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Effetto Simondon

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Effetto Simondon

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aut aut – numero 377 (marzo 2018) della rivista fondata da Enzo Paci. "Effetto Simondon".

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865767924

Materiali

I testi che qui presentiamo appartengono a due diverse fasi della riflessione di Gilbert Simondon. Il primo, Épistémologie de la cybernétique, risale al 1953 ed è un manoscritto di lavoro mai pubblicato dall’autore; il secondo, Entretien sur la mécanologie, costituisce la trascrizione di un’intervista televisiva rilasciata a Jean Le Moyne nel 1968. Se il primo testo riguarda una fase giovanile della riflessione di Simondon, di poco anteriore o più probabilmente contemporaneo alla redazione delle sue opere più importanti e nel quale emerge già la volontà di far dialogare il pensiero riflessivo con quello scientifico, il secondo, invece, nel quale il filosofo è interrogato in relazione alle sue più note intuizioni intorno
alla tecnica, appartiene a una fase ormai matura.
La scelta di pubblicare questi due testi deriva dall’esigenza di mostrare la varietà di interessi che caratterizza il pensiero di Simondon, nonché la caratura originariamente interdisciplinare del suo sforzo teorico. Prova ne sia la riflessione sulla cibernetica, disciplina a cui Simondon inizia precocemente a interessarsi e nella quale vede la possibilità di costruire una vera e propria “assiomatica” delle scienze, ovvero un sistema di relazioni operazionali, ontologiche ed epistemologiche capaci di riunificare l’enciclopedia dei saperi. Non meno “sistematica” è poi la riflessione, contenuta nell’Entretien, sullo statuto degli oggetti tecnici e sul ruolo della tecnica nella società contemporanea, anticipatrice di una serie di tendenze che paiono trovare oggi il proprio dominio di applicazione. La capacità di intravedere, nello sviluppo delle tecnologie – come nel caso della ruota – una continuità in cui si ridisegnano continuamente i confini tra artificiale e umano, tra concreto e astratto, porta così l’analisi di Simondon – agli antipodi rispetto a molte posizioni coeve sulla tecnica, spesso inficiate da uno sguardo pregiudiziale quando non apertamente ostile – verso la definizione di un nuovo umanismo “allargato”: qui la comprensione dei rapporti conflittuali tra uomo e macchina viene mitigata da un impegno pedagogico, volto a introdurre nella cultura umanistica una sana iniezione di conoscenza tecno-scientifica.
Tanto nel caso della cibernetica quanto in quello della tecnica, emerge insomma il disegno ampio – potremmo dire genuinamente speculativo –
del lavoro di Simondon, che ci consegna delle importanti intuizioni su come ripensare (e riunire insieme) i più eterogenei campi del sapere, nell’ottica di riposizionare i confini stessi della cultura umana.

Epistemologia della cibernetica (1953)

GILBERT SIMONDON
Manoscritto di lavoro conservato in un dossier dal titolo Recherches philosophiques.1.
È difficile considerare la cibernetica come una scienza. La fisica, la biologia, l’astronomia, la numismatica si definiscono per il loro oggetto; hanno un solo oggetto e possono impiegare diversi metodi per studiarlo. Questo primato dell’oggetto sul metodo nella definizione di una scienza esprime forse un pregiudizio sostanzialista: una struttura è, per il pensiero riflessivo, un termine di riferimento più certo di un’operazione. Solo la matematica pone un serio problema a un simile principio di classificazione: la matematica non possiede un oggetto paragonabile a quello della fisica o dell’astronomia; è innanzitutto un metodo – di misura o di trasformazione di misure. Fornisce alle altre scienze metodi operativi. L’epistemologia deve ad Auguste Comte una classificazione delle scienze fondata sul primato dell’oggetto, e la corrente definizione delle scienze ha conservato qualcosa del positivismo nell’ammettere che ogni scienza debba avere un oggetto. Auguste Comte tuttavia aveva serbato, al di fuori delle scienze che hanno un oggetto, due pensieri validi e conformi allo spirito positivo: la matematica, strumento iniziale di ogni scienza, mezzo fondamentale di espressione, e la riflessione epistemologica, identica al pensiero filosofico, necessaria per assicurare la coordinazione di lavori scientifici specializzati e vigilare sulla permanente oggettività e positività dell’osservazione e dell’esplicazione. Da una parte e dall’altra del corpo delle scienze oggettive specializzate, il positivismo definisce dunque due conoscenze operative valide: la conoscenza matematica, all’avvio della ricerca oggettiva, e la conoscenza epistemologica, al termine provvisorio di questa stessa ricerca.
Il postulato del positivismo inerente a questa classificazione può formularsi così: l’operazione, matematica o riflessiva, che precede o che segue il rapporto del soggetto conoscente all’oggetto conosciuto, non è parte integrante della conoscenza oggettiva. Questo postulato significa che, tra le operazioni che il soggetto conoscente è portato a compiere per cogliere l’oggetto conosciuto, alcune sono dotate di un valore “oggettivo”, mentre altre non si trovano affatto investite dello stesso privilegio, in particolare le operazioni di misura e di generalizzazione, di comparazione dei risultati ottenuti nei diversi campi e di scoperte di analogie nelle formule che esprimono fenomeni differenti. La formulazione dell’ipotesi è un’operazione privilegiata e di essa sola l’esperienza inficia o conferma la validità. Il positivismo opera dunque una separazione tra due elementi che costituiscono l’assiomatica di una scienza: l’assiomatica strutturale – l’ipotesi che diventa legge mediante la verifica, e che è un rapporto enunciato tra due fenomeni – e l’assiomatica operativa, che, sotto forma matematica e sotto forma riflessiva, precede e segue la formulazione dell’assiomatica strutturale. La nozione stessa di fenomeno nasce da questo divorzio: il rapporto del soggetto conoscente con l’oggetto conosciuto perde una parte del senso che la spiegazione spontanea attenderebbe da lui: la spiegazione positiva conosce non la causa produttiva, ma la legge, che lega due fenomeni. Il fenomeno non è più l’essere; non è un centro da cui irradia un potere di causalità, non è un principio dinamico, ma solamente un termine che un rapporto matematico lega a un altro termine; il fenomeno è l’essere impoverito, privato di ogni potere operativo, di ogni spontaneità; è l’essere divenuto immutabile e sempre identico a se stesso proprio a causa della sua inerzia essenziale. Il fenomeno è l’essere al quale abbiamo tolto mediante il metodo scientifico tutti i caratteri per i quali potrebbe assomigliare al soggetto.
Il dualismo dell’assiomatica del positivismo, che separa l’ipotesi-legge dalla genesi della misura o dal dinamismo della riflessione, traduce nell’instaurazione del metodo oggettivo un dualismo più profondo, più universale, che è l’anima del positivismo: quello che oppone l’essere-soggetto, l’uomo con il pensiero, con il potere di inventare, di guidare il progresso, di vivere dinamicamente secondo l’altruismo, e l’essere-oggetto, privato di ogni residuo di vita, di ogni interiorità, di ogni potere di inventare condotte, definito in un mondo di determinismo assoluto. Per questo postulato fondamentale, il positivismo appartiene in un certo senso al criticismo. Kant si sentiva destinato a distinguere l’ordine della conoscenza dall’ordine dell’azione, e le prime due Critiche miravano a stabilire l’indipendenza del campo del sapere (dunque dell’oggetto) e della moralità (dunque del soggetto). Il positivismo sembra sbarazzarsi del criticismo in quanto vuole fondare l’azione umana sulla conoscenza, scoprendo nell’esistenza dell’umanità il principio della religione positiva. Ma l’umanità non è un fenomeno tra i fenomeni, semplice termine di relazione; l’umanità è un essere, precisamente un essere privilegiato, fonte del soggetto conoscente e agente che è ogni individuo: tanto reale quanto l’intero ordine dei fenomeni conosciuti e sconosciuti, più reale di ogni fenomeno, è anche più attiva, più dinamica, più ricca in normatività di qualsiasi individuo-soggetto. Questo essere è al di là di ogni soggetto e di ogni fenomeno: così si fonda, in cima alla gerarchia delle scienze, la riflessività del pensiero che scopre un essere più oggettivo di ogni fenomeno e più carico di dinamismo operativo di ogni soggetto, poiché ogni soggetto ne trae la sua origine.
Questa riflessività scopre così, nella sintesi dell’operazione propria al soggetto e della struttura propria ai fenomeni oggettivi, il principio unico di una normatività assoluta. In questo modo, il positivismo separa il più profondamente possibile il campo operativo dal campo strutturale allo scopo di riunirli in un essere unico, l’umanità, che diventa allora il principio assoluto della normatività. In Kant esiste anche un punto unico che si presenta al contempo come dato dell’esperienza e come dinamismo del soggetto: il rispetto. A questo proposito, tra Kant e Auguste Comte c’è una sola differenza, importante per le sue conseguenze, ma che lascia intatt...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Premessa
  3. Nota bibliografica
  4. Materiali