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Il Freud che abbiamo rimosso

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Il Freud che abbiamo rimosso

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aut aut – numero 379 (settembre 2018) della rivista fondata da Enzo Paci. "Il Freud che abbiamo rimosso".

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865767948
Interventi

Lo scandalo della pulsione di morte

MASSIMO RECALCATI
Una buona parte della nostra vita passa a turare i buchi, a riempire
i vuoti, a realizzare e a fondare simbolicamente il pieno.
J.-P. Sartre, L’essere e il nulla
Atopia
L’identificazione della psicoanalisi alla peste con la quale Freud spiegava a Jung il carattere sovversivo della sua invenzione ruotava attorno al grande tema della sessualità. I corpi, sembra dire Freud, seguono senza compromessi la legge del loro godimento. Il carattere autenticamente inaudito della sua ricerca sulla sessualità umana non consiste nell’aver semplicemente rivelato l’esistenza di una sessualità infantile di tipo pregenitale, eccentrica a quella normata dal primato genitale, ma nell’aver ricondotto a quella sessualità e ai suoi più tenaci e preistorici fantasmi la sessualità della cosiddetta vita adulta.
Il punto non era tanto quello di aver rivelato l’esistenza di una sessualità infantile, ma di aver ricondotto a essa la sessualità umana tout court; nell’aver pensato al carattere strutturalmente infantile, perverso-polimorfo, della sessualità in quanto tale. In questo senso Freud, come Socrate, secondo Lacan, porta nel cuore della città qualcosa che risulta radicalmente “atopico”, anarchico, inintegrabile nell’ordine canonico della polis, senza confine, letteralmente “senza posto”.1. Aver mostrato l’irruenza costitutiva della pulsione sessuale nella costituzione della vita umana non poteva essere accettato dalla cultura borghese ed essa sarebbe fatalmente stata oggetto di discriminazione e di ripulsa, alimentando politiche securitarie di immunizzazione.
In realtà il carattere eversivo della natura perverso-polimorfa della sessualità si è rivelato più facilmente integrabile di quello che si poteva immaginare. Il programma della civiltà ipermoderna anziché fustigare, espellere, segregare il morbo sessuale sembra, infatti, averlo eletto a meta ideale di una vita che non conosce più inibizioni e limiti. In un modo impensato da Freud stesso, il cosiddetto “sistema dei consumi” – nella diagnosi storica già presente nella Scuola di Francoforte e nel Pasolini corsaro – sembra aver perfettamente integrato il passo sovversivo del padre della psicoanalisi assumendo il carattere perverso-polimorfo della sessualità come luogo di una libertà del godimento finalmente affrancata dal peso oppressivo della Legge. La peste non si è rivelata tale, ma ha dato vita all’ideologia della liberazione sessuale che ha ispirato non solo i movimenti giovanili degli anni sessanta-settanta e la giusta emancipazione della sessualità dall’oscurantismo delle ideologie religiose, ma è divenuta anche parte integrante dell’attuale programma della civiltà ipermoderna capovolgendosi semmai in una nuova forma di oscurantismo dove il discorso amoroso sembra totalmente surclassato dalla macchinizzazione sospinta del godimento sessuale offerto senza più alcun tabù.
Lo sconcertante
La mia tesi è che ciò che è stato rimosso di Freud non concerne affatto il suo pensiero circa il carattere originariamente pregenitale della pulsione sessuale. Quello che oggi più che mai appare come radicalmente sconcertante del pensiero di Freud è piuttosto la figura del Todestrieb (pulsione di morte). Si tratta, com’è noto, dell’ultimo vertiginoso passo metapsicologico e clinico che egli porta a compimento in Al di là del principio di piacere.
In questo passo il programma ipermoderno della Civiltà è obbligato a confrontarsi con qualcosa il cui carattere scabroso non si lascia affatto integrare nella sua ideologia del benessere fondata sulla diffusione capillare dell’ideale edonistico del piacere. Se, infatti, la vita umana – come ritiene questa ideologia – persegue il proprio Bene e se il Bene nella sua versione più ordinaria viene ridotto al criterio elementare del più utile, se, in altre parole, il Bene è identificato all’utilitarismo del piacere, se, insomma, questa è la nuova bussola che ordina i comportamenti dell’essere umano nell’epoca ipermoderna, allora l’idea freudiana dell’esistenza di una vera e propria pulsione di morte non può che risultare sconcertante.
Non a caso, quando Freud la introdusse negli schemi della sua metapsicologia suscitò grandi perplessità anche all’interno del movimento psicoanalitico che, salvo rare anche se significative eccezioni – come quelle di Melanie Klein e Jacques Lacan –, respinse seccamente questa innovazione. Il ricorso alle vicissitudini biografiche del padre della psicoanalisi – la guerra, la perdita dei figli, la vecchiaia, la malattia – ha decisamente prevalso con l’intento di sfilare questo concetto dal corpus della dottrina, considerandolo alla stregua di una vera e propria bizzarria teoretica di un anziano provato dalla vita.
Pulsione vs istinto
Quello che viene rifiutato attraverso il quasi unanime rigetto della nozione di pulsione di morte è l’idea di Freud che esista nella vita una spinta a evitare la vita, un’aspirazione inconscia alla morte, a rifiutare se stessa, a chiudere l’apertura in cui la vita consiste. Non è forse a questa tendenza alla chiusura che si può ricondurre il carattere regressivo e conservativo della pulsione di morte, la sua volontà “demoniaca”, come scrive Freud stesso, a ripristinare uno stato di vita precedente?2.
Si tratta di una spinta enigmatica che in realtà attraversa tutto il corpus teorico freudiano. Può davvero esistere qualcosa nell’ordine di una pulsione di morte? La vita che si protegge dalla vita, che tende a conservare la vita sino al punto di perdere la vita, di rinunciare a se stessa, di rifiutare il suo stesso spasmo vitale, la sua esposizione alla vita, disgrega ogni rappresentazione naturalistica dell’esistenza positiva di un “istinto di vita”. In
realtà, in quella forma di vita che definiamo umana, non esiste né istinto di vita, né istinto di morte. È questa una delle tesi fondamentali del pensiero di Freud. Se assumiamo la bussola orientativa della sua lezione siamo innanzitutto obbligati a rifiutare la riduzione della vita umana alla dimensione immediata e biologica dell’istinto. È la radice anti-vitalistica e anti-evolutivistica della riflessione freudiana sulla pulsione di morte.
L’istinto definisce l’immediatezza della vita animale che risulta preclusa alla forma di vita che definiamo umana. In questa forma di vita l’istinto appare, infatti, come contraffatto, contorto, snaturato dall’azione del linguaggio, da quelle che Freud definisce come la dimensione stratificata delle “limitazioni” imposte alla vita dal discorso educativo e, più in generale, dal programma stesso della Civiltà.3. In questo senso la vita umana non è istintuale, ma pulsionale, determinata originariamente da una perversione ineludibile dell’istinto.
L’uso che, per esempio, Deleuze insiste a fare della categoria di “istinto di morte” per tradurre la nozione freudiana di “pulsione di morte” (Todestrieb) non segnala solo una grossolana scorrettezza teorica, ma rivela qualcosa di assai più rilevante, per esempio la difficoltà nel misurarsi con lo sconcerto che fatalmente accompagna chi prova a incamminarsi sulla via aperta da Freud. L’espressione “pulsione di morte” comporta infatti qualcosa di altamente contradittorio come – se si vuole provare a ridurre le cose al loro livello più essenziale – l’esistenza di una pulsione anti-pulsionale, di una pulsione che contrasta il dinamismo vitale della pulsione stessa. Si tratta di una pulsione a chiudere, dunque di una pulsione fascista, securitaria, priva di Eros, anti-sessuale, costantemente attiva nel riportare alla sua matrice inorganica – teorizza Freud – l’eccesso discontinuo della vita.
Nel regno animale non pu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. In forma di premessa
  3. Interventi
  4. allegato