Per tua norma e deroga
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E poi ci hanno dato la stella

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E poi ci hanno dato la stella

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Questo libro non l’ho proprio scritto io, si è un po’ scritto da solo. Era come avere una macchina fotografica, fare uno scatto ogni tanto senza mirare l’obiettivo e poi scoprire che ogni volta era rimasto impresso qualcosa di sorprendente. Ecco, a un certo punto mi sono messa a scrivere quello che era rimasto impresso. Di mio ho fatto qualche riflessione, ma pure quella, chissà, me l’avrà ispirata qualcuno.
Di sicuro, uno non si aspetta di trovarsi così spiazzato solo perché ha cambiato mestiere, passando a un altro che immaginava di conoscere. Ecco, la prima cosa che ho imparato è stata che ero scarsa d’immaginazione.”
Nadia Vidale è dirigente scolastico dal 2007. Nella sua prima vita ha scritto un libro sulle tecniche argomentative in Lucrezio; da quando è dirigente, le esercita con alterno successo. Dopo i retroscena dell’Esame di Stato, raccontati in Il tappeto e la polvere (2017), ne svela stavolta qualcuno della professione che svolge, riconoscente a quanti sorridono con lei delle comuni sventure, non rassegnata che le cose non possano migliorare.

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Informazioni

Editore
CLEUP
Anno
2020
ISBN
9788854952126
Per tua norma e deroga
La scuoletta aveva meno di seicento anime, ma allora sembravano tante, come sembrava circostanza grave e delicata la mancanza di un preside titolare dalla fine di marzo.
(È per via che la percezione risente dell’abitudine e, all’epoca, le scuole avevano normalmente il dirigente in sede, ogni giorno; quando non era così, si trattava di occasionali incombenze istituzionali sul territorio. Insomma, nelle scuole degli altri ci andava solo come ospite, per una conferenza, un incontro di rete…).
L’aggravarsi della malattia aveva costretto la dirigente a ritirarsi per un periodo breve, concluso tristemente che l’estate non era ancora alle porte, nella gelida sala congedo di un obitorio emiliano.
Gli insegnanti si chiedevano chi sarebbe arrivato al suo posto e nessuno aveva nemmeno un’ipotesi di risposta; esperienza che sarebbe, nel giro di alcuni anni, diventata comune a molti e la regola in numerose scuole: conoscere, agli inizi di settembre, un dirigente condiviso con altri, spesso malcontento della posizione o neofita del grado o del tipo di scuola, che a fine anno se ne andava oppure veniva confermato ma, di nuovo, per un anno solo. Le scuole dimenticavano la possibilità di pensare in grande, in termini di “sviluppo”, in assenza di chi avesse titolo a assumerne la responsabilità.
Mi presentai in piena estate, fresca di nomina, e fui accolta dal dirigente reggente e dai suoi collaboratori con un invito al bar e una visita a un laboratorio, quello nuovo di zecca; giustamente mi mostravano dolcezze e tesori, segno di buona accoglienza e auspicio di rapido coinvolgimento.
Mentre percorrevo i corridoi tra i banconi attrezzati, con insistenza mi chiedevo: “Cosa ci faccio qui?” e non solo perché lontana per formazione dal saper apprezzare la riduzione progressiva del diametro delle condotte aeree, ma perché sentivo che l’acquisizione diretta di responsabilità era un salto davvero molto grande – anche per me, che pure avevo lavorato per anni come vicepreside.
La mattina del mio primo giorno di servizio, una collaboratrice scolastica mi si avvicinò chiedendo come intendessi regolarmi sulle sette ore e dodici. Sette ore e dodici era un oggetto mai, fin lì, entrato nel mio orizzonte di vita; ora, vi faceva irruzione perché io lo definissi urgentemente. Ero consapevole che l’incapacità di una reazione pronta e competente stava forse rapidamente intaccando la mia affidabilità, ma non potevo farci nulla: non avevo la minima idea di che si trattasse. E non era che l’inizio.
Ho vissuto per un poco come Charlie Brown quando, al campeggio, si trova la testa infilata nel sacchetto del pane: viene appellato “Mister Sacco” e tutti mostrano di tenere in grande considerazione ogni suo perfino involontario pronunciamento. In effetti, la credibilità gli deriva dalla maschera che indossa suo malgrado e sarà irrimediabilmente perduta quando un soffio di vento, portandosi via il sacchetto, ne scoprirà la vera identità.
I primi mesi della dirigenza, in tutte le scuole, sono infatti una luna di miele, destinata a disfarsi sgocciolando a poco a poco, per lasciare finalmente intravedere magari un re Travicello, per cui qualcuno stravede fino a chiamarlo Sceriffo.
La macchina partirebbe anche senza di lui ma, visto che c’è, viene coinvolto e, anzi, tutti si aspettano che, siccome ha esibito la patente, abbia pure esperienza di guida e una chiara idea della direzione.
Ma un neodirigente non è poi così tanto preparato: improvvisamente a capo di un’organizzazione grande, sincronicamente molto complessa e, in prospettiva diacronica, piuttosto incerta, è diventato da un giorno all’altro la controparte del se stesso di ieri e di molti altri, alcuni con il suo stesso sentire, molti di più diversi e prima ignorati, tollerati, in cuor suo magari perfino detestati ma, da oggi, non più trascurabili.
Mi ero data come metodo di ascoltare tutti, con la maggiore disponibilità, prefiggendomi di capire bene, prima di assumere qualsiasi decisione. Questo sarebbe dovuto servire a raccogliere elementi, a far emergere, come si dice oggi, le “criticità”, a rilevare i punti di forza e alcune caratteristiche personali di cui avrei potuto tener conto in seguito. Speravo che un atteggiamento sinceramente benevolo e di ascolto attento avrebbe potuto farmi perdonare più facilmente l’ignoranza, o quantomeno la scarsa e comunque insufficiente conoscenza in quasi tutte le materie del lavoro quotidiano; speravo anche di poter farcire di contenuti veri, fossero pure ruvidi scivolosi scottanti delicati, le nozioni di studio, per sbagliare di meno quando si fosse trattato di decidere.
Io devo parlare con lei, dirigente. Devo dirle cose che ho già detto ai suoi tre colleghi, che l’hanno preceduta. No, non sono informazioni, è una lamentela, io però non ce l’ho con lei, sia ben chiaro, ci mancherebbe, ma spero di avere la sua comprensione. Io sono un insegnante e ho accettato, anni fa, di occuparmi del sito di Istituto. Sono ancora disposto a farlo, mi sono studiato pure la normativa sulla privacy, i miei colleghi mi passano gli avvisi le fotografie eccetera e io li inserisco. Però io credo che le pubblicazioni degli atti amministrativi sarebbe giusto che le facesse la segreteria. Ho insegnato una, due, tre volte come si fa, ma ogni volta mi telefonano e mi dicono che è in arrivo una mail con qualcosa che deve andare all’albo. Io lo faccio, ma secondo me non va bene. Dirigente, io non so come la pensi, ma secondo me questo è un problema…
Cominciamo a prendere appunti! Devo o no preparare la direttiva per il Direttore dei servizi, che è il capo del personale amministrativo? È necessario che il personale di segreteria sia autonomo nelle pubblicazioni sul sito; il Direttore sarà responsabile dei contenuti pubblicati.
Io devo parlare con lei, dirigente. Devo dirle cose che ho già detto ai suoi tre colleghi, che l’hanno preceduta. No, non sono informazioni, è una lamentela, io però non ce l’ho con lei, sia ben chiaro, ci mancherebbe, ma spero di avere la sua comprensione. Tanti anni fa, mi è successo all’improvviso che non ci ho visto più; no, non è che sono andato in escandescenze, non ci ho visto più davvero, vedevo solo mezzo registro. Sono andato subito al Pronto Soccorso, perdoni ma devo raccontare tutta la storia, che è molto lunga. Io devo avere riconosciuta l’inidoneità al servizio, che mi è stata negata, perciò ora spero nel suo aiuto. Intanto devo per forza venire a scuola, ma capisce in che situazione mi trovo: verrò con la mascherina contro la polvere, perché ho l’allergia.
La dirigente impressionata chiede all’ufficio personale di visionare il fascicolo del questuante e, aperta la semplice cartellina in cartoncino senza nemmeno un elastico di chiusura, comincia a ricostruirne la faticosa storia clinica: oltre alla congiuntivite, vi è documentata con cura ogni sorta di patologia che consenta l’assenza per motivi di salute e tutto ciò sta in un armadio che si apre appena spostando l’anta.
Proseguiamo a prendere appunti, Approfondire il caso del prof che chiede aiuto per ottenere l’inidoneità per causa di servizio; verificare che le condizioni del posto di lavoro non ne mettano a repentaglio la salute; aggiungere nella direttiva al Direttore dei Servizi che deve far chiudere gli armadi a chiave.
Io devo parlare con lei, dirigente. Vengo solo a salutarla, le do il benvenuto a nome dell’Ente locale, io sono l’incaricato all’edilizia scolastica. È giovane, le faccio i migliori auguri: i suoi tre predecessori sono tutti morti.
L’elenco degli appunti si allunga a velocità folle, ogni volta che la porta si apre consegna una riga almeno da aggiungere e lo stesso accade quando squilla il telefono. Se noia è il protrarsi a lungo di uno stato uniforme, ecco, un dirigente scolastico non si annoia mai.
Mi telefona un collega anche lui alla prima esperienza, in cerca di conforto. Di più, non gli posso dare.
La situazione della segreteria mi era stata anticipata come molto preoccupante. Due impiegati sono sordomuti. Uno si è scelto come mansione, in incontestata autonomia, quella di addetto alla Protezione civile. Tiene un librone aggiornatissimo e segreto in cui scrive cose del tipo: Gli studenti 5° A rimangono in classe la 5° ora, manca la professoressa che è uscita perché pensava ci fosse una scossa di terremoto; oppure: Ieri mattina c’era la bandiera della Regione Veneto; dopo le ore 13,30 la bandiera non c’era più; o anche: Prima ora, aula 121 classe 5° B, prof.ssa assente, manca sorveglianza.
Il secondo è sempre al bar col telefonino o fuori a fumare. Nella scuola precedente aveva imparato a inserire i dati degli alunni nel loro gestionale, che purtroppo è diverso dal nostro. L’impiegata della didattica glielo potrebbe anche insegnare, ma non vuole insegnare niente a nessuno perché, dice, è già lei in ritardo con tutto.
Un altro impiegato è già a casa da ieri, Si agita quando in segreteria c’è troppa gente.
Almeno in ufficio didattica la persona è brava e solerte e si porta anche il lavoro a casa, dove poi suo marito l’aiuta.
Il Direttore vorrebbe che il secondo sordomuto imparasse a gestire il magazzino, ma sembra che il magazzino sia un casino totale, solo l’impiegato che se ne occupa sa dove trovare la roba nel posto in cui lui stesso l’ha messa e si dubita che possa insegnare qualcosa all’altro, se non la cattiva strada intrapresa. Io non so da dove cominciare.
Viene da chiedersi come faccia a reggersi una struttura così, e infatti forse non regge. Se si passassero al setaccio tutte le procedure delle segreterie, si scoprirebbero immense voragini di lavoro non svolto o svolto male: Facevamo le determine dirigenziali prima che arrivasse il preside nuovo, poi abbiamo smesso. Negli ultimi anni, le incombenze sono aumentate e il personale diminuito e si paga inoltre la presenza di incapaci o pocofacenti.
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Il vicepreside, che già lo era del preside di prima e da cui il neodirigente dipende per quasi tutto – archivio dei verbali, prassi dell’Istituto, chiave per la macchinetta del caffè – mi viene a prendere per una breve pausa: “Facciamo due passi nel plesso qui davanti!”.
Usciamo che suona la campanella; suona a ogni ora, anche se è il primo settembre, elettronicamente inconsapevole di non servire a nessuno. Attraversiamo il profondo cortile e, appena messo piede nell’atrio dell’altro edificio, squilla di nuovo. Il mio accompagnatore mi spiega che, nei due edifici, le campane suonano l’uscita a tre minuti di distanza, così i ragazzi correndo fuori non si accalcano troppo ai cancelli. Il neodirigente annota mentalmente, alla voce “prassi dell’Istituto”: Uniformare la durata delle lezioni e azzarda: “Potrebbero uscire ordinatamente…” Il vicepreside mi rivolge uno sguardo rapido e comprensivo, l’ipotesi irreale non merita replica: “Venga, l’accompagno nei laboratori!”.
La visita fu lunghissima e indolore, non incontravamo che qualche ausiliario annoiato intento a giocare con il telefonino, che si rassettava appena un po’ per le presentazioni e mi portava in giro a illustrarmi oggetti sconosciuti che ...

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  2. L’autrice