parte 1
Storia ed evoluzione
del banchetto
capitolo | 1 | Il banchetto dall’antichità alla ristorazione moderna |
1 | ll banchetto nell’antica Grecia |
Nella Grecia classica il banchetto pubblico favoriva la gestione democratica degli affari; quello privato, spesso imbandito con il contributo dei partecipanti, era organizzato in occasione di una ricorrenza religiosa, una festa familiare, soprattutto un matrimonio, oppure un pranzo sacrificale.
Il banchetto si componeva di due parti: il pasto vero e proprio e il simposio, nel quale, a differenza di quanto avveniva durante il banchetto, si consumava esclusivamente vino.
Infatti, nonostante l’ideale di moderazione, spesso si cominciava a bere in piccole coppe e si finiva con grandi bevute, fino a ubriacarsi e talvolta ad azzuffarsi.
Gli inviti si consegnavano anche solo il giorno prima o addirittura lo stesso giorno della festa; spesso un ospite si presentava con qualche amico, seguendo l’antico uso secondo il quale: “l’invitato può invitare”.
I posti erano assegnati dal padrone di casa e poiché si mangiava sdraiati da sinistra verso destra, per un’usanza mutuata dal mondo fenicio, ciò stabiliva anche l’ordine d’importanza dei convitati: le spalle si davano a chi era a destra.
I cibi erano presentati su piccoli tavoli posti dinanzi ai letti. Non si usavano le stoviglie. Del servizio si occupavano i giovani la cui grazia era ornamento essenziale della festa.
I giovani coppieri mescolavano il vino all’acqua in grandi crateri, spesso all’esterno delle stanze destinate al simposio, e lo travasavano in speciali brocche, con le quali riempivano poi le coppe.
Oltre al bere e al conversare, i convitati si dedicavano a vari intrattenimenti ludici, in genere indovinelli ed enigmi. Non mancavano poi i buffoni, i giocolieri e le eteree che rallegravano il convivio con intrattenimenti di vario tipo quali musica, danza e prestazioni erotiche.
A partire dalla seconda metà del V secolo (il periodo classico, ovvero l’epoca dei sofisti) agli indovinelli subentrarono discorsi e questioni più o meno complesse che portarono al banchetto filosofico, genere letterario che ebbe cultori specialmente fra i socratici, Platone e Senofonte su tutti, e di cui il Simposio di Platone, interessante esposizione sulle teorie dell’eros dei più illustri intellettuali ateniesi, è senz’altro una delle massime espressioni.
2 | Il banchetto in epoca romana |
Investire ingenti capitali nella preparazione dei banchetti, in cui facevano bella mostra di sé prodotti esotici ed elaboratissime pietanze, diventò fra le classi benestanti romane una forma di ostentazione del lusso.
Ancora oggi un pasto particolarmente ricco e abbondante si definisce “luculliano”, con riferimento appunto ai fastosi banchetti che il ricchissimo aristocratico Lucullo offriva ai propri pari.
Nella sala da pranzo c’erano tre letti triclinari (summus, medium e imus) da tre posti ciascuno, solitamente addossati contro le pareti dell’ambiente e disposti attorno a un tavolo quadrato.
Anche presso i Romani i convitati potevano presentarsi con amici non invitati: costoro erano infatti sempre bene accetti, anche se non potevano prendere posto sul letto triclinare al pari degli altri ospiti, ma partecipavano al banchetto accomodandosi su sedie e sedili, come del resto le donne e i bambini. All’ospite d’onore era riservato il posto di sinistra sul letto centrale, il cosiddetto locus consularis.
Le tavole erano coperte da tovaglie, che durante lo svolgimento del pasto venivano pulite dai servitori con un panno di lana grezza a pelo lungo. Su una tavola apparecchiata con cura non dovevano mai mancare la saliera e l’ampolla dell’aceto. Erano sempre presenti anche gli “stuzzicadenti”, costituiti da una lunga spina di legno o da una piuma. Imponenti candelabri illuminavano la sala e vasi di fiori freschi donavano un tocco di verde e di eleganza.
Lo schema tipico del menu prevedeva come prima portata le uova sode, poi gli antipasti più elaborati, gli arrosti più saporiti e infine i dolci, la frutta; non mancavano i fiori e i profumi distribuiti durante tutto il banchetto.
I domestici destinati ai vari servizi di sala erano scelti in base all’abilità e all’avvenenza. I più appariscenti erano senz’altro gli schiavi addetti alla somministrazione del vino: selezionati tra schiavi adolescenti di bell’aspetto, indossavano fini e vivaci tuniche e le loro chiome, acconciate in lunghi e folti boccoli, ricadevano sulle spalle.
Gli schiavi scissores erano invece veri e propri servitori professionisti che avevano frequentato speciali scuole per l’addestramento al trancio veloce e professionale di qualsiasi arrosto. Questa sorta di “opere d’arte” erano servite su enormi e pesanti vassoi di argento, di cui un degno esemplare è quello di Oplontis (città romana in Campania corrispondente all’attuale Torre Annunziata), rinvenuto negli scavi archeologici che hanno riportato alla luce la villa di Poppea Sabina, seconda moglie dell’imperatore romano Nerone.
Travestiti spesso da personaggi mitologici, gli scissores si scagliavano sull’animale da tranciare come se fosse un efferato nemico, rendendo l’operazione di servizio un vero e proprio spettacolo. Non si faceva uso delle forchette, impiegate unicamente come arnese di cucina, ma solo di cucchiai per raccogliere salse e farinate.
Si mangiava dunque con le mani, mentre il tovagliolo, diversamente dall’uso odierno, non serviva per pulirsi la bocca – all’uopo si strofinavano molliche di pane – ma solo per proteggersi le vesti e per portarsi via a fine pranzo gli avanzi della cena, secondo una consuetudine largamente condivisa.
I domestici più alti in carica erano il nomenclator – incaricato di ricordare il nome degli invitati, assistere l’anfitrione nell’assegnazione dei posti e accompagnare gli ospiti nei loro spostamenti – e l’archimagirus, il capo della cucina, che riceveva i viveri destinati al pasto.
Alla cena, come in tutti i banchetti dell’antichità, seguiva il simposio. A Roma era molto più morigerato di quello dell’epoca d’oro greca, forse perché ai banchetti romani, a differenza di quelli greci, partecipavano spesso anche mogli e figlie.
Con le invasioni barbariche parve distrutta ogni tradizione culinaria e alimentare. Il cristianesimo e la Chiesa iniziarono a considerare i piaceri della gola come una colpa legata indissolubilmente alla sessualità: il peccato di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre si era concretizzato nell’atto del mangiare.
Le diete dei monasteri si limitavano infatti a pane e legumi, con aggiunta di uova e formaggio nei giorni consentiti e qualche frutto di stagione. Con l’epoca di Carlo Magno (VIII secolo) il dilemma di conciliare l’ingordigia di romana e barbarica memoria con le privazioni degli asceti cristiani fu risolto: digiuni e astinenze si alternarono ai giorni di festa, durante i quali il pasto abbondante e variato era dovuto a Dio come forma di rispetto e preghiera. Il piacere della tavola, cioè il piacere terreno coincideva nei giorni festivi con quello spirituale e religioso.
Solo a partire dal tardo Medioevo il banchetto dei nobili diventò più complesso. Rinacque l’arte antica degli umidi e delle salse, e l’uso molto fastoso di presentare gli uccelli in tavola adorni delle loro penne.
Un’ampia sala da pranzo ospitava l’apparecchiatura, anche qui allestita su panche mobili, che potevano essere allungate e assumere conformazioni diverse: a “L”, a “U”, o a file parallele, per contenere un numero adeguato di commensali. Nei banchetti più importanti queste impalcature precarie erano mascherate da grandi tovaglie sulle quali, se l’illuminazione era insufficiente, si collocavano i candelabri. In genere non veniva posto altro sulla tavola prima che gli ospiti si fossero accomodati.
A ciascuna coppia di commensali era consegnata una salvietta per evitare di pulirsi la bocca con la tovaglia, mentre altri panni erano usati per asciugare le mani dopo il servizio dell’acquamanile (dal nome del piatto da cerimonia sbalzato ripieno d’acqua, utilizzato appunto per il servizio del lavaggio delle mani). Ogni invitato disponeva di una ciotola in ceramica o legno, un piatto piano, un cucchiaio e un boccale da condividere con un’altra persona.
2 | Il Rinascimento e la nascita della ristorazione moderna |
Il Libro de arte coquinaria, di Martino de’ Rossi, detto Maestro Martino da Como, il più importante cuoco del XV secolo, testimonia il pas...