La rivoluzione costituzionale dimenticata. La prevalenza della proprietà pubblica del popolo
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La vera rivoluzione è nella Costituzione: Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale e giurista radicale, illustra in questo pamphlet la “prevalenza costituzionale e giuridica” della “proprietà collettiva” su quella privata. La Carta opera un capovolgimento delle concezioni borghesi sulla proprietà, in favore della “proprietà pubblica”. L’art. 42 della Costituzione – “la proprietà è pubblica e privata” ed è “riconosciuta dalla legge… allo scopo di assicurare la funzione sociale”- è infatti una “rivoluzione promessa”, perché sancisce la prevalenza dell’interesse pubblico. La proprietà privata, fulcro del pensiero unico neoliberista e di un sistema economico predatori, si traduce, nel nostro Paese, in funeste privatizzazioni, sottrazione delle fonti di produzione di ricchezza, e nella cessione, che l’autore considera indebita, della “sovranità monetaria”. Il rimedio oltre alla creazione di un grande patrimonio pubblico, alla nazionalizzazione di risorse e industrie strategiche e al ripristino di una moneta parallela, è la promozione di azioni legali davanti alla Consulta per denunciare le norme e i trattati che hanno edificato l’attuale sistema. Paolo Maddalena
(Napoli, 27 marzo 1936) è giurista e magistrato. È Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale e libero docente di Istituzioni di diritto romano presso l’Università Federico II di Napoli, nonché presidente fondatore dell’associazione “Attuare la Costituzione”. Dopo una lunga carriera nella quale ha coniugato l’attività di studio e ricerca nei settori del diritto romano, diritto amministrativo e costituzionale e diritto ambientale con le funzioni di magistrato, culminate con la nomina alle funzioni di presidente di sezione della Corte dei conti, il 17 luglio 2002, è stato eletto alla Corte costituzionale nella quota riservata alla magistratura contabile. Ha assunto le sue funzioni dopo aver giurato il 30 luglio dello stesso anno. Successivamente, il 10 dicembre 2010, è stato nominato vicepresidente della Corte dal neo-eletto presidente Ugo De Siervo, carica nella quale è stato riconfermato il 6 giugno 2011 dal neo-eletto presidente Alfonso Quaranta. Tra il 30 aprile 2011 e il 6 giugno dello stesso anno ha svolto le funzioni di presidente della Corte. Il suo mandato è giunto a termine il 30 luglio 2011. È autore di numerosi libri e di innumerevoli articoli e testi giuridici e di attualità. Tra le sue pubblicazioni più recenti: “Il territorio bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico”, 2014, Donzelli, Roma. “Gli inganni della finanza. Come svelarli, come difendersene”. 2016, Donzelli, Roma.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865163771
Argomento
Diritto

Capitolo 1. La “proprietà pubblica” e il “patrimonio pubblico”

1. Uno sguardo alla realtà presente

Il contesto ambientale e economico finanziario globale. Il neoliberismo e la sua influenza sul sistema economico. L’erroneo presupposto della “crescita illimitata” e la” libertà dei mercati”. La finanza creativa. L’austerity. La tragedia del Coronavirus. L’atteggiamento egoistico degli Stati del Nord Europa. La distruzione del patrimonio pubblico del Popolo.

Chi guarda all’attuale stato ambientale del nostro pianeta e, nello stesso tempo, allo stato economico e finanziario dei popoli che lo abitano resta amaramente colpito, per un verso dalla devastazione ambientale, che ha prodotto, a causa del surriscaldamento terrestre, un profondo e forse non più reversibile, cambiamento del clima, con le catastrofiche conseguenze che esso comporta, e per altro verso dalla smisurata differenza delle condizioni di vita dei ricchi, che diventano sempre più pochi e sempre più ricchi, e dei poveri che sono sempre più numerosi e sempre più poveri 1 . E si tenga conto del fatto che oggi tutto è fortemente aggravato dall’espandersi dell’infezione da Coronavirus, che ha reso ancor più tragica la vita delle persone più povere, facendo emergere quanto disastroso sia stato affidarsi al pensiero neoliberista, che, tra i molti suoi misfatti, annovera oggi quello di aver messo in ginocchio la nostra “sanità pubblica”, la quale, non ostante l’eroismo dimostrato dai medici e dal personale sanitario, che hanno pagato sovente con la vita la loro dedizione al dovere, è stata messa nell’impossibilità (a causa degli insensati e continui tagli di spesa) di salvare numerose vite umane.
Quanto alla situazione ambientale, è da dire che essa è davvero impressionante. In Groenlandia, in un solo giorno, si sono fusi, a causa dell’innalzamento della temperatura, 12.000 miliardi di tonnellate di ghiaccio, ed altrettanto è avvenuto in Antartide, dove si sono disintegrati in brevissimo tempo chilometri e chilometri quadrati di ghiaccio, mentre al Polo Nord lo scioglimento della calotta ghiacciata è in continuo aumento rendendo navigabili mari da sempre interdetti alla navigazione. Medesima sorte stanno subendo i ghiacciai delle Alpi: centottanta ghiacciai alpini sono svaniti e la Marmolada, il più grande ghiacciaio alpino, è in una fase molto prossima a una sua totale scomparsa. Altrettanto è da dire dell’Himalaia, parola che significa: “dimora delle nevi”, e delle altre montagne più alte del mondo, mentre bruciano le foreste dell’Australia, dell’Africa, della Siberia, e, principalmente, a causa dei provvedimenti adottati dal Presidente Bolsonaro, le foreste di gran parte dell’Amazzonia.
Per quanto riguarda il divario tra ricchi e poveri, è da ricordare che riviste specializzate affermano che il 90 per cento delle risorse è consumato dal 10 per cento degli abitanti della terra, mentre l’altro 10 per cento è destinato al 90 per cento degli abitanti di questo stesso nostro pianeta. E non è tutto. È stato accertato, infatti, che di quel 90 per cento riservato al 10 per cento della popolazione mondiale, il 50 per cento è posseduto soltanto da otto persone.
Il “grido” della Terra, fatto proprio dalla diciassettenne Greta Thunberg e da milioni di giovani di ogni parte del mondo, unitamente al “grido” di milioni di persone costrette alla emigrazione, a causa della desertificazione procurata ai loro luoghi di origine dall’illimitato e continuo sfruttamento da parte delle multinazionali e della finanza internazionale (è stata distrutta l’Africa, determinando il grave problema dei “migranti” in Europa, e ora si distrugge l’America Latina, e soprattutto l’Amazzonia, che produce il 20 per cento dell’ossigeno del mondo intero, dando luogo a una analoga emigrazione nelle periferie delle città più vicine), ha indotto le Autorità mondiali all’adozione di provvedimenti troppo limitati nei contenuti e troppo dilazionati nel tempo, per essere ritenuti davvero efficaci. E ora tutte le speranze restano concentrate sulle iniziative delle persone più mature e più capaci e sugli auspicati effetti del Sinodo per l’Amazzonia convocato da Papa Francesco in stretta continuità con quanto da Lui affermato con l’Enciclica “Laudato si'”, del 24 maggio 2015, rimasta inascoltata da circa cinque anni.
Insomma viviamo nell’emergenza. Per giunta in un’emergenza senza fine. Ci troviamo infatti di fronte ad uno “squilibrio” planetario ed umano di immense proporzioni, che, se non immediatamente corretto, può solo far prevedere una irreparabile catastrofe. E, a ben vedere, la causa di tutto è soltanto una: lo “squilibrio economico” determinato dal vigente “sistema economico predatorio neoliberista”, che, mettendo tutto sul mercato e considerando “valore assoluto” l’accumulazione del “danaro”, e cioè del “capitale”, non importa se puramente “fittizio”, esalta l’individualismo più esasperato e bandisce la stessa idea di “solidarietà sociale”, sulla quale si fonda la vita civile. Basta pensare alla nuova politica di potenza instaurata da Trump per gli Stati Uniti, alla politica della Gran Bretagna, che si è chiusa in se stessa dopo la Brexit, oppure all’espansionismo geopolitico di Putin o di Erdogan. Purtroppo anche nell’ambito dell’Unione Europea le cose non cambiano, poiché lo spirito solidale e pacifista che l’aveva ispirata ha ceduto il passo a quello della prepotenza dei Paesi economicamente più forti, che, in pratica, sono stati esentati dall’osservanza dei limiti posti dai Trattati, limiti che la Commissione ha fatto valere solo nei confronti della Grecia, divenuta ora una colonia tedesca, e dell’Italia, che è divenuta, in prevalenza, una colonia francese. All’opposto, la Germania non ha denunciato da anni il suo surplus commerciale e gode ancora del contributo dei Paesi membri per l’unificazione tedesca, con la motivazione, assurdamente espressa addirittura dalla Corte di giustizia, che, se tale contributo non viene cancellato dal Trattato che lo prevede, esso deve continuare a esistere anche se il suo fine è stato raggiunto da anni. Mentre, d’altro canto, la Francia sfiora costantemente del 4,7 per cento i limiti di Maastricht. Insomma c’è da cambiare urgentemente la struttura organizzativa dell’Unione Europea, poiché, come tutti sanno, le decisioni sono adottate in pratica dal Consiglio dei Ministri, di volta in volta convocato secondo le materie da trattare, e dal Vertice dei Capi di Stato e di Governo, e, in quelle sedi, gli Stati membri più forti fanno valere i loro “interessi nazionali”, mentre gli Stati membri meno forti sono posti in minoranza e i rappresentanti dell’Italia, in particolare, con un deplorevole atteggiamento debole e servile, non sono stati mai capaci di difendere gli “interessi nazionali”, aprendo le porte all’invasione economica straniera con le micidiali “privatizzazioni”, “liberalizzazioni” e “svendite”, cui hanno fatto seguito continue “chiusure” e “delocalizzazioni” di imprese da parte, sia di piccoli imprenditori nostrani, sia da parte di numerose multinazionali. E non deve sfuggire l’importanza notevolissima che fra le strutture europee occupa la Commissione, la quale, come è a tutti evidente, non persegue affatto “la coesione economica e sociale dei Paesi membri”, ma si schiera sistematicamente a favore dei Paesi più forti.
Si tratta, come agevolmente si nota, di un problema estremamente complesso, che ha radici remote, ora molto difficili da sradicare. Al fondo di questo disastro economico (causa, come si è detto, anche del disastro ambientale), come in ogni attività umana, c’è un pensiero economico ben definito. È il pensiero della Scuola di Vienna di Friedrich von Hayek, della Scuola di Friburgo di Walter Eucken (propriamente definito “ordoliberismo”), della Scuola di Chicago di Milton Friedman, (propriamente definito “neoliberismo”, denominazione ora generalmente usata per indicare, nelle sue varie sfaccettature, il pensiero economico liberista). E fu proprio un libro di Milton Friedman, uscito all’inizio degli anni sessanta, e intitolato: “Il dollaro. Storia monetaria degli USA (1867-1960)”, che ebbe un grande successo e conquistò dapprima Augusto Pinochet, il quale, applicando le teorie in quel libro esposte, portò allo sfacelo l’economia cilena, poi Margaret Thatcher, la quale, aumentò in Gran Bretagna, fino all’inverosimile, il divario tra ricchi e poveri, infine Donald Reagan e il suo successore Bill Clinton, i quali fortemente deteriorarono la situazione dei lavoratori americani.
In Italia, i più convinti sostenitori di queste teorie malsane sono stati Monti, Berlusconi e Renzi, ma si può dire che a esse si sono ispirati tutti i nostri governanti succedutisi dopo l’assassinio di Aldo Moro, da Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato fino ad oggi; e, si badi bene, non solo quelli di destra, ma anche e forse maggiormente, quelli di sinistra. Oggi, dopo circa quaranta anni di neoliberismo imperante, ci si dovrebbe chiedere se sia il caso di continuare a riferirci a questi nefasti principi, che sono stati forieri di crisi economiche senza fine, rilevabili con chiarezza dall’invasione delle multinazionali straniere, dall’aumento continuo della disoccupazione, specie quella giovanile, dalla chiusura delle imprese, dall’avanzante miseria generale e dal notevole abbassamento del nostro tenore di vita. Ed è da tener presente che, trattandosi di un pensiero fortemente penetrato in tutte le Istituzioni economiche, si è diffuso l’erroneo e distruttivo convincimento che dette teorie esprimano un “dato della realtà”, siano addirittura la “descrizione” di leggi di natura, con la conseguenza che “il sistema economico attuale” sia un dato naturale irreversibile. Laddove l’esperienza storica ha dimostrato che la cosiddetta “mano invisibile del mercato”, nella quale credevano gli economisti del XVI secolo, semplicemente non esiste e ciò che esiste è soltanto la libera e arbitraria scelta degli operatori economici.

È ovvio che, prima di procedere oltre, è necessario conoscere i contenuti essenziali di questi due sistemi.
Il sistema neoliberista si fonda su tre principi: la ricchezza deve essere nelle mani di pochi; tra questi pochi deve esistere una forte competitività, lo Stato non deve intervenire nell’economia con aiuti alle imprese. Come si nota, il sistema mira a porre tutto nelle mani dei privati, sottoponendo l’attività economica al ”diritto privato”, ponendo da parte il “diritto pubblico” e facendo in modo che la “concorrenza” selezioni le imprese più capaci di imporsi alle altre. Si tratta, evidentemente, di un sistema che toglie autorità allo Stato, e rende inoperante, per quanto riguarda l’Italia, quanto si legge nel terzo comma dell’articolo 41 della Costituzione, secondo il quale: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. E al riguardo non si può fare a meno di sottolineare che tale sistema, sempre per quanto riguarda l’Italia, travolge il principio cardine dell’articolo 3 della Costituzione, il quale considera compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Si tratta, in ultima analisi, di un sistema che annienta il valore della persona umana, pone in primo piano il valore del capitale e considera i lavoratori come pura merce di scambio: il tutto in forte e palese contrasto con i “principi e i diritti fondamentali” della nostra Costituzione e delle altre Costituzioni europee.
E non si può non sottolineare che, di recente, a seguito del fermo delle attività produttive provocato dall’espansione globale della sciagura del Coronavirus, per fronteggiare le perdite economiche e predisporre gli strumenti finanziari per la ripresa industriale, Germania, Olanda, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia, si sono opposti all’emanazione da parte dell’Unione Europea di eurobond, garantiti, in una visione solidaristica, dal bilancio europeo, mentre si sono dichiarati fortemente propensi a far ricorso allo strumento del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), che impone, nel caso di concessioni di prestiti, tassi di interessi iugulatori a carico dei Paesi deboli come l’Italia, e tassi di interessi molto esigui a carico dei paesi economicamente più forti.
Di tutt’altro tenore è il “sistema economico produttivo di stampo keynesiano”. Esso si fonda su due principi: la ricchezza deve essere distribuita alla base della piramide sociale, in modo che i lavoratori si rechino ai negozi, questi chiedano merci alle imprese e queste ultime producano beni e assumano lavoratori, i quali, a loro volta, ripetono questo circolo virtuoso. È un sistema che ha trovato, come accennato, piena accoglienza dal Titolo III, della Parte prima della nostra Costituzione, costituendo il fondamento per raggiungere quelle finalità di eguaglianza economica e sociale alle quali essa si ispira.
A questo punto diventa necessario descrivere il “contesto economico globale” che si è venuto a determinare, da un lato, a causa della affermazione della “tecnocrazia” e della “globalizzazione” delle comunicazioni e delle relazioni sociali e dall’altro per effetto dell’influenza che, in questo clima, ha potuto dispiegare nell’economia il pensiero neoliberista. Sul primo punto c’è poco da dire, poiché si tratta di fatti di assoluta evidenza, constatabili da chiunque. Il secondo punto ha invece bisogno di talune importanti precisazioni.
C’è innanzitutto da sottolineare che in questo mondo completamente globalizzato e interdipendente, gli operatori economici neoliberisti, avendo agevolmente conquistato i mezzi di comunicazione, i cosiddetti “media”, hanno adottato come metodo di comunicazione quello della “menzogna”, ben sapendo che, ripetendo continuamente delle parole chiave, queste entrano nella mente delle persone, le quali, inavvertitamente, finiscono per ritenerle veritiere. Tutti possono constatare, ad esempio, che un cavallo di battaglia neoliberista è stato, in Italia, il cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione, che ha di molto facilitato la falsa rappresentazione dei migliori frutti che avrebbe potuto dare la gestione privatistica dei servizi pubblici essenziali. Come se i dipendenti, denominandosi “dipendenti privati”, anziché “dipendenti pubblici”, avessero dovuto necessariamente agire in modo più efficiente. Cosa che può essere esatta quando si tratta di piccole imprese i cui proprietari possono controllare agevolmente il lavoro dei loro dipendenti, ma è assolutamente falsa per le grandi organizzazioni, nelle quali tali controlli non sono assolutamente possibili. E poi, se si ritiene che il problema è quello dei controlli, è evidente che la via più semplice da seguire è il rafforzamento dei controlli pubblici, che sono indubbiamente più stringenti e immediati, evitando, come dicono gli inglesi, di buttar via l’acqua sporca con il bambino. È ben noto che le televisioni commerciali italiane hanno invece continuamente diffuso programmi ispirati all’esaltazione del privato e che Berlusconi, nella sua propaganda, non ha fatto altro che ripetere: “privato è bello”, “meno Stato e più mercato”, e così via dicendo.
A questo proposito è da sottolineare che un’altra grande menzogna fatta valere dal disegno neoliberista, ed usata come principale strumento di propaganda, è stata quella di far ritenere che lo “sviluppo economico” sia inarrestabile e possa continuare “all’infinito”. Come ha notato Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si'”, si tratta di una affermazione priva di fondamento, poiché le risorse della Terra sono “finite” ed è assolutamente impossibile pensare a uno sviluppo “infinito”. Peraltro, una affermazione del genere è foriera di immani disastri, in quanto, il produrre ben oltre certi limiti spinge a uno spreco di risorse, impedendo una loro equa distribuzione, necessaria per assicurare a tutti una “esistenza libera e dignitosa”, come giustamente ricorda la nostra Costituzione (art. 36 Cost.). Ed è per questo che ogni tentativo di porre rimedio all’immane odierna crisi economica globale non può non partire da un criterio di “decrescita” (Serge Latouche), nel senso della più rigorosa conservazione delle risorse naturali e della più equa distribuzione dei loro frutti tra tutti gli abitanti del Pianeta. Questa affermazione, d’altro canto, ha una sua precisa conferma nella citata Enciclica di Papa Francesco, nella quale si afferma che “l’uomo è parte della Natura” e, come tale, ha il dovere di custodirla, dividendo tra tutti i suoi meravigliosi frutti.
Altro “colpo di genio” (questa è l’espressione usata da Luciano Gallino 2) del neoliberismo è stata l’invenzione della cosiddetta “finanza creativa”, rivelatasi uno strumento efficacissimo per cambiare il contesto economico globale. Si tratta di una vera e propria truffa legalizzata da leggi incostituzionali (cioè leggi illegittime, da annullare, per quanto ci riguarda, da parte della Corte costituzionale). Da sottolineare, poi, che questa “finanza creativa” ha cambiato la struttura stessa del mercato, il quale è stato, come sul dirsi, “finanziarizzato”, nel senso che si è staccato da qualsiasi legame con i beni reali, in base al quale divenivano in qualche modo prevedibili i “comportamenti” degli operatori economici, ed è diventato semplicemente un “luogo” nel quale prevale l’arbitrio “assoluto” e “imprevedibile” delle cosiddette potenze economiche, nei cui forzieri sono presenti soprattutto “prodotti finanziari fittizi”.
Molti sono i “prodotti finanziari” creati da questa geniale invenzione, e tutti, si badi bene, ad alto tasso di insolvibilità. Si tratta, in sostanza, del frutto di “scommesse”, cioè di “contratti aleatori”, i quali, però, hanno questo di particolare: generano “prodotti” che, truffaldinamente, valgono, come “moneta contante”, la quale, come è ovvio, pur essendo “moneta fittizia”, ha il potere di acquistare beni reali, trasformando così una “ricchezza fittizia” in una “ricchezza reale”, ai danni dei malcapitati e, comunque, sempre ai danni della Collettività. E, si badi bene, sono contratti aleatori che provocano effetti, non solo tra le parti, ma sull’intera collettività. Sull’argomento ci soffermeremo in seguito. Ci sembra opportuno, tuttavia anticipare il contenuto di due di questi “prodotti finanziari”: le “cartolarizzazioni” e i “derivati”.
Le “cartolarizzazioni” hanno il fine di procurare prevalentemente all’amministrazione la disponibilità immediata di somme di danaro, derivanti, in genere, o dalla anticipata riscossione dei crediti (legge n. 130 del 1999), o i proventi della vendita di immobili pubblici (legge 410 del 2001). In entrambi i casi si tratta di “contratti aleatori” stipulati con una determinata Società (di solito banche o fondi di investimento), detta “Società veicolo”. Il dato aleatorio sta, nel primo caso, nel fatto che i debitori non paghino, e, nel secondo caso, nel fatto che gli immobili non siano venduti. La procedura è la seguente: la Società veicolo si impegna, dietro lauto corrispettivo, a emanare obbligazioni per un determinato importo, versando le somme riscosse con la vendita di dette obbligazioni. Se, alla scadenza di queste ultime, i debitori pagano, ovvero gli immobili sono venduti, l’operazione riesce, in caso contrario, la spesa per i corrispettivi dovuti alla Società veicolo, le notevoli spese da questa sostenute, e l’ammontare del mancato pagamento delle obbligazioni emesse ricade sull’amministrazione, e cioè, in ultima analisi, sulla ignara Collettività dei cittadini.
I “derivati” hanno una origine ottocentesca di carattere “assicurativo”. Il contadino che voleva assicurarsi, ad esempio, per il raccolto del grano, un determinato guadagno, conveniva con un mercante la corresponsione anticipata di una certa somma di danaro ipotizzata per il futuro raccolto. Se il raccolto andava bene, guadagnava il mercante, se andava male, guadagnava il contadino. Insomma, il contratto aleatorio aveva un “sottostante” reale: il raccolto del grano. E, soprattutto, non aveva effetti per i terzi. Oggi, ed è questo l’assurdo, si prescinde dal sottostante. Si dice (l’esempio è di Luciano Gallino): “se alla tale data il prezzo dei materiali ferrosi aumenta, la somma posta in palio è tua, se diminuisce la somma è mia, senza che gli scommettitori abbiano un solo grammo di materiali ferrosi”: una vera e propria “scommessa”, che non potrebbe mai essere fatta quando si hanno effetti verso terzi e sono in discussione interessi pubblici del Popolo. E far valere questa “scommessa” come “danaro contante” è davvero un fatto giuridicamente assurdo. Eppure la legge n. 448 del 2001, finanziaria 2002 (governo Berlusconi), consentendo agli Enti locali di pareggiare i loro conti con questi prodotti, li ha praticamente resi legittimi per tutti, e specialmente per le banche, che ne hanno fatto un grandissimo uso. Il fatto incredibile è che colui che “rischia” è, in ultima analisi, la collettività, la quale, se si tratta di Enti territoriali, sarà costretta a pagare maggiori tasse e, se si tratta di banche “troppo grandi per fallire” (vedi Monte dei Paschi di Siena), si troverà a pagare quanto lo Stato dovrà spendere pe...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La rivoluzione costituzionale dimenticata. La prevalenza della proprietà pubblica del popolo
  3. Indice
  4. L'autore
  5. Premessa.
  6. PRIMA PARTE
  7. Capitolo 1. La “proprietà pubblica” e il “patrimonio pubblico”
  8. 1. Uno sguardo alla realtà presente
  9. 2. La doverosa revisione del nostro debito pubblico
  10. 3. Il problema degli assetti proprietari
  11. 4. Il concetto di “territorio” e di “patrimonio pubblico”. Il nuovo concetto di “demanio”
  12. 5. I beni comuni nel quadro generale degli assetti proprietari
  13. 6. La disciplina costituzionale della “proprietà pubblica”e della “proprietà privata”
  14. 7. Necessità di difendere il patrimonio pubblico dall’attacco del mercato globale e di riequilibrare il rapporto tra “pubblico” e “privato”.
  15. 8. I rimedi. Il “potere negativo o oppositivo” del Popolo e la “partecipazione popolare”
  16. Capitolo 2. La distruzione del patrimonio pubblico italiano
  17. 1. Elencazione delle azioni distruttive dei pubblici poteri.
  18. 2. Considerazioni conclusive. Le più note testimonianze contro il neoliberismo e i suoi perniciosi effetti.
  19. SECONDA PARTE
  20. Articoli giornalieri, in ordine cronologico, sull’azione parlamentare e di governo
  21. APPENDICE
  22. DISEGNO DI LEGGE Nugnes N. 1436 2019 – XVIII legislatura
  23. PROPOSTA DI LEGGE Fassina N. 1617 2019 - XVIII legislatura