1.
SPAZI
1.1 Esordio: Brancati in piazza San Pietro
Piazza San Pietro gremita di folla. Molte persone con gli occhiali e molti bambini coi guanti di lana.
Dai colpi di tosse, s’indovina lo stato pacifico di coloro che sono intervenuti: è gente tranquilla, che soltanto per un miracolo del demonio diverrebbe capace di atti violenti, come quello di ardere un povero «indemoniato».
Nelle adunate oceaniche di carattere profano, la contrazione nervosa e lo stato di collerico servilismo in cui si trovano tutti i presenti, darebbero ai colpi di tosse ben altro tono. Sarebbero colpi più secchi e brevi, o forse non se ne udrebbero minimamente, compressi nella retorica della buona salute.
Cionondimeno la quantità di fede che esprime questa moltitudine è assai inferiore a quella di un umile solitario che prega in ginocchio.
Ho scelto di iniziare questo libretto con un passo di Vitaliano Brancati perché questa semplice descrizione (ma mille altre potrei trovarne) è il migliore antidoto al fanatismo che io conosca. Il modo in cui si delinea una sommaria psicologia sociale a partire dai colpi di tosse è magistrale. La scena che lo scrittore di Pachino ci racconta nel seguito è un dialogo (?) come molti ne abbiamo conosciuti, e ancora ne conosciamo in svariate altre piazze, reali o «virtuali».
A questo punto, [Pio XII] rivolge alla moltitudine una domanda che non ritroverò nel testo del discorso pubblicato dall’«Osservatore romano»: «Voi siete per Cristo o contro Cristo?»
E la massa risponde: «Per Cristo!»
«Per la sua Chiesa o contro la sua Chiesa?»
E tutti: «Per la sua Chiesa!»
È preferibile un conclave di cardinali che si azzuffano; è preferibile un concilio bizantino che litiga su inezie mentre il nemico bussa alle porte della città a un dialogo come questo fra due persone di cui una sola è adulta: quella che interroga. (L’altra ha l’età in cui sanno pronunciare soltanto i monosillabi: Sì, no, tu, io… e ripetere, come risposta, l’ultima parola della domanda).
[…]
Che cosa vuol dire il sì o il no di questo enorme bambino treenne che è la moltitudine degli uomini disposti a fare spettacolo di sé stessi? Che gusto si può provare a interrogarlo? Esso ha sempre l’aria di avere imparato la lezione.
Il riferimento all’istinto gregario e alla spettacolarizzazione ci avvicina a quello che è l’oggetto generale di questo lavoro (e di tanti altri che l’hanno preceduto in questo torno di tempo): il modo in cui l’interazione su internet, una volta divenuta preminente, influisce sul nostro comportamento sociale. Ma la cifra peculiare del mio libretto, l’idea o l’intuizione che lo anima, si deve a un’osservazione molto (troppo?) secca, che nel testo brancatiano funge da cerniera tra le due parti della citazione precedente:
Siamo ormai espertissimi nel calcolo di quanto perde una persona nell’atto in cui si unisce ad altre duecentomila. Mettete in colonna sopra un foglio i duecentomila esseri umani, che hanno riempito una piazza, sottraete l’uno dall’altro, e avrete l’idea esatta di quello che sarà rimasto di umano nella piazza stessa, al momento dell’adunata.
Dalle parole di Brancati sembra doversi evincere una legge matematica: più una comunità è numerosa e “stretta”, meno è umana (id est meno lascia spazio all’individualità). Tutto ciò prescinde dalla natura dell’istituzione: nell’esempio citato, egli non sta parlando di piazza Venezia, ma di piazza San Pietro. Nella (finta) dialettica tra le domande retoriche di Pio XII e la folla che risponde in coro egli intravede il germe potenziale di ogni totalitarismo e di ogni fanatismo.
Nella situazione descritta tutto succede perché le persone stanno fisicamente vicine – così vicine da influenzarsi a vicenda, con una convergenza al ribasso. La banalità del male – sembra dirci l’autore – è anche il fatto di stare tutti nello stesso posto e fare la stessa cosa, il che ci rende comunque più vulnerabili e manipolabili, meno indipendenti.
Io voglio mostrare che c’è un modo di stare fisicamente lontani che è peggio che stare vicinissimi, perché moltiplica tutti gli effetti di una vicinanza eccessiva. Certamente, i luoghi di cui parlerò non sono fisicamente definiti, ma coloro che li occupano sono ben più di duecentomila. La domanda è allora se la “legge di Brancati” vada applicata anche al nostro caso: stare su un social condiviso con due miliardi di persone ci rende un duemiliardesimo di persona? Siamo condannati senza appello a diventare “un enorme bambino treenne” composto da centinaia di milioni di individui? La risposta passa per l’idea che dobbiamo adoperarci per attutire gli effetti della calca, e che il modo per farlo – se c’è – è ancora tutto da trovare.
1.2 Tutti dentro, tutto dentro
Anche per una sola persona possiamo sapere se è massa o no.
Vitaliano Brancati
I duecentomila di piazza San Pietro (tra cui Brancati), dopo l’esperienza massificante, se ne tornarono a casa loro. Finita la dimensione collettiva (e festiva), ritornava la situazione usuale, in cui vi sono spazi privati e spazi pubblici – in cui non si è accalcati con innumerevoli sconosciuti.
Ma l’alternanza tra dimensione collettiva e privata (con prevalenza di quest’ultima) è un privilegio di cui molti non godono. Esistono infatti luoghi e situazioni in cui la dimensione collettiva è ineludibile per gran parte del tempo, o addirittura sempre. Il sociologo canadese Erving Goffman coniò a questo proposito il termine di «istituzioni totali». L’espressione – come tutte quelle fortunate – ha avuto qualche slittamento, sicché è il caso di riprendere la definizione originaria:
Un’istituzione totale può essere vista come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato.
Le istituzioni totali sono dunque, anzitutto, luoghi da cui non si può / non si deve uscire, con regole proprie e restrittive rispetto a quelle che vi sono “fuori”. Goffman pensava certamente ai manicomi (che studiò dall’interno, fingendosi un componente del personale, per lungo tempo), ma altri se ne possono aggiungere: sanatori, caserme, ospedali, collegi, navi, conventi e così via. Solo alcuni sorgono per proteggere la società da un pericolo, ma altri hanno una gamma di funzionalità diverse. Molti di noi hanno passato un po’ di tempo in qualche istituzione del genere, e questo può essere anche, in certe condizioni, un’esperienza formativa. Resta il fatto che, se non è scelta, una tale situazione non può non essere vista come una privazione di libertà.
Bisogna però badare a distinguere due fattori (che pure sono spesso concomitanti): l’appartenenza (temporanea o costante) a un’istituzione totale e l’affollamento. Chiamerò così – riprendendo il termine usato da Hall, ma ampliandone il significato – ogni relazione dei corpi che contribuisce a creare uno spazio, o quantomeno a caratterizzarlo: cerimonie, riti e happenings vari non possono prescindere da questa costruzione degli spazi attraverso la disposizione rispettiva dei corpi. Dirò dunque che una certa dose di affollamento è necessaria a ogni istituzione (l’interazione binaria, per q...