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L'imbroglio del capitalismo green. Cambiare paradigma dopo la pandemia

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L'imbroglio del capitalismo green. Cambiare paradigma dopo la pandemia

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La green economy ci ha promesso un “capitalismo dal volto umano”. Paolo Cacciari, attivista e giornalista, ci mette in guardia dagli inganni del capitalismo in salsa verde, a maggior ragione dopo il flagello del Coronavirus. È proprio la fisiologia dell’“economia dei soldi a debito” a essere incompatibile con quella dei cicli che regolano e rigenerano la vita sulla Terra. La retorica del capitalismo verde, etico e smart non porterà insomma alcun vantaggio al Pianeta se l’ambiente sarà trattato come un mero fattore produttivo, se la sostenibilità diventerà una leva competitiva e se contestualmente non si ridurrà in modo drastico il volume globale complessivo dei flussi di materiali e di energia impiegato nei cicli produttivi e di consumo. L’autore -in altri termini- non crede al miraggio del decoupling, la magica separazione della curva dell’aumento del Pil dalla curva delle pressioni ambientali. È invece tempo di cambiare davvero paradigma, ma con una “conversione ecologica” che connetta il riconoscimento e il rispetto dei cicli naturali della vita alla lotta alle diseguaglianze globali. Un saggio lucidissimo e appassionante. Paolo Cacciari (Venezia, 1949), laureato in architettura, è giornalista e autore, ma anche attivista nei movimenti sociali, ambientalisti e per la decrescita. Eletto Deputato nella XV legislatura, negli anni 2000 è stato a più riprese amministratore, assessore e vice-sindaco del Comune di Venezia. Collabora tra le altre testate con il sito comune-info.net. È uno dei più lucidi pensatori, autore di numerosi saggi sui temi dell’economia solidale. Tra gli altri “Decrescita o barbarie” (Carta e Intra Moenia, 2006), “Viaggio nell’Italia dei beni comuni” (Marotta & Cafiero, 2012), “Vie di fuga” (Marotta & Cafiero, 2014), “101 piccole rivoluzioni” (Altreconomia, 2017) e -con altri autori- “L’Economia trasformativa“ (Altreconomia, 2020).

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865163795
Argomento
Business

1. Che cosa possiamo fare?

L’aria è preziosa per il pellerossa. Perché tutti gli esseri viventi respirano la stessa aria: animali, alberi, uomini. Non pare che l’uomo bianco si interessi all’aria che respira. […] Tutto si relaziona, Tutto quello che ferisce la terra, ferisce anche i figli della terra. […] Una cosa sappiamo che forse un giorno l’uomo bianco scoprirà: il nostro Dio è lo stesso Dio. Egli è Dio dell’intera umanità”.
Dalla lettera del capo indiano Seathl della Lega dei Suquamish e Duwamish in risposta alla proposta del presidente americano Franklin Pearce di acquistare tutte le terre indiane esclusa una riserva, 1855.


Se fino ad ora non ci sono riusciti gli scienziati della Terra, il Papa e l’Onu, come possiamo noi pensare di convincere chi ha nelle mani il potere di decidere le sorti del mondo a cambiare le politiche economiche in atto? Greta Thunberg ci ha regalato la speranza che sia ancora possibile cambiare qualche cosa.
I sempre più evidenti e frequenti “fallimenti del mercato” non trovano risposte sistemiche.
Le cose non vanno bene: come puntualmente documenta l’osservatorio dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ente certo non tacciabile di estremismo, finanziata da aziende come l’Enel e diretta da Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat ed ex ministro del governo Letta) molti dei 17 obiettivi e dei 169 target dell’Agenda 2030 si stanno allontanando, in tutto il mondo. Sul versante sociale torna ad aumentare il numero di chi soffre la fame, di chi lavora in condizioni di schiavitù, di chi fugge da persecuzioni, guerre e disastri ambientali. Aumentano le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza a favore di un ristretto gruppo di ricchissimi.
Sul versante dello stato dell’ambiente gli scienziati sono preoccupati, più ancora del climate change, per l'irreparabile perdita di biodiversità (numerosità delle specie viventi, animali e vegetali – la “Sesta grande estinzione di massa”, 65 milioni di anni dopo l’ultima), per la perdita di fertilità dei suoli (rottura dei cicli naturali dell’azoto e del fosforo), per l’acidificazione degli oceani, per la rarefazione dell’ozono stratosferico. In generale la contabilità fisica delle materie prime prelevate (vedi i Material Input Based Indicators, i bilanci di flusso di materia, energia ed emissioni pubblicati da International Resource Panel, UN Environment. Vedi: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Material_flow_accounts_and_resource_productivity) indica che la quantità di materie estratta dalla Terra continua a crescere paurosamente (da 22 miliardi di tonnellate nel 1970 a ben 70 miliardi di tonnellate nel 2015, 27 kg per persona al giorno, acqua e aria escluse), nonostante la “stagnazione” economica, con i Paesi più ricchi che consumano in media dieci volte più materiali dei Paesi più poveri e il doppio della media mondiale. Le formule dell’economia green, circolare, sostenibile… per quanto efficienti possano essere, come vedremo, riusciranno solo a inseguire e procrastinare un trend entropico di tale dimensione.

In definitiva non vi è dubbio che “questa economia uccide”, come ha detto Bergoglio, e non è una metafora. Termini come geocidio (smantellamento delle strutture portanti i cicli di vita del pianeta, ovvero degli habitat che custodiscono le diversità genetiche delle specie viventi), biocidio (sterminio biologico), ecocidio (distruzione deliberata dei sistemi viventi) descrivono bene quella che già Thomas Hobbes - all’origine del capitalismo - chiamava la «guerra perpetua» dell’uomo contro la «natura selvaggia». Una guerra che l’umanità sta conducendo con indubbio successo! L’ecologia dell’Antropocene mette sul conto l’estinzione del 40% di tutte le specie di insetti, il 25% degli uccelli, il 15% dei mammiferi. Non tutta l’umanità, per la verità, è ugualmente responsabile o complice (Jason W. Moore ci invita a pensare alla nostra era geologica come quella del “Capitalocene”, piuttosto che dell’Antropocene), ma tutta è indubbiamente coinvolta.
Com’è possibile che tutto ciò stia accadendo sotto i nostri occhi senza che nulla cambi? Ha scritto un prete, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (NA) nella Terra dei fuochi: «I bambini ci arrivano con grande facilità, gli adulti no, fanno difficoltà, oppongono ostacoli, ingarbugliano il discorso, fanno lo scarica barile. Il progresso deve farci vivere meglio, non peggio. Deve aiutarci ad essere più sereni, più riposati, più umani, non più preoccupati (…) La terra è di tutti, l’aria è di tutti, l’acqua è di tutti. Mangia pure la tua mela ma non sradicare l’albero; dissetati pure alla fonte ma non avvelenare il pozzo; respira a pieni polmoni l’aria cristallina e gioisci nel pensare che tuo figlio potrà fare lo stesso». Don Patriciello si fa portavoce della domanda dei bambini: «Ma perché gli adulti maltrattano la Terra?». La risposta che ci fornisce a me pare, però, che sia fin troppo semplice, persino consolatoria: «Perché sono stupidi. Imbrogliano, rubano, confondono. Maltrattano, umiliano inquinano l’ambiente per interessi personali o di camarilla(anche politica). E vanno avanti finché la Terra non boccheggia, non cede, non si lamenta e minaccia» (M. Patricello, Nessuno resti a guardare, “Avvenire”, 28 febbraio 2019). In verità c’è qualcosa di più profondo e di ancora peggiore del malanimo di singoli speculatori, delle bande di cinici approfittatori e mafiosi, delle caste di politici corrotti e così via delinquendo. In realtà viviamo immersi in un sistema socio-economico che avvalora l’avidità, l’arricchimento individuale, l’egoismo, il disinteresse verso l’altro da sé. Questo è il normale ambiente culturale che plasma i comportamenti e le relazioni sociali tra le persone, tra le persone e le cose, tra le persone e l’ambiente naturale.
In tutta onestà non credo che ognuno di noi sia disinformato su dove stia andando il mondo.
Le televisioni e i giornali sono pieni di immagini di orsi polari alla deriva sui ghiacci, di incendi e alluvioni che si alternano ad ogni cambio di stagione in California come in Australia, in Amazzonia come in Siberia, di prati senza api, di primavere senza rondini. Ricordiamoci di rileggere Silent Spring di Rachel Carson, scritto nel 1962. Non credo nemmeno che ognuno di noi sia così mediamente etimologicamente “deficiente” da non saper collegare le catastrofi ambientali in corso con ciò che le provoca. Produciamo, costruiamo, commerciamo, consumiamo sempre più carne da allevamenti intensivi, telefonini e computer con il coltan estratto dalle miniere congolesi, pentole antigraffio con i Pfas (gli acidi perfluoroacrilici che troviamo nel sangue dei bambini in mezzo Veneto), treni ad alta velocità, aeroporti e grandi navi che sventrano valli, pianure e lagune. Ci muoviamo, riscaldiamo e refrigeriamo le nostre case per mezzo di combustibili fossili. Ci cibiamo di pizze condite con pomodori raccolti da migranti alloggiati nelle tendopoli di San Ferdinando, Campobello di Mazara, Gran Ghetto di San Severo. Ci vestiamo con indumenti confezionati nelle sweatshop, fabbriche globali di Phnom Penh, Chongqing, Dacca… (lo scorso anno sono stati importati in Europa 510 milioni di jeans - per dire!).“Trattiamo” decine di migliaia di schiave sessuali che allietano qualche milione di abituali stupratori paganti (leggere: Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione di Rachel Moran). Tutto ciò entra nel Pil e contribuisce al benessere degli italiani e del capitalismo nel mondo.
C’è una sorta di dissociazione nel modo di pensare anche tra le persone più a modo e socialmente impegnate. Naomi Klein parla di “dissonanza cognitiva”, di separazione tra ciò che sappiamo razionalmente e ciò che facciamo (N.Klein, In mondo in fiamme, contro il capitalismo per salvare il pianeta, Feltrinelli, 2019). Lo scrittore americano di successo Jonathan Safran Foer, autore di Possiamo salvare il mondo prima di cena (Guanda, 2019) ha detto che «si sanno tante cose ma non ci crediamo, siamo bombardati ogni giorno da ricerche scientifiche che provano l’impatto della super produzione alimentare o dell’uso degli aerei. Eppure non cambiamo le nostre abitudini, come se, in fondo, questi temi non ci riguardassero sul serio. Io credo che ci sia un problema di percezione» (intervista di Roberta Scorranese, "Corriere della Sera", 23/3/2020).

Anche nella cultura politica progressista di sinistra rimane la vecchia, cattiva abitudine di concepire il benessere materiale delle persone disgiuntamente dai mezzi e dai modi con cui lo ottengono. Prima viene il reddito, la retribuzione, il denaro, poi - forse - tutto il resto. Vecchio retaggio del “salario variabile indipendente” che avrebbe la forza in sé di scardinare le compatibilità del sistema e aprire la strada al pieno dispiegamento delle forze produttive. È stato detto molto giustamente da Sergio Bologna che uno dei limiti politici più gravi delle organizzazioni storiche del movimento operaio è stata «l’indifferenza dei lavoratori nei confronti dei valori d’uso da essi stessi prodotti». (Sergio Bologna in “Primo Maggio” del 1987, citato da Emanuele Leonardi nella introduzione a André Gorz, Ecologia e libertà). Si finisce così per accettare lavori privi di senso, di dignità, persino nocivi, semplicemente per ottenere un reddito. Si è rinunciato ad immaginare che l’esistenza potrebbe essere meglio garantita lavorando diversamente. Applicando le competenze e finalizzando il saper fare di ciascuno e ciascuna ad obiettivi di utilità sociale. Organizzando la cooperazione sociale in modo da soddisfare i propri bisogni e i desideri senza danneggiare nessun altro.
Non nego certo che i soldi contino per il nostro sostentamento. Un folgorante aforisma di Woody Allen dice: «I soldi non fanno la felicità. Figuriamoci la miseria!». È vero che siamo sempre più dipendenti dal denaro. Ma è proprio per questo motivo che diventiamo sempre più prigionieri di un sistema che ci è estraneo, fuori dal nostro controllo. Non sappiamo più autoprodurci un’insalata o un vestito, aggiustarci una bicicletta o costruire un giocattolo. Non abbiamo più il tempo per cucinare, per stare con i figli, per accudire i nostri vecchi. Guardiamo Masterchef, ma compriamo cibo precotto. Regaliamo di tutto, ma paghiamo babysitter e badanti. Senza denaro non campi! Oggi più di ieri, con lo smantellamento dei servizi di welfare universale, tutto è a pagamento.
Ma per il nostro benessere psicofisico conta anche come ci si procura il denaro necessario per vivere. Se per ottenerlo devi umiliarti, perdere il controllo delle tue azioni, stressarti, metterti in competizione con il tuo compagno di lavoro, ammalarti… qual è la contropartita che paghi in termini di perdita di autostima, realizzazione personale, sviluppo delle capacità affettive e creative? Se quei pochi soldi che riesci a racimolare li devi impegnare per pagare i debiti contratti a causa di un salario che non ti fa arrivare al fine mese, allora è chiaro che l’ansia generata dalla perdita di status diventa incupimento, infelicità, rancore, cattiveria. Diventiamo così facili prede degli imprenditori d’odio che occupano gli schermi e i social.
Il degrado dell’ambiente, delle condizioni sociali e psichiche sono facce dello stesso prisma. Conseguenze della perdita di senso cui è giunta l’azione umana dentro l’ordine delle cose e i rapporti sociali capitalistici. Claudia von Werlhof ci dice che il progetto distopico del «patriarcato moderno chiamato capitalismo», con il suo delirio di onnipotenza sulle forze della natura (il post e il tras-umanesimo), ci ha portati Nell’età del boomerang (Edizioni Unicopli, 2014), il tempo in cui cominciamo a pagare i debiti contratti con la natura e con le masse sterminate di persone escluse, scartate, inutilizzate, superflue, “fuori mercato”.
Credo quindi che sia venuto il momento di interrogarci francamente e apertamente sulle ragioni per cui tanti saggi ammonimenti (come quelli degli scienziati dell’Ipcc), tanti bei propositi (come quelli delle Agende dell’Onu), tanti accorati appelli (come quelli di papa Francesco) non stiano avendo alcuna incidenza nei programmi dei governi, nel mondo scientifico accademico e ancor meno nei grandi mezzi di comunicazione di massa. L’efficacia trasformativa di tanti movimenti dal basso, come quelli di Fridays for Future o Extinction Rebellion, per la conservazione dell’ambiente, contro le grandi opere inutili e dannose, la decrescita e molti altri ancora, dipenderà dalla risposta che sapranno dare a questa domanda.

2. Il clima bene comune

La guerra planetaria permanente per il controllo delle risorse (common pool resources ) comprende i combustibili fossili, i minerali, i materiali inerti, i metalli rari, l’acqua dolce, i suoli fertili, i semi, i genomi, i saperi accumulati dalle generazioni che ci hanno preceduto, le nuove conoscenze ed anche l’atmosfera. L’arma di distruzione di massa che i vecchi “poteri fossili” e il nuovo “capitalismo verde” stanno cinicamente usando per disciplinare l’umanità a loro piacimento è il clima. Con una mano lo compromettono alterando gli equilibri biogeofisici della biosfera fino a provocare immani catastrofi in molte parti del pianeta, con l’altra mano si propongono di riparare i danni con l’installazione di apparati tecnologici sempre più sofisticati, costosi, centralizzati e da loro stessi controllati. Da un lato mettono a fuoco il pianeta spaventando e colpendo le popolazioni ad iniziare da quelle più povere ed esposte agli effetti dei cambiamenti climatici, dall’altro impongono le contromisure a loro più utili al fine di mantenere il dominio su ogni tipo di attività umana. Offrono soluzioni che non guariscono il male profondo, ma lo ingegnerizzano, lo medicalizzano, lo istituzionalizzano.
La catastrofe ambientale diventa un business. La transizione attraverso la riconversione dal fossile al green - definita la terza o quarta rivoluzione industriale - è gestita dalle stesse centrali del grande capitale finanziario, nient’affatto indebolite dalla crisi del 2008. Per esse si tratta solo di spostare la puntata delle fiches da un tavolo da gioco ormai poco interessante ad un altro più promettente. Non dimentichiamoci che 24 tra banche, fondi di investimento e compagnie assicurative (tra cui JP Morgan, Citigroup, Bank of America) sono i principali finanziatori per 1.400 miliardi di dollari delle società petrolifere e produttrici del cambiamento climatico (Greenpeace, International-greenpeace_report_wef_2020_its-the-finance_sector_stupid.pdf). Il loro lento “disinvestimento” dall’industria del carbone e del petrolio e spostamento di interesse verso gli investimenti green friendly non deve stupire. Bill McKibben ha scritto: «Se il mondo dovesse compiere una svolta decisa verso l’energia eolica e solare (la JP Morgan Chase) presterebbe soldi anche alle aziende delle rinnovabili» (Bill McKibben, I padroni del clima, "The New Yorker", tradotto da Internazionale, 15 novembre 2019). In pratica, stanno pianificando l’appropriazione tramite spartizione, privatizzazione e messa a profitto dell’ultimo grande bene comune accessibile: l’atmosfera, comprendente - come vedremo - l’irradiazione solare e le onde elettromagnetiche cosmiche.

Il principale meccanismo tecnico-contabile che gli stati in accordo con la finanza si sono inventati per incorporare anche l’aria nei bilanci aziendali, si chiama ETS, Emission Trading System. È dal Protocollo di Kioto del 1997 che è in atto un tentativo per creare un mercato globale dei gas climalteranti. Come? Nel modo più semplice, autorizzandone l‘emissione! L’Europa sta facendo da apripista. Gli stati rilasciano alle imprese (gratuitamente o tramite aste pubbliche) quote di emissioni di biossido di carbonio (o CO2 equivalenti) che a loro volta le imprese possono utilizzare o rivendere ad altre imprese, in altri stati, comprarne di nuove, tesaurizzarle, cederle a istituti finanziari che le infilano in qualche titolo derivato e ne ricavano rendite. Così, quote di quell’aria fondamentali per qualsiasi forma di vita vengono sottratte, inquinate e trasformate in titoli di credito sui liberi mercati dei capitali finanziari. Lo scorso anno una tonnellata di CO2 valeva tra i 23,5 e i 25 euro nelle borse specializzate. In Europa tra il 2010 e il 2015 sono state vendute e comprate 480 miliardi di tonnellate di CO2 per un valore di 500 miliardi di euro. Ha scritto Angelo Richiello, un giornalista economico dell’Espresso: «Il mercato delle emissioni rende più di tutti, ovvero più delle azioni delle grandi compagnie petrolifere e minerarie» (A. Richiello, "L’Espresso" 30/12/2018). Grazie al mercato del carbonio l’inquinamento diventa un capitale investibile. Ha scritto un commentatore su un giornale autorevole: «C’è chi ritiene che permettere a chi inquina di ‘comprare’ i diritti a farlo dai Paesi virtuosi e meno sviluppati sia in fondo una forma di neocolonialismo». (Stefano Agnoli, Ma per la svolta servono Usa e Cina, "Corriere della Sera", 17 dicembre 2019). Ed è proprio così che la penso anch’io.
L’autorevole sito Climate Analytics ha scritto: «L'attuale azione globale per il clima è sostanzialmente in contrasto con l'obiettivo a lungo termine dell'accordo di Parigi di limitare il riscaldamento a meno di 1,5° C. Gli attuali contributi volontari di riduzione dei gas climalteranti determinati a livello nazionale (NDC) presentati dai Paesi porterebbero il mondo a un riscaldamento di circa 3° C entro il 2100, un livello di riscaldamento inconcepibile per i Paesi più vulnerabili. Per limitare il riscaldamento a 1,5° C, l'ambizione contenuta nei NDC deve raddoppiare». Ciò premesso lo scontro in corso tra gli stati che ha fatto naufragare la Cop 25 di Madrid e che tiene banco nei negoziati che dovranno portare alla Cop 26 a Glasgow (rinviata a data da destinarsi), riguarda proprio l’Art.6 dell’Accordo di Parigi del 2015 che pretendeva la attuazione dei contributi volontari di riduzione della CO2 attraverso meccanismi flessibili (C lean Development Mechanism CDM) ovvero un sistema di mercato che ha consentito ai paesi più ricchi di «compensare le loro emissioni in eccesso con riduzioni delle emissioni meno costose e più facili altrove». Ciò ha portato ad un accumulo di crediti autorizzati ( Certified Emissions Reductions CERs) ma non utilizzati in paesi quali la Cina, l’India e il Brasile. «I meccanismi di mercato - scrive Climate Analytics - esistenti ai sensi del protocollo di Kyoto hanno accumulato un'offerta disponibile di circa 4.65 Gt di compensazioni di CO2 per il carbonio. Se questi crediti dovessero essere ricollocati nei meccanismi previsti dall'articolo 6 dell'accordo di Parigi (…) potrebbe compromettere gravemente il conseguimento delle riduzioni promesse nell'ambito della prima serie di NDC». In conclusione: «I meccanismi di riporto esistenti nell'ambito del protocollo di Kyoto hanno già dimostrato di essere controproducenti rispetto a obiettivi di mitigazione potenziati: invece di stimolare una riduzione più profonda e più rapida delle emissioni, questi meccanismi hanno permesso ai governi di rimandare l'azione a quei settori che sono più difficili da decarbonizzare». ( https://climateanalytics.org/media/carry_over_ca_briefing_11dec2019.pdf).

In definitiva le complesse procedure di regolamentazione del mercato del carbonio, inventate a Kyoto 1997 e confermate a Parigi 2015 si sono rivelate un completo fallimento. L’idea perversa di base che guida le menti intossicate dalla ideologia liberomercatista dei nostri governanti e dei loro economisti di riferimento è che le imprese avrebbero convenienza a convertire i propri apparati produttivi con tecnologie meno impattanti piuttosto che dover acquisire sul mercato permessi di inquinamento. Un obiettivo che sarebbe più logico, semplice e giusto raggiungere imponendo una qualche forma di carbon tax sulle emissioni, anche su quelle incorporate nelle merci importate. Ma in questo mo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Ombre verdi
  3. Indice dei contenuti
  4. L'autore
  5. Introduzione
  6. 1. Che cosa possiamo fare?
  7. 2. Il clima bene comune
  8. 3. La guerra alla natura e ai poveri
  9. 4. La natura come capitale: c’è modo e modo di “fare i conti” con la natura
  10. 5. La finanziarizzazione del clima
  11. 6. Arrivano i soldi
  12. 7. Le contorsioni del capitalismo
  13. 8. Nella morsa tra globalizzazione e sovranismo
  14. 9. Decoupling magico
  15. 10. Fake Sustainability
  16. 11. Nella spirale dell’economicismo
  17. 12. Il falso mito del consumatore sovrano
  18. 13. L’Agenda 2030
  19. 14. The European Green Deal
  20. 15. La sfida al pensiero antieconomicista
  21. 16. Transitare: da dove a dove?
  22. 17. L’economia del buon vivere comune
  23. 18. I limiti dell’Accordo di Parigi, dell’Agenda 2030, della Laudato si’
  24. APPENDICE
  25. Il discorso di Severn Suzuki
  26. I Principi di Bali sulla giustizia climatica
  27. Manifesto Ecosocialista (2009)
  28. Bibliografia