Scrutatori d'anime
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La psicoanalisi che viene

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La psicoanalisi che viene

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Il "mestiere" dello "scrutatore di anime": psichiatri, psicoterapeuti, psicanalisti, psicologi, medici, neuropsichiatri infantili a contatto con una condizione umana sempre più sofferente e lacerata e che interroga i fondamenti e il senso dell'esistenza, dei suoi valori, delle sue relazioni sociali e con il mondo. La cultura essenziale, le conoscenze e le competenze necessarie, la sensibilità richiesta per poter svolgere una professione di grande responsabilità e importanza di fronte all'aumento del numero di persone affette da disagio e sofferenza psichica. Un "mestiere" particolare, quello del "curatore di anime", capace di intervenire sul dolore e la malattia delle persone, comprendendo il contesto sociale e culturale che ci circonda e condiziona.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788863573190

Capitolo VI Psicoanalisti

La nascita della Psicoanalisi potremmo farla corrispondere alla data di pubblicazione della Interpretazione dei sogni che Freud – sembra deliberatamente – fece coincidere con l’inizio del secolo scorso. Una decisione “profetica” se inaugurò proprio quel ventesimo secolo che alla sua conclusione è stato chiamato “il secolo della Psicoanalisi”. Da allora il pensiero psicoanalitico, i suoi concetti-chiave, il suo gergo, sono penetrati così capillarmente nella nostra cultura da influenzarne l’arte, la letteratura e l’intero contesto intellettuale. Perfino il linguaggio comune ne è stato così investito che la gente parla di “complessi”, di “lapsus”, di “nevrosi”: termini della dottrina psicoanalitica che hanno costituito un gergo definito, con una punta di ironia, “psicoanalese”.
Lo stesso Freud doveva essere ben conscio della forza eversiva e della capacità di contaminazione del suo pensiero se lo comparò a una peste che – come disse a Jung sul ponte della nave che li trasportava a New York per un ciclo di conferenze – stavano per introdurre nel Nuovo Mondo. Ma ciò che Freud forse non prese sufficientemente in considerazione fu il potere che ha l’ospite di modificare il virus originario e, quindi, le mutazioni che le sue idee avrebbero subito.
Forse a questo pensava Racker (1961) quando, sostenendo che nel Novecento “parallelamente alle lotte sociali e alle lotte di classe sono iniziate, almeno in certe parti della terra, lotte tra istintualità e Super-Io collettivi (proprie della nostra epoca)”; e che “in entrambi i campi – economico-sociale e psicologico-sociale – ci sono state correnti rivoluzionarie, evoluzionarie, conservatrici e reazionarie”, sottolineava che Freud, rispetto alla relazione istinti-morale, apparteneva alla corrente “e-voluzionaria”. Ma Racker lamenta che le correnti “rivoluzionarie” (di tendenza maniacale) hanno interpretato e usato la Psicoanalisi per i loro desideri e scopi e che quelle “conservatrici e reazionarie” l’hanno interpretata e rifiutata secondo i loro timori e scopi. Questa sarebbe una delle ragioni per le quali la forza “evolutiva” della Psicoanalisi è stata minata dalla sua stessa diffusione.
Di fatto, essa è stata di volta in volta equiparata a una dottrina che autorizza una “liberalizzazione” dei costumi sessuali (per avere scoperto l’importanza e l’ubiquitarietà della libido); a una teoria che rivelerebbe l’inevitabilità dell’“uccisione del padre” e dell’eliminazione di ogni principio d’autorità (per avere scoperto il doppio e contraddittorio mandato nell’Edipo); a una scienza che confermerebbe all’uomo il diritto alla felicità e al piacere (cui non avrebbe accesso per gli “ingiusti” limiti frapposti dalla realtà); a una ratifica di un determinismo psichico (che renderebbe l’uomo vittima innocente – e irresponsabile – di eventi traumatici infantili riferiti a figure superegoiche incarnate da genitori, educatori, ecc.). Si potrebbe continuare ma ci preme subito precisare, a scanso di equivoci, che le cose non stanno così perché la Psicoanalisi riconosce nella capacità di assumere compiti e responsabilità, cioè di farsi carico del lavoro necessario alla vita, la radice di un’attitudine sana che rende possibile il raggiungimento di soddisfazioni reali. Va pertanto decisamente respinta, sempre con Racker, la tendenziosità di coloro che pensano che la Psicoanalisi abbia prodotto una scissione e addirittura una contrapposizione tra piacere e dovere sostenendo il primo contro il secondo.
Sulla distorsione delle idee psicoanalitiche vorremmo soffermarci ancora, tentando di dare un contributo al corretto recupero di un pensiero che riteniamo fondamentale per il progresso dell’uomo. Ne siamo sollecitati anche dalla convinzione che della recente denigrazione di cui è fatta oggetto la Psicoanalisi, non sia responsabile solo la faziosità di certi attacchi, ma soprattutto la deformazione che essa ha subito a opera degli stessi discepoli di Freud. Tra i primi a segnalarla è stato Bruno Bettelheim – famoso psicoanalista sopravvissuto all’internamento nei lager nazisti – che rilevò alcune avvisaglie della deriva del pensiero psicoanalitico individuandole in due fattori illustrati nel suo libro Freud e l’anima dell’uomo (1982). In questo testo Bettelheim si chiede perché i suoi studenti americani non fossero in grado di comprendere pienamente le sue lezioni di Psicoanalisi. Egli scrive che la miscomprensione doveva essere addebitata per un verso alla traduzione inglese del corpus freudiano (che andò a costituire la Standard Edition) e, per altro verso, alla carente cultura umanistica dei suoi allievi. Bettelheim avanza l’ipotesi che la suddetta edizione risentisse della preoccupazione “scientifica” dei traduttori, come evidenziato dalla sostituzione di parole appartenenti al linguaggio filosofico-religioso – utilizzate da Freud – con parole proprie di quello scientifico (ad esempio seele= anima, tradotta con mind= mente, depurata così da ogni connotazione spirituale). Segnale, questo, di una succubanza a un pensiero scientifico riduttivo allora dominante, ma che Freud era pur riuscito a scrollarsi di dosso.
Relativamente al retroterra culturale dei suoi allievi, Bettelheim si rese conto che non erano attrezzati ad accogliere, nella sua pienezza e profondità, la riflessione psicoanalitica permeata di cultura classica – che essi ignoravano – ed espressa in quel ricco linguaggio simbolico capace di veicolare affetti. Così il messaggio di Freud venne ridotto alla sola terminologia metapsicologica cui egli stesso ricorse per arrivare alla costruzione di un modello esplicativo e di pronto utilizzo. Ma in questa direzione lo scenario affettivo, contenuto nel linguaggio mitico e in quello della vita (ad esempio il dramma edipico), veniva sostituito da figure geometriche (ad esempio la “triangolazione edipica”), non recepite come modelli ma come una “concreta” descrizione di vicende “mentali”. Vale a dire che l’attenzione veniva spostata dai drammi affettivi (per esempio, della gelosia, dell’invidia, del tradimento, della rivalità, che sostanziano la scena edipica e il modo in cui essa si traduce in ognuno), alla visualizzazione di spostamenti energetico-libidinali (fra i diversi vertici del “triangolo edipico”). In tal modo si dissolveva la consapevolezza che la Psicoanalisi scruta l’anima, cioè il senso affettivo delle vicende umane, e non aspetti energetici le cui dinamiche determinerebbero i comportamenti dell’uomo.
Ma è un’altra interpretazione, che risignifica anche quella di Bettelheim perché ne individua i motivi più basilari, a illuminarci in modo ancora più profondo sulle ragioni del fraintendimento del pensiero freudiano. Ci riferiamo alla tesi proposta da Luis Chiozza che spiega come dall’opera di Freud abbiano preso avvio due sviluppi – uno più consensuale e l’altro ancora minoritario – che si sono organizzati su due diversi fondamenti epistemologici (uno dualista e l’altro a-dualista).
In questo duplice retroterra starebbe la ragione di quella confusione babelica che investe il movimento psicoanalitico e che spesso viene attribuita a una presunta incoerenza del corpus freudiano. Ma Chiozza dimostra che le apparenti contraddizioni di Freud vanno viste, piuttosto, come l’inevitabile conseguenza della complessità di un percorso durante il quale Freud si stava emancipando da una visione dualista per appostarsi su quell’epistemologia a-dualista che, alla fine, mise a fondamento dell’edificio psicoanalitico. È da questa postazione che la Psicoanalisi mette in luce la sua potente novità differenziandosi completamente dalle Psicologie della coscienza e dalla Psichiatria.
Possiamo così fissare un primo punto, che già alcuni geniali contemporanei di Freud avevano afferrato – pensiamo, ad esempio, a George Groddeck (1917-1934) e Viktor von Weizsäcker – e cioè che la Psicoanalisi non va semplicisticamente ridotta alla scoperta di una terapeutica per le malattie psichiche e neppure a una variante della Psichiatria che usa la parola al posto dei farmaci. La Psicoanalisi di Freud, invece, è una terapeutica consapevole di rivolgersi a “quella malattia che si chiama uomo” (Sartre) scrutandola dal vertice dell’interiorità.
Il significato della ricerca e della terapia psicoanalitica è lo snodo centrale della tesi che vorremmo ora sostenere. Per farlo partiremo dallo status nascendi della Psicoanalisi, da quella Vienna di fine Ottocento dove un giovane medico e ricercatore raccolse la sfida di una sindrome che in tutta Europa stava impegnando grandi clinici (basti pensare a Charcot). Si trattava di una affezione, l’Isteria, il cui inquadramento nosografico sfuggiva perché, pur manifestandosi con gli stessi sintomi di malattie note (ad esempio paralisi e afasie), non vi si riusciva a riscontrare quelle cause fisiche in esse rilevabili. Non si riusciva, cioè, né a spiegarla né a curarla. Freud raccolse la sfida e, come è noto, fu proprio a partire dall’Isteria che la Psicoanalisi mosse i primi passi e inaugurò inedite modalità di cura e di ricerca.
Sul loro valore scientifico e terapeutico (che oggi si vorrebbe misconoscere o addirittura negare) vorremmo soffermarci.
Rispetto a quello scientifico, già si è detto della novità introdotta dalla Psicoanalisi con il suo metodo di ricerca. Novità che ne racchiude l’importanza ma dalla quale presero spunto anche gli attacchi di cui è stata fatta oggetto e le sterili polemiche scatenate dall’equivoco per cui solo le Scienze della Natura e i metodi da esse adottati potrebbero fregiarsi dell’attributo di “scientifico”. Equivoco che non è stato certo colto da quegli psicoanalisti che – dimenticando la lezione del Maestro – si sono affannati a far propri i parametri delle cosiddette “Scienze esatte” forzando così il proprio metodo entro una ideologia oggettivante, antitetica allo spirito della Psicoanalisi. Ma oggi che anche le stesse “scienze della natura” non si identificano più, necessariamente, con le cosiddette “scienze esatte”, questo orizzonte nebuloso comincia a squarciarsi, facendo intravedere anche alla “scienza” i paesaggi dell’anima che una Psicoanalisi genuina continua a esplorare.
Ma è anche dell’importanza delle sue scoperte e del contributo che hanno dato al progresso della scienza, che dobbiamo qui prendere atto.
In sintesi, vorremmo sottolineare che Freud ha studiato gli affetti e le vicende della vita affettiva individuandovi il fulcro della salute e della malattia. Ha scoperto che l’animico nell’uomo si esprime attraverso le emozioni (gli affetti) e che esse sono memoria e guida per le azioni necessarie a soddisfare i bisogni che la vita fa continuamente emergere. Capì che è dal modo in cui si assumono o si evitano le proprie emozioni che deriva lo strutturarsi delle diverse mappe indispensabili per orientarci nella vita (ma che in genere tendiamo a sovrapporre alla realtà). Comprese che l’uomo, se perviene a tollerare la mancanza della soddisfazione e attiva lo sforzo per cercarne la compensazione nella realtà, si apre al pensiero e all’azione; in caso contrario non gli rimane che rifugiarsi in quelle aspettative illusorie destinate a sfociare in drammatiche disillusioni. E in fine sancì che, dal momento che l’interiorità può essere scrutata solo dall’interiorità, un terapeuta deve ampliare la capacità di riconoscerla in sé e negli altri, affinando l’ascolto di quella risonanza affettiva che troppo spesso impariamo a soffocare. (Risonanza affettiva che diciamo pure “empatia” di cui la Neurologia moderna ha individuato il correlato “somatico” nella funzione dei cosiddetti “neuroni specchio”).
Rispetto al valore terapeutico della Psicoanalisi, diremo che alle sue scoperte Freud pervenne a partire dall’attività clinica, quando rilevò che la sintomatologia isterica si dissolveva se le sue pazienti riuscivano a recuperare ricordi infantili coperti da amnesia. L’interpretazione del loro significato permetteva di comprendere il sintomo come il tentativo di bloccare un’azione (paralisi) o una produzione verbale (afasia) che avrebbe svelato un desiderio al quale la coscienza morale della paziente negava l’accesso. Freud comp...

Indice dei contenuti

  1. Questo libro
  2. Prefazione di Piergiorgio Giacchè
  3. Introduzione
  4. Capitolo I - Che ne è dell’anima?
  5. Capitolo II Quale anima scrutano gli scrutatori d’anime?
  6. Capitolo III Denominazioni
  7. Capitolo IV Psichiatri
  8. Capitolo V Psicologi e psicoterapeuti
  9. Capitolo VI Psicoanalisti
  10. Capitolo VII Neuropsichiatri infantili
  11. Capitolo VIII Pedagogisti
  12. Capitolo IX Medici
  13. Capitolo X Tra scrutatori d’anime religiosi e laici
  14. Capitolo XI Scrutatori d’anime selvaggi
  15. Capitolo XII A chi si appresta a diventare scrutatore d’anime