“
L’aria è preziosa
per il pellerossa. Perché
tutti gli esseri viventi respirano la stessa aria: animali, alberi,
uomini. Non pare che l’uomo bianco si interessi all’aria che
respira. […] Tutto si relaziona, Tutto quello che ferisce la terra,
ferisce anche i figli della terra. […] Una cosa sappiamo che forse
un giorno l’uomo bianco scoprirà: il nostro Dio è lo stesso Dio.
Egli è Dio dell’intera umanità”.
Dalla lettera del capo indiano
Seathl della Lega dei Suquamish e Duwamish in risposta alla
proposta del presidente americano Franklin Pearce di acquistare
tutte le terre indiane esclusa una riserva, 1855.
Se fino ad ora non ci sono riusciti
gli scienziati della Terra, il Papa e l’Onu, come possiamo noi
pensare di convincere chi ha nelle mani il potere di decidere le
sorti del mondo a cambiare le politiche economiche in atto? Greta
Thunberg ci ha regalato la speranza che sia ancora possibile
cambiare qualche cosa.
I sempre più evidenti e frequenti
“fallimenti del mercato” non trovano risposte sistemiche.
Le cose non vanno bene: come
puntualmente documenta l’osservatorio dell’Alleanza Italiana per lo
Sviluppo Sostenibile (ente certo non tacciabile di estremismo,
finanziata da aziende come l’Enel e diretta da Enrico Giovannini,
già presidente dell’Istat ed ex ministro del governo Letta) molti
dei 17 obiettivi e dei 169 target dell’Agenda 2030 si stanno
allontanando, in tutto il mondo. Sul versante sociale torna ad
aumentare il numero di chi soffre la fame, di chi lavora in
condizioni di schiavitù, di chi fugge da persecuzioni, guerre e
disastri ambientali. Aumentano le diseguaglianze nella
distribuzione della ricchezza a favore di un ristretto gruppo di
ricchissimi.
Sul versante dello stato
dell’ambiente gli scienziati sono preoccupati, più ancora del
climate change, per l'irreparabile perdita di biodiversità
(numerosità delle specie viventi, animali e vegetali – la “Sesta
grande estinzione di massa”, 65 milioni di anni dopo l’ultima), per
la perdita di fertilità dei suoli (rottura dei cicli naturali
dell’azoto e del fosforo), per l’acidificazione degli oceani, per
la rarefazione dell’ozono stratosferico. In generale la contabilità
fisica delle materie prime prelevate (vedi i
Material Input Based Indicators, i bilanci di flusso di
materia, energia ed emissioni pubblicati da International Resource
Panel, UN Environment. Vedi:
https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Material_flow_accounts_and_resource_productivity)
indica che la quantità di materie estratta dalla Terra continua a
crescere paurosamente (da 22 miliardi di tonnellate nel 1970 a ben
70 miliardi di tonnellate nel 2015, 27 kg per persona al giorno,
acqua e aria escluse), nonostante la “stagnazione” economica, con i
Paesi più ricchi che consumano in media dieci volte più materiali
dei Paesi più poveri e il doppio della media mondiale. Le formule
dell’economia
green, circolare, sostenibile… per quanto efficienti
possano essere, come vedremo, riusciranno solo a inseguire e
procrastinare un
trend entropico di tale dimensione.
In definitiva non vi è dubbio che
“questa economia uccide”, come ha detto Bergoglio, e non è una
metafora. Termini come geocidio (smantellamento delle strutture
portanti i cicli di vita del pianeta, ovvero degli habitat che
custodiscono le diversità genetiche delle specie viventi), biocidio
(sterminio biologico), ecocidio (distruzione deliberata dei sistemi
viventi) descrivono bene quella che già Thomas Hobbes - all’origine
del capitalismo - chiamava la «guerra perpetua» dell’uomo contro la
«natura selvaggia». Una guerra che l’umanità sta conducendo con
indubbio successo! L’ecologia dell’Antropocene mette sul conto
l’estinzione del 40% di tutte le specie di insetti, il 25% degli
uccelli, il 15% dei mammiferi. Non tutta l’umanità, per la verità,
è ugualmente responsabile o complice (Jason W. Moore ci invita a
pensare alla nostra era geologica come quella del “Capitalocene”,
piuttosto che dell’Antropocene), ma tutta è indubbiamente
coinvolta.
Com’è possibile che tutto ciò stia
accadendo sotto i nostri occhi senza che nulla cambi? Ha scritto un
prete, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (NA) nella
Terra dei fuochi: «I bambini ci arrivano con grande facilità, gli
adulti no, fanno difficoltà, oppongono ostacoli, ingarbugliano il
discorso, fanno lo scarica barile. Il progresso deve farci vivere
meglio, non peggio. Deve aiutarci ad essere più sereni, più
riposati, più umani, non più preoccupati (…) La terra è di tutti,
l’aria è di tutti, l’acqua è di tutti. Mangia pure la tua mela ma
non sradicare l’albero; dissetati pure alla fonte ma non avvelenare
il pozzo; respira a pieni polmoni l’aria cristallina e gioisci nel
pensare che tuo figlio potrà fare lo stesso». Don Patriciello si fa
portavoce della domanda dei bambini: «Ma perché gli adulti
maltrattano la Terra?». La risposta che ci fornisce a me pare,
però, che sia fin troppo semplice, persino consolatoria: «Perché
sono stupidi. Imbrogliano, rubano, confondono. Maltrattano,
umiliano inquinano l’ambiente per interessi personali o di
camarilla(anche politica). E vanno avanti finché la Terra non
boccheggia, non cede, non si lamenta e minaccia» (M. Patricello,
Nessuno resti a guardare, “Avvenire”, 28 febbraio 2019).
In verità c’è qualcosa di più profondo e di ancora peggiore del
malanimo di singoli speculatori, delle bande di cinici
approfittatori e mafiosi, delle caste di politici corrotti e così
via delinquendo. In realtà viviamo immersi in un sistema
socio-economico che avvalora l’avidità, l’arricchimento
individuale, l’egoismo, il disinteresse verso l’altro da sé. Questo
è il normale ambiente culturale che plasma i comportamenti e le
relazioni sociali tra le persone, tra le persone e le cose, tra le
persone e l’ambiente naturale.
In tutta onestà non credo che
ognuno di noi sia disinformato su dove stia andando il mondo.
Le televisioni e i giornali sono
pieni di immagini di orsi polari alla deriva sui ghiacci, di
incendi e alluvioni che si alternano ad ogni cambio di stagione in
California come in Australia, in Amazzonia come in Siberia, di
prati senza api, di primavere senza rondini. Ricordiamoci di
rileggere
Silent Spring di Rachel Carson, scritto nel 1962. Non
credo nemmeno che ognuno di noi sia così mediamente
etimologicamente “deficiente” da non saper collegare le catastrofi
ambientali in corso con ciò che le provoca. Produciamo, costruiamo,
commerciamo, consumiamo sempre più carne da allevamenti intensivi,
telefonini e computer con il coltan estratto dalle miniere
congolesi, pentole antigraffio con i Pfas (gli acidi
perfluoroacrilici che troviamo nel sangue dei bambini in mezzo
Veneto), treni ad alta velocità, aeroporti e grandi navi che
sventrano valli, pianure e lagune. Ci muoviamo, riscaldiamo e
refrigeriamo le nostre case per mezzo di combustibili fossili. Ci
cibiamo di pizze condite con pomodori raccolti da migranti
alloggiati nelle tendopoli di San Ferdinando, Campobello di Mazara,
Gran Ghetto di San Severo. Ci vestiamo con indumenti confezionati
nelle
sweatshop, fabbriche globali di Phnom Penh, Chongqing,
Dacca… (lo scorso anno sono stati importati in Europa 510 milioni
di jeans - per dire!).“Trattiamo” decine di migliaia di schiave
sessuali che allietano qualche milione di abituali stupratori
paganti (leggere:
Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione di
Rachel Moran). Tutto ciò entra nel Pil e contribuisce al benessere
degli italiani e del capitalismo nel mondo.
C’è una sorta di dissociazione nel
modo di pensare anche tra le persone più a modo e socialmente
impegnate. Naomi Klein parla di “dissonanza cognitiva”, di
separazione tra ciò che sappiamo razionalmente e ciò che facciamo
(N.Klein,
In mondo in fiamme, contro il capitalismo per salvare il
pianeta, Feltrinelli, 2019). Lo scrittore americano di
successo Jonathan Safran Foer, autore di
Possiamo salvare il mondo prima di cena (Guanda, 2019) ha
detto che «si sanno tante cose ma non ci crediamo, siamo bombardati
ogni giorno da ricerche scientifiche che provano l’impatto della
super produzione alimentare o dell’uso degli aerei. Eppure non
cambiamo le nostre abitudini, come se, in fondo, questi temi non ci
riguardassero sul serio. Io credo che ci sia un problema di
percezione» (intervista di Roberta Scorranese, "Corriere della
Sera", 23/3/2020).
Anche nella cultura politica
progressista di sinistra rimane la vecchia, cattiva abitudine di
concepire il benessere materiale delle persone disgiuntamente dai
mezzi e dai modi con cui lo ottengono. Prima viene il reddito, la
retribuzione, il denaro, poi - forse - tutto il resto. Vecchio
retaggio del “salario variabile indipendente” che avrebbe la forza
in sé di scardinare le compatibilità del sistema e aprire la strada
al pieno dispiegamento delle forze produttive. È stato detto molto
giustamente da Sergio Bologna che uno dei limiti politici più gravi
delle organizzazioni storiche del movimento operaio è stata
«l’indifferenza dei lavoratori nei confronti dei valori d’uso da
essi stessi prodotti». (Sergio Bologna in “Primo Maggio” del 1987,
citato da Emanuele Leonardi nella introduzione a André Gorz,
Ecologia e libertà). Si finisce così per accettare lavori
privi di senso, di dignità, persino nocivi, semplicemente per
ottenere un reddito. Si è rinunciato ad immaginare che l’esistenza
potrebbe essere meglio garantita lavorando diversamente. Applicando
le competenze e finalizzando il saper fare di ciascuno e ciascuna
ad obiettivi di utilità sociale. Organizzando la cooperazione
sociale in modo da soddisfare i propri bisogni e i desideri senza
danneggiare nessun altro.
Non nego certo che i soldi contino
per il nostro sostentamento. Un folgorante aforisma di Woody Allen
dice: «I soldi non fanno la felicità. Figuriamoci la miseria!». È
vero che siamo sempre più dipendenti dal denaro. Ma è proprio per
questo motivo che diventiamo sempre più prigionieri di un sistema
che ci è estraneo, fuori dal nostro controllo. Non sappiamo più
autoprodurci un’insalata o un vestito, aggiustarci una bicicletta o
costruire un giocattolo. Non abbiamo più il tempo per cucinare, per
stare con i figli, per accudire i nostri vecchi. Guardiamo
Masterchef, ma compriamo cibo precotto. Regaliamo di tutto, ma
paghiamo babysitter e badanti. Senza denaro non campi! Oggi più di
ieri, con lo smantellamento dei servizi di welfare universale,
tutto è a pagamento.
Ma per il nostro benessere
psicofisico conta anche come ci si procura il denaro necessario per
vivere. Se per ottenerlo devi umiliarti, perdere il controllo delle
tue azioni, stressarti, metterti in competizione con il tuo
compagno di lavoro, ammalarti… qual è la contropartita che paghi in
termini di perdita di autostima, realizzazione personale, sviluppo
delle capacità affettive e creative? Se quei pochi soldi che riesci
a racimolare li devi impegnare per pagare i debiti contratti a
causa di un salario che non ti fa arrivare al fine mese, allora è
chiaro che l’ansia generata dalla perdita di status diventa
incupimento, infelicità, rancore, cattiveria. Diventiamo così
facili prede degli imprenditori d’odio che occupano gli schermi e i
social.
Il degrado dell’ambiente, delle
condizioni sociali e psichiche sono facce dello stesso prisma.
Conseguenze della perdita di senso cui è giunta l’azione umana
dentro l’ordine delle cose e i rapporti sociali capitalistici.
Claudia von Werlhof ci dice che il progetto distopico del
«patriarcato moderno chiamato capitalismo», con il suo delirio di
onnipotenza sulle forze della natura (il post e il tras-umanesimo),
ci ha portati
Nell’età del boomerang (Edizioni Unicopli, 2014), il tempo
in cui cominciamo a pagare i debiti contratti con la natura e con
le masse sterminate di persone escluse, scartate, inutilizzate,
superflue, “fuori mercato”.
Credo quindi che sia venuto il
momento di interrogarci francamente e apertamente sulle ragioni per
cui tanti saggi ammonimenti (come quelli degli scienziati
dell’Ipcc), tanti bei propositi (come quelli delle Agende
dell’Onu), tanti accorati appelli (come quelli di papa Francesco)
non stiano avendo alcuna incidenza nei programmi dei governi, nel
mondo scientifico accademico e ancor meno nei grandi mezzi di
comunicazione di massa. L’efficacia trasformativa di tanti
movimenti dal basso, come quelli di Fridays for Future o Extinction
Rebellion, per la conservazione dell’ambiente, contro le grandi
opere inutili e dannose, la decrescita e molti altri ancora,
dipenderà dalla risposta che sapranno dare a questa domanda.