Discussioni
Il soggetto supposto intelligente
ANTONELLO SCIACCHITANO
Tutti i modelli sono falsi, ma alcuni sono utili.
Uno statistico bayesiano
Probabiliter conjicio corpus existere.
Cartesio, Sesta Meditazione
Se l’intelligenza è artificiale, la stupidità è naturale?
“Intelligenza” è un termine più psicologico che filosofico; non ricorre, per esempio, nel Dizionario di filosofia di Abbagnano. Da Cartesio a Nietzsche il filosofo ha problemi a trattare nozioni teleologiche. Infatti molte definizioni correnti di intelligenza presuppongono il finalismo. Si va dal problem solving – nell’ipotesi che ogni problema o sia risolvibile o si dimostri che è impossibile risolverlo, con tutti i gradi intermedi di difficoltà – alla capacità di raggiungere un fine in situazioni complesse. La stupidità sarebbe antiparallela all’intelligenza, estesa in diverse forme dall’inadeguatezza rispetto allo scopo fino all’ostacolo attivo al suo raggiungimento.
A ciò si aggiunga che la nozione di intelligenza non si autofonda. A giudicare l’adeguamento dell’intelligenza ai suoi compiti – dell’intelletto alla cosa – c’è sempre un’istanza esterna, “il terzo uomo” aristotelico, un arbitro metaintelligente, non necessariamente intelligente nel senso della definizione data. Alla fine si riconosce intelligente la prestazione utile al potere. La meccanica quantistica è in questo senso intelligente perché supporta più della metà del mercato informatico, pur su basi incerte (ma dà risultati certi). Insomma, l’intelligenza sarebbe un attrezzo per fini di economia politica.
Spunta il sospetto che l’intelligenza sia una facoltà psichica artificiale o artificiosa, almeno tanto quanto la psiche stessa. Al confronto la stupidità sembra più naturale, più “umana”. Certo, non siamo più a tempi del Fedone. La città ha messo a morte Socrate e con lui la dimostrazione di esistenza e immortalità dell’anima. Oggi esiste qualcosa di meno dell’anima, ma forse più utile. Esiste la psiche o, freudianamente parlando, l’apparato psichico. Che è ancora un attrezzo: serve a conversare con altri apparati psichici, quindi a comandare e farsi comandare. (Si pensi al Super-io freudiano.) Da qui la possibile autoreferenzialità della nozione di intelligenza come ciò che serve all’intelligenza. Allora il discorso filosofico si riapre.
Per esempio, si può cominciare a riconoscere che l’intelligenza scientifica è tutt’altro dall’intelligenza psicologica. Non è né astuzia né adeguatezza; è l’abilità a operare con il falso su congetture di lavoro, prima formulandole, poi riducendone la falsità. Inoltre tale intelligenza è collettiva prima che individuale; è somatica prima che psichica; appartiene al corpo collettivo, cioè al falso. Lì, nel falso, l’intelligenza ha il proprio terreno di coltura. Ogni civiltà ha il proprio falso, la propria menzogna civile collettiva, la propria Culturlüge, come nella Nascita della tragedia dallo spirito della musica la chiama Nietzsche e la scrive proprio con la C all’italiana. Si pensi alle fake news e ai miti nazional-populisti che alimentano le pericolanti politiche europee. In parallelo ogni cultura ha la propria forma di intelligenza sia per mascherare sia per smascherare il falso di cui vive. Non esiste, forse, l’intelligenza naturale.
Il mondo è complesso
L’ultima affermazione è in buona sostanza falsa. Il falso sembra ineliminabile dal discorso sull’intelligenza. Il falso sembra parte integrante e intrigante, al fondo la molla, dell’intelligenza. La probabile ragione è che il mondo (inteso come stato epistemico o modello del reale inconoscibile) è il luogo della complessità, dove l’intelligenza non può far altro che formulare congetture false (leggi: da falsificare) su sistemi caotici.
Probabilmente c’è un gradiente dall’intelligenza naturale all’artificiale, dall’intelligenza del lombrico a quella dell’uomo. Sarebbe uno sviluppo parallelo a quello che prese le mosse dagli istinti sociali degli animali e arrivò ai sentimenti morali dell’uomo, come vide Darwin.
È molto probabile che l’intelligenza naturale esista; sarebbe prodotta dall’evoluzione delle specie che promuove la più adatta a riprodursi in certe condizioni ambientali. Siccome tali condizioni variano, non c’è alcuna direzione evolutiva predeterminata, a priori più di altre intelligente. Darwin fu non poco astuto a localizzare l’intelligenza della natura nella selezione naturale. Fu abile a smarcarsi dal finalismo e dal determinismo globale, vigente ai suoi tempi, pur ammettendo come Newton il determinismo a livello locale nel passare da una generazione all’altra. Ma con una differenza sostanziale: oggi, il determinismo non determina più l’evento, come pensava l’antico, ma la sua probabilità.
La selezione naturale opera nella contingenza, non nella teleo-logia. Genera un ventaglio di possibilità e premia la migliore al momento, in una sorta di campionato della vita, senza perseguire un progetto prestabilito. Variabilità e casualità sono gli ingredienti dell’intelligenza naturale che ha prodotto il nostro mondo complesso. In biologia si chiama biodiversità. Dove c’è più diversità, lì c’è più bio. Questa è la premessa scientifica non sempre gradita al potere, che tende a omogeneizzare l’ambito su cui si impone. I migranti e i barbari restino fuori, dicono i barbari di dentro. L’isolazionismo e il protezionismo degli odierni movimenti sovranisti e populisti sono il portato di una controintelligenza sul breve periodo intelligente. Non a caso quei movimenti sono sempre governati da un Führer; il popolo c’entra poco e solo come soggetto a ipnosi. Non sappiamo cosa sia l’intelligenza, ma empiricamente constatiamo che l’ipnosi politica, seppure è il contrario dell’intelligenza, funziona in modo intelligente, nel senso di finalizzare a disegni di potere il comportamento popolare.
Il Führer semplifica il complesso. Impone al falso la propria semplice e autarchica verità: “Lo Stato sono io”. La dittatura si può definire il primato violento dell’essere sul sapere, del “semplice” (da semel “una volta sola” e plectere, “piegare”) sul “complesso” (da cumplecti, “abbracciare”). Ogni dittatura, sia di destra sia di sinistra, fomenta l’ignoranza, imponendo la verità unica del proprio catechismo… come piace al popolo. Il disegno politico dittatoriale la sa lunga. Vulgus vult decipi, ergo decipiamur, si sussurrava un tempo in Vaticano.
L’intelligenza è apprendere dall’esperienza
Non è mio compito tracciare la storia del programma di ricerca cibernetica noto come “intelligenza artificiale”. Mi limito a constatare che l’appellativo “artificiale” segnala l’approssimarsi del discorso scientifico e dei suoi artefatti. Sono artificiali i linguaggi studiati in logica; artificiali, addirittura non fonetiche ma ideografiche, le scritture dell’algebra; artificiali le osservazioni computerizzate dei satelliti; artificiali gli esperimenti di laboratorio, anche quando riproducono in vitro fenomeni verificati in vivo. Forse non è artificiale l’intelligenza in sé; è l’approccio scientifico a renderla tale. L’artificio, la simulazione, la prossimità al falso sono il prezzo da pagare alla scienza; lì si radica la principale e più forte ragione delle resistenze che la scienza suscita nell’intelligenza “naturale”, dalla filosofica, ostile allo scientismo e al riduzionismo meccanicista, alla politica avversa ai tecnici che pure sfrutta a suo servizio.
Le premesse al programma di ricerca sull’intelligenza artificiale furono poste da McCulloch e Pitts con le loro reti neurali, i cui neuroni erano simulati da funzioni logiche a soglia che calcolavano la congiunzione, la disgiunzione e la negazione logiche dei loro input per dare i corrispondenti output, a loro volta input di altri neuroni. La prima performance di questa “intelligenza in estensione” fu nel 1958 il percettrone di Rosenblatt, una rete neurale che poteva essere addestrata a riconoscere caratteri di stampa mediante la minimizzazione della cosiddetta retropropagazione dell’errore. Il programma di ricerca fu soffocato sul nascere dalla stroncatura di Minsky e Papert, i quali dimostrarono che il percettrone non poteva discriminare tra situazioni non lineari, come la negazione della disgiunzione.
Da allora si avviò un programma di ingegneria della conoscenza, una forma di cognitivismo, mirante a costruire “sistemi esperti”, cioè programmi per calcolatori, codificati da esperti nell’intento di rendere il calcolatore altrettanto esperto degli esperti. Il programma fallì scontrandosi con la complessit...