovrastruttura.
E però, sebbene il testo presenti un andamento tutt’altro che lineare, perché ancora denso di interruzioni, errori, cancellature, inserimenti supplementari, sebbene la terminologia sia ancora oscillante rispetto alle versioni posteriori, i punti focali della speculazione sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica vengono qui definiti per la prima volta; di più, non pochi passaggi della presente versione trovano in questa sede la loro formulazione conclusiva che sarà poi ripresa nelle altre stesure. D’altra parte, ci si imbatte spesso anche in passi e spunti che non torneranno più nelle successive versioni, o perlomeno non nella stessa forma. Per quest’ultimo caso – passi unici e varianti – elenchiamo di seguito quelli di maggiore rilievo, affinché il lettore possa avere un quadro schematico a propria disposizione:
a) Tutto il primo capoverso del capitolo 4 dedicato al rapporto tra produzione di massa, riproducibilità e «beni morali», in cui è incluso anche il primo riferimento a Nietzsche del testo, è presente sono in questa stesura.
b) Nel capitolo 7 tutta la prima parte in cui Benjamin introduce le categorie di «valore di consumo» (Konsumwert) e «valore didattico» (Lehrwert), e la riflessione sulla «réclame» e la grafica pubblicitaria la troviamo solo in questa versione.
c) Nel capitolo 11, al primo capoverso, la considerazione sulla diffusione di massa del sapere e il sorgere di nuovi «grandi divulgatori», con riferimento a Lenin, Eddington e Freud, è solo in questa stesura; ugualmente, la riflessione, alla fine del capitolo, sul rapporto tra aumento dei costi della produzione cinematografica e pretesa di attenzione da parte della sfera pubblica e conseguenze di ciò in ambito teatrale.
d) Nel primo capoverso del capitolo 12 il riferimento alla contesa tra Ariani e Atanasiani e poi la considerazione sul venir meno dell’interesse per un’«esistenza regionale» dell’arte non tornano nelle versioni posteriori; allo stesso modo, nel secondo capoverso dedicato alla fotografia di Atget, il paragone con le strade deserte durante la guerra civile, non sarà ripreso da Benjamin successivamente.
e) Alla fine del capitolo 13, l’approfondimento ulteriore del raffronto tra sport e film si trova solo qui.
f) Al terzo capoverso del capitolo 15 – «Varia» –, la prima frase sul rapporto tra vita delle masse e storia e, alla fine, il periodo su teatro e riproduzione meccanica, con rinvio alla produzione drammaturgica di Brecht, non tornano in seguito.
g) Tutto il secondo capoverso del capitolo 16 dedicato al rapporto tra abitudine e stile, con riferimento all’architettura, che pone al centro il paragone tra duomo romanico e garage, è presente solo in questa versione; ugualmente, all’inizio del capoverso successivo, il periodo su ricezione tattile e distrazione, con rimando ulteriore al garage e al tema dello stile e, alla fine, alla musica, in particolare al jazz.
h) Nel capitolo 19 la considerazione su inconscio pulsionale e battuta di spirito e inconscio ottico e choc e, alla fine, la riflessione sul «nuovo tipo d’uomo», lo choc e il comportamento rivoluzionario le troviamo solo in questa stesura.
i) Tutto il capitolo 21, dedicato alla struttura dialettica del film, che suggerisce a Benjamin, da un lato, il paragone tra nastro trasportatore della catena di montaggio e pellicola cinematografica, dall’altro, il tratto assolutamente emblematico della gestualità di Chaplin, è solo in questa versione.
j) All’inizio del capitolo 22, il periodo sul rapporto tra occhio e film non torna nelle altre stesure secondo questa formulazione.
k) Al capitolo 23, la prima parte relativa al rapporto tra estetica e politica, organizzazione delle masse e sovvertimento dei rapporti di proprietà troverà in seguito altra formulazione; il riferimento all’idealismo piccolo borghese e la caratterizzazione di Marinetti come «borghesuccio furioso» li troviamo solo in questa versione...