La fortuna aiuta gli audaci
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La fortuna aiuta gli audaci

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Informazioni sul libro

La fortuna non esiste! Semmai è una conseguenza della nostra capacità di osare, di investire su noi stessi, sulle nostre abilità e quindi di essere audaci. Attraverso il coaching puoi acquisire un metodo preciso e ragionato per sviluppare quella mentalità imprenditoriale necessaria a raggiungere i tuoi obiettivi personali e professionali.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788869393174

Capitolo 1

IO, DANIELE

Raccontare di sé non è mai facile, eppure ci sono esperienze che possono essere di aiuto ad altri e che, anche soltanto per questa ragione, meritano di essere narrate. Questo è ciò che mi ha portato a scrivere, a riportare su carta un pezzetto di vita, traguardi e delusioni, fatiche e sorrisi, tutti elementi che, nel bene e nel male, hanno fatto di me ciò che sono oggi.
Partiamo dall’inizio. Sono il quarto di sei fratelli, per la precisione quattro maschi e due femmine. Svolgo da molti anni l’attività di agente di commercio per un’azienda che si occupa di sicurezza nei luoghi di lavoro e da poco gestisco anche, con buoni risultati, un’impresa edile, impegno, questo, arrivato quasi per gioco grazie a conoscenze maturate nel tempo. Un giorno, un impresario edile mi contattò perché aveva necessità di acquistare presidi legati alla sicurezza; parlando, nacque in lui l’esigenza di dare una spinta alla propria attività. Per farla breve, in pochissimo tempo sono riuscito ad aiutarlo a concretizzare importanti contratti sia nel settore privato sia pubblico, rivitalizzando la sua impresa.
Pratica dopo pratica ho potuto mettere da parte sufficiente denaro per acquistare un casale in campagna e ristrutturarlo. Partendo da zero, senza alcun aiuto da parte di genitori o parenti, ho vinto non soltanto la scommessa con l’imprenditore, ma soprattutto con me stesso.
Ti ho raccontato tutto questo, seppur brevemente, non per vanto, ma per farti capire che se ci sono riuscito io, possono farlo tutti. Attenzione, non è una frase fatta per venderti qualcosa, dietro questa dichiarazione non si cela neppure qualche occulta operazione di marketing, quanto piuttosto la constatazione che, se lavori duro e hai ben chiari gli obiettivi che vuoi raggiungere, tutto sarà possibile.
Non sono un genio, mi definisco una persona comune, probabilmente qualcuno direbbe persino che sono cocciuto, perché applico i miei tempi (non sempre rapidi) alla comprensione delle cose.
Eppure, fino a qualche anno fa disponevo soltanto della licenza di terza media, il diploma è storia recente. Ma non ho conseguito la maturità perché quel foglio di carta mi servisse sul lavoro o per arrivare dove sono oggi, ma perché lo desideravo. Per me era un obiettivo importante da raggiungere, anche se a qualcuno potrebbe sembrare fine a se stesso. In fondo, se ci pensi, non sono pochi gli imprenditori che hanno creato un impero avendo appena la terza elementare.
Mi sono sposato cinque anni fa con Patrizia, donna straordinaria così come la nostra Melissa, figlia di mia moglie ma che sento mia a tutti gli effetti. È cresciuta con me da quando aveva un anno e la amo come nessun altro; per lei sono una figura di riferimento, mi vuole un gran bene! Probabilmente questa frase l’avrai già sentita una infinita quantità di volte, tutti la dicono per far bella figura davanti alla propria donna e, in questo caso, devo ammettere che rientra in pieno nello stereotipo.
Prima di incontrare Patrizia avevo sempre creduto che non mi sarei mai sposato, ma proprio mai, infatti facevo della libertà il mio baluardo. A un tratto ho “deciso” di fare questo passo importante, stravolgendo convinzioni, credenze e quell’ideale di vita che improvvisamente non mi apparteneva più, che non mi dava più la stessa felicità che mi aveva guidato e sostenuto negli anni addietro.
Ho parlato volutamente di decisione, perché a fare quella scelta non è stato nessun altro, nessuno che mi abbia spinto o condizionato a sposarmi; l’ho maturata io consapevolmente.
Una caratteristica che mi contraddistingue è proprio quella di aver sempre preso da solo le mie decisioni, nel lavoro e nella vita in generale. Nel bene e nel male mi sono sempre assunto le mie responsabilità. Questo non vuol dire che non ho mai sbagliato, anzi. Di errori ce ne sono stati tanti e ce ne saranno sempre, ma s’impara quando si sbaglia, non di certo non facendo niente e aggrappandosi all’immobilismo o delegando ad altri la direzione della propria volontà.

MAI ABBATTERSI DAVANTI AGLI ERRORI

“Sbagliando s’impara” non è soltanto un vecchio proverbio o una frase consolatoria, l’insuccesso può effettivamente essere un utile momento di crescita e di apprendimento.
Un errore che spesso ho visto fare è quello di pensare che, quando si è di fronte a un obiettivo, occorra scegliere fra due strade diverse: una costellata solo di successi e soddisfazioni e l’altra disseminata esclusivamente di fallimenti e di errori. Nella realtà non è mai così e, per giungere al successo, occorre superare una serie di ostacoli e di difficoltà. Ed è soltanto affrontando e superando tali impedimenti che si può raggiungere la meta prefissata. Come sostiene l’allenatore di football americano Vince Thomas Lombardi, “il maggior successo non consiste nel non cadere mai, ma nel rialzarsi dopo ogni caduta”.
Evitare gli errori è piuttosto improbabile, ma essi possono essere trasformati in momenti costruttivi che aiutano a crescere e permettono di fare un passo in più verso la meta. Sono spesso gli insuccessi a determinare un cambiamento e il desiderio di percorrere nuove strade, ma se vuoi imparare, occorre che questi errori siano tuoi, che siano la conseguenza di tue decisioni e non di attività delegate ad altri. Sei d’accordo con me? Sarà difficile, altrimenti, trovare soluzioni a decisioni sbagliate demandate ad altri, e puntare il dito contro chi ha agito erroneamente, non ti farà di certo onore e, soprattutto, non ti porterà lontano.
Con questo non voglio dire che non sia giusto confrontarsi con altre persone, anzi, per prendere decisioni efficaci occorre valutare e studiare azioni alternative e le loro singole conseguenze, soppesare ogni pro e contro. Ma alla fine, la scelta spetterà comunque a te.
Fin dall’infanzia, o meglio da quando ho memoria, la mia esistenza non è stata delle più facili. Avere sei figli da crescere può essere arduo per ogni genitore, ancor più per i miei, considerando che lavorava solo il babbo. Mia mamma si chiamava Anna ed era una donna eccezionale, sempre pronta ad aiutare gli altri e a prodigarsi per chiunque: la sua missione era di supportare il prossimo in ogni modo possibile ed è questo che ha insegnato e trasmesso a noi figli.
Era brava ad ascoltare, non semplicemente a “sentire”, e dedicava tempo, attenzione e sincera curiosità a chiunque si rivolgesse a lei. Ricordo che per essere vicina a tutti, seppure geograficamente distante, trascorreva molto tempo al telefono. Ed era molto vicina a chi soffriva proprio perché conosceva il dolore e la malattia, avendo dovuto conviverci fin dalla più giovane età. Nonostante questo, ha avuto il coraggio e la forza di mettere al mondo sei figli, e di farci crescere nel migliore dei modi possibili seppure con pochi soldi a disposizione. Cercava di non farci mancare mai niente, ovviamente nei limiti del possibile, ma comunque sempre con il sorriso e senza mai, sottolineo mai, abbattersi; era una miniera di risorse che riusciva a fare magie con pochi spiccioli.
All’età di 11 anni, io ne avevo 8, uno dei miei fratelli maggiori contrasse una rarissima malattia al fegato e, dalla sera alla mattina, se ne andò. Un ricordo che mi è rimasto impresso è lui all’interno della bara, inspiegabilmente sorridente, il volto sereno. È innegabile, questa improvvisa perdita destabilizzò tutti noi, in particolar modo mia madre che, per metabolizzare quella scomparsa, ci mise veramente molto tempo.
Fino ad allora avevamo abitato ad Albano Laziale; dopo ci trasferimmo nel comune di Campagnatico in Toscana, anche perché mio padre aveva cambiato lavoro. Questo cambiò anche la nostra vita e la nostra routine, giacché dalla città, con tutti i suoi pro e contro ma indubbiamente con molte comodità a portata di mano, ci ritrovammo in aperta campagna, con l’abitazione più vicina a circa 700 metri e il primo centro abitato a cinque chilometri.

MATRIOSKA

Una landa, quella di Campagnatico, che vista da fuori appare ancora oggi come una matrioska, una bambola che al proprio interno ne nasconde altre, identiche ma più piccole, non visibili al viaggiatore distratto. I luoghi, ho imparato, sono soltanto spazi da attraversare per arrivare da un’altra parte o, nel migliore dei casi, palazzi e quartieri che fanno stupire i turisti per bellezza e storia. Pezzi di qualcosa, fazzoletti di terra che possono apparire tutti uguali. Il luogo nel quale si è vissuto ha un paio di peculiarità in più: il tempo e le storie. Vivendo nel tempo, lo spazio si riempie di accadimenti, come quelli che sto srotolando, pescando nella memoria, adesso, per voi. Perché di storia, forse, ancora non si può parlare. E a vederlo in questo modo, quello spazio toscano non è più solo un luogo, ma anche le cose che in quel luogo sono accadute. Ed è quando si passa oltre gli accadimenti che questi possono essere raccontati. I luoghi, come scrive Ascanio Celestini, “sono libri pieni di pagine bianche che con il tempo si riempiono di parole e di disegni”.
In quella landa spartana dovetti ricominciare da capo, riorganizzare le mie abitudini e fare nuove conoscenze. All’inizio fu molto difficile adattarmi, perché come accade ancora oggi, c’erano compagni meno solidali e meno amichevoli di altri, talvolta vendicativi, che facevano di tutto per umiliarmi. Mi ripetevo: “Daniele, dove ci sono degli esseri umani, c’è sempre una possibilità di creare relazioni, basta avere coraggio e curiosità”. Essendo molto permaloso ci rimanevo male, mi chiedevo la ragione dei loro comportamenti, soprattutto perché non ne trovavo. E una delle lezioni che imparai fu che “la stupidità umana non ha limiti”.
Ma non era che l’inizio. A pochi mesi dal termine della quinta elementare, a causa di litigi in famiglia mi ritrovai, con le mie sorelle, a casa dei nonni materni a Firenze. Lì trascorsi tutto l’anno scolastico, il primo ciclo di studi delle medie, quindi a dover affrontare ulteriori nuove amicizie e regole. È stata dura, non posso negarlo, ma ho sempre trovato il modo di adeguarmi e di superare le difficoltà che via via si palesavano. Terminato l’anno scolastico, ritornammo a casa in campagna, dove proseguii gli studi, seppur con esito altalenante, infatti sono stato bocciato in seconda media.
Risultato, quello scolastico, quasi scontato, perché ogni mattina, prima di andare a scuola, era mio dovere provvedere agli animali, operazione che si ripeteva anche la sera, per non parlare delle estati trascorse a casa (i miei non potevano permettersi di pagarci le vacanze) a lavorare la terra del nonno, dividendomi fra la vigna e le attività che un casale richiedeva; insomma c’era sempre molto da fare!
In giovane età, me ne rendo conto solo oggi, avevo già capito tante cose. Come, per esempio, che per ottenere quello che desideravo mi sarei dovuto impegnare molto, certamente più degli altri. Percepivo, respiravo, masticavo profondamente quella fatica. Ci sono vissuti difficili da dimenticare. Per me era difficile perfino credere nei sogni. Era molto più facile uscire e passeggiare soffermandomi sulle diversità. Ogni rinuncia, ogni lacrima era in qualche modo un insegnamento: nella vita mi sarei dovuto impegnare straordinariamente per ottenere quello che volevo, cioè entrare in un flusso di abbondanza a tutto tondo. Ecco perché non c’è giorno in cui io non ce la metta tutta per raggiungere i miei sogni.
Gli anni sono passati via rapidi e talvolta ingrati, ma c’è una frase di Alessandro Baricco che più di altre mi ha sempre sostenuto: “Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto oppure anni e poi la vita risponde”. Una parte di me sapeva che dietro quei sacrifici non c’era il caso, non era la sfortuna che mi stava giocando un brutto scherzo. Semplicemente era una sorta di praticantato, una palestra che mi avrebbe aiutato ad affrontare al meglio la vita da adulto. E oggi, quelle cose che accadevano spezzandomi il fiato, sono risposte. Le umiliazioni, le difficoltà e gli accadimenti infausti allenavano la mia resilienza, la mia capacità di far fronte in maniera positiva a eventi negativi, di riorganizzare la mia vita, di ricostruirmi restando sensibile alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la mia identità.
Insomma, ho sempre trovato il modo per allinearmi alla situazione, per poi cambiarla pian piano e farmela amica. E ora sono qui, felice di ritornare ogni sera in questa casa, fra le persone che amo e che mi amano. Ho un lavoro che mi sta regalando soddisfazioni inimmaginabili fino a qualche anno fa, come per esempio la possibilità di esprimere me stesso grazie a collaborazioni che nascono con rapidità, con gli amici che mi sostengono e la libertà finanziaria che mi permette non soltanto di stare bene economicamente, ma soprattutto di soddisfare un altro mio bisogno profondo: quello di aiutare gli altri. Perché la vera ricchezza (sia di portafoglio sia d’animo) è quella di dare. Potere e successo non derivano soltanto da elementi materiali, per quante cose possediamo non bastano comunque mai. Se invece impariamo a donare per libera scelta, riceveremo una soddisfazione intima e duratura, perché risponde alla nostra più profonda necessità di sentirci utili e connessi agli altri. E perché ci fa stare bene. Semplicemente.
Ora che, seppur brevemente, ti ho raccontato la mia storia, lascia che ti accompagni in un mondo che nessuno potrà portarci via, un mondo che si chiama vita.
Che il viaggio abbia inizio…

Capitolo 2

IL BARBIERE, IL PARADOSSO E LA FORTUNA

PENSIERI LENTI E PENSIERI VELOCI

Molte persone hanno una grande certezza: se tutto va male, è colpa della sfortuna, oppure è colpa di altre persone, in ogni caso, la colpa non sarà mai da imputare a loro. Questo comportamento è molto più comune di quanto si pensi. Seppure con grado diverso, siamo tutti sensibili ai vizi e agli errori degli altri, ma molto meno ai nostri. Per inquadrare al meglio il problema, questa è una delle numerose trappole mentali di cui siamo vittime, proprio perché esseri umani mai esclusivamente razionali.
Le trappole mentali sono modi errati che abbiamo di processare le informazioni: sono, cioè, cattive interpretazioni di quello che ci accade intorno. Ognuno di noi è, infatti, costantemente impegnato ad attribuire significati agli eventi della vita e da questa interpretazione rimangono influenzate le nostre reazioni emotive e i nostri comportamenti.
Il concetto, introdotto intorno agli anni ’70 dagli psicologi Daniel Kahneman (premio Nobel per l’economia nel 2002) e Amos Tversky, descrive il modo in cui i pregiudizi innati o acquisiti influenzano in modo errato l’interpretazione della realtà che ci circonda e come, da questa interpretazione, sbagliamo a prendere decisioni. Ognuno di noi, benché pensi di poter valutare in modo oggettivo ciò che gli accade, vede in realtà le cose in modo diverso in base a preconcetti, educazione, esperienze, fattori ambientali e sociali. Se così non fosse, il cervello avrebbe bisogno di tantissimo tempo per processare le innumerevoli informazioni con cui viene costantemente in contatto e per agire di conseguenza. Ognuno di noi prende in media 35.000 decisioni ogni giorno e la maggior parte di queste sono involontarie. Solo una minima parte di esse, infatti, è rilevante e può influenzare il nostro futuro.
La capacità di prendere buone decisioni, purtroppo, non è innata. 50 anni di ricerca nel campo delle Scienze della decisione hanno dimostrato che, quando ci troviamo davanti a una decisione, siamo tutti soggetti a “trappole” cognitive e motivazionali, note anche come deviazioni sistematiche dal comportamento perfettamente razionale. Normalmente, per esempio, scegliere che scarpe indossare per andare al lavoro non è così importante, lo diventa il giorno in cui si ha un colloquio con un dirigente per una promozione. Secondo come siamo vestiti, comunichiamo sicurezza, bisogno di approvazione o altro. Quale impressione voglio dare? Che immagine di me desidero mostrare? In questo caso si tratta di una decisione strategica.
Da parte loro, le trappole mentali permettono al cervello di operare velocemente quando abbiamo bisogno di fare una scelta e di risparmiare energie che l’attivazione della parte razionale richiede, come, appunto, scegliere quali scarpe indossare in situazioni di routine.
Per capire meglio che cosa accade, dobbiamo immaginare il nostro cervello come costituito da due diverse modalità di pensiero: una lenta e una veloce. Il sistema veloce (il così detto cervello irrazionale ed emotivo) opera in fretta, in modo automatico, con poco o nessuno sforzo o senso di controllo volontario. Alcune tra le attività automatiche che gli sono attribuite sono, per esempio, notare che un oggetto è più lontano di un altro, fare l’espressione disgustata di fronte a un’immagine raccapricciante, rispondere a quanto fa 3+3, guidare la macchina lungo una strada deserta, capire frasi semplici. Il sistema lento (il cervello raziona...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Prefazione di Roberto Cerè
  5. Introduzione
  6. Capitolo 1 - Io, Daniele
  7. Capitolo 2 - Il barbiere, il paradosso e la fortuna
  8. Capitolo 3 - Re, un giorno nella vita, lo siamo tutti
  9. Capitolo 4 - Tutto sembra impossibile fino a che non viene realizzato
  10. Capitolo 5 - La fortuna aiuta gli audaci
  11. Capitolo 6 - Gli obiettivi intelligenti
  12. Capitolo 7 - Dal dire al fare: il piano d’azione
  13. Conclusione
  14. Bibliografia
  15. Ringraziamenti