PARTE PRIMA
Tecniche di sopravvivenza
Le dieci regole per salvare la pelle
Essere donna nel mondo del lavoro è un lavoro di per sé. Lo era ieri, lo è oggi. Per fare in modo che non lo sia sempre, è utile che le donne imparino le regole base di sopravvivenza in un ambiente creato e, nella maggior parte dei casi, dominato dagli uomini. Lo scopo della parte prima del libro è aiutarti a trovare senso della direzione, autostima, equilibrio e forza, e di trasmetterti alcuni accorgimenti fondamentali.
Innanzitutto è necessario che ti dedichi alla conoscenza di te perché è inutile parlare di come fare carriera se prima non hai trovato il tuo centro e non hai deciso di rispettare i tuoi desideri e le tue aspirazioni.
In secondo luogo, devi conoscere i tuoi nemici. Che, ormai, più che dalle palesi discriminazioni sono rappresentati dagli stereotipi e da una serie di fattori che io chiamo i “doppi”. Gli stereotipi femminili propongono alle donne modelli di comportamento che non permettono di competere alla pari con l’altro genere. I “doppi” (un’espressione che gioca sulle diverse accezioni del termine) sono i doppi vincoli, cioè vincoli tra loro incompatibili, tra cui noi donne dobbiamo giocoforza destreggiarci; i doppi standard, ossia gli standard di comportamento diversi per noi e per il genere maschile, e i doppi sforzi e carichi di responsabilità che ancora oggi ci toccano.
Quindi imparerai a coltivare l’autostima, una norma basilare per la sopravvivenza perché alcune situazioni nel mondo del lavoro sembrano fatte apposta per demolirla e, se non si resiste, è finita.
A questo punto devi capire bene le regole del gioco e il linguaggio in uso nel mondo del lavoro. Non dare per scontato di conoscerli, perché l’evidenza dimostra che noi donne scendiamo in campo pensando di dover giocare a calcio mentre gli uomini sono pronti per una partita di rugby. Per quanto riguarda il linguaggio, il nostro modo di esprimerci è diverso da quello che usa e capisce la maggior parte di loro. E a proposito di questo, considerata la maggiore facilità che abbiamo nell’apprendere le lingue straniere, il mio consiglio è di arrivare rapidamente al bilinguismo.
Un’altra regola fondamentale tratta di una relazione particolarmente importante per la tua carriera: quella con il tuo capo. Una persona che non deve necessariamente essere vista come un role model, né che sei obbligata a stimare, ma che non puoi permetterti di ignorare. Il capo va gestito.
Poi c’è lo stress, che deve essere tenuto a bada perché rovina la salute, fa commettere stupidaggini e impedisce di brillare. E, sì, c’è anche l’ottimismo: oltre a essere un fattore di successo straordinario, è un antidoto contro le inevitabili battute d’arresto e le frustrazioni che qualsiasi carriera riserva. La buona notizia è che si può imparare.
E, per finire, l’antifragilità. È un concetto abbastanza nuovo, introdotto dallo scrittore e saggista Nassim Taleb, che prendo in prestito adattandolo al caso nostro. L’antifragilità è la proprietà di chi trae beneficio dalle difficoltà dell’ambiente in cui si trova. Noi donne di difficoltà nel lavoro ne affrontiamo mediamente tante e, per quel che vedo, siamo anche brave a cavarcela. Credo che il percorso a ostacoli che ci ha portato dove siamo arrivate ci abbia insegnato l’antifragilità: ora dobbiamo solo imparare a riconoscerla e valorizzare le nostre competenze.
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Sii fedele a te stessa
Sara, trentasette anni, lavora per una nota banca d’affari. Racconta: “Dopo il liceo classico, l’unica scuola superiore presa in considerazione dalla mia famiglia, avrei voluto iscrivermi a filosofia. Idea subito liquidata da mio padre, che definì la facoltà un ‘parcheggio di futuri disoccupati’. Così mi iscrissi a ingegneria gestionale laureandomi in corso e con 110. A quel punto non fu difficile trovare un lavoro: ricevetti molte offerte e scelsi la multinazionale che tutti mi consigliavano e che mi permetteva di fare un’esperienza all’estero. Dopo tre anni, il solito coro di tifosi mi suggerì un master in business administration e venni ammessa all’INSEAD, la prestigiosa business school europea”.
Fa una pausa e sorride. “Detto così, viene voglia di prendermi a schiaffi, vero? Tutto facile e senza sforzo, ma anche senza idee chiare.” Poi prosegue: “La crisi è iniziata con i colloqui di lavoro alla fine del master. Tra le varie opportunità, la migliore era quella offerta da una banca d’affari: ottimo stipendio, benefit, colleghi stimolanti e prospettive di carriera. Stranamente, però, non provavo alcun entusiasmo e continuavo a guardarmi intorno. Ho partecipato anche alle selezioni di un’organizzazione non profit che si occupa di diritti dell’infanzia. Mi offrono il posto: lo stipendio è un quarto di quello della banca, senza vantaggi né possibilità di crescita. Vorrei accettare e ne parlo con un paio di amici: ‘E se facessi questa pazzia?’ butto là timidamente. Quelli mi gelano: ‘Appunto, è una pazzia. Lascia perdere’”.
Sospira: “Mi è mancato il coraggio. Fino a quel momento non avevo scelto nulla e forse la capacità di decidere, se non la usi, si atrofizza. Ho accettato l’offerta della banca. Il lavoro mi è sempre andato bene, non mi lamento, ma faccio fatica a reprimere la mia insoddisfazione. Poi c’è stato l’episodio dell’altra sera. La mia azienda ha sponsorizzato una cena di raccolta fondi proprio a favore dell’organizzazione per cui volevo lavorare... quando si dice le coincidenze. Durante la serata i loro rappresentanti hanno parlato con entusiasmo delle attività che svolgono sul campo e dei risultati ottenuti. Li ho ammirati e mi sono sentita dalla parte sbagliata. Continuo a pensarci e non so cosa fare”.
Trovarsi nella situazione di Sara non è così insolito, tante persone imboccano una strada che non hanno scelto, compiendo il passo più “ragionevole” anziché quello più naturale. Alcune ritengono di dover “cogliere l’opportunità” perché dà gratificazione immediata e sembra una scorciatoia per il successo; altre pensano di potersi concedere un piccolo compromesso iniziale ma poi non riescono più a tornare indietro. E alla fine molte si ritrovano insoddisfatte perché capiscono che la vetta che hanno scalato non era la loro meta. Ma è possibile perseguire successo e felicità contemporaneamente? Io credo di sì, se rimani fedele a te stessa.
DI COSA STIAMO PARLANDO
Nell’Amleto di Shakespeare è descritto il congedo di Polonio dal figlio Laerte in partenza per la Francia alla volta di Parigi. Sollecitandolo a salpare velocemente (“Ancora qui Laerte? A bordo, a bordo! Vergogna! Il vento soffia già nelle vele e ti attende”), gli rivolge alcune raccomandazioni sperando che lo guidino in un luogo non privo di tentazioni e pericoli come allora era considerata la capitale francese. Da buon padre, capisce che servono princìpi generali perché le situazioni che il figlio affronterà sono ignote ed è impossibile, e inutile, cercare di prevederle tutte. Il breve discorso si conclude con l’esortazione più importante: “E infine sii fedele a te stesso; dal che deve seguire, come la notte al giorno, che tu non potrai essere falso con nessuno”.
Essere fedele a te stessa ti farà da bussola orientandoti nelle scelte importanti e ti permetterà di non sentirti mai straniera nella tua vita. Per me, questa espressione ha due significati:
1. Scopri ciò a cui tieni veramente. Capire cosa è davvero importante per noi stesse non è una questione così semplice. Per aiutare i suoi studenti in questa ricerca, Clayton Christensen, docente di business administration alla Harvard Business School, pone loro una semplice e potente domanda: “How Will You Measure Your Life?” ovvero: “Come misurerai la tua vita?”. Pensaci: tu che metro userai, alla fine dell’esistenza, per decidere se ti sei realizzata? Userai il successo economico o la famiglia? Le amicizie o l’esempio che hai dato agli altri? Il tuo contributo alla comunità? Oppure un misto di questi criteri? Cosa ti permetterà di dire “missione compiuta”? Per capire cosa ti sta veramente a cuore, insomma, devi partire dalla fine.
2. Metti ciò a cui tieni al centro della tua vita. Un’infermiera australiana, Bronnie Ware, che per anni ha lavorato con pazienti terminali, ha pubblicato un libro sui rimpianti più comuni che le persone hanno alla fine dell’esistenza. Eccoli, in ordine crescente di frequenza:
- Non aver avuto il coraggio di vivere la vita che desideravo, aver messo da parte i miei sogni e le cose in cui credevo.
- Aver lavorato troppo, trascurando la famiglia.
- Non aver avuto il coraggio di esprimere ciò che provavo.
- Aver trascurato gli amici, non avere dedicato abbastanza energia e tempo alle amicizie.
- Non aver permesso a me stesso di essere felice.
È facile trovare il filo comune di questi rimpianti: qualcosa di importante non ha avuto lo spazio che meritava. Ecco, per non scoprirlo quando è troppo tardi, è utile chiedersi: Quali sono i rimpianti che non voglio assolutamente avere? La risposta ti aiuterà a mettere al centro della tua vita quello che per te conta.
PERCHÉ TI INTERESSA
Ti ricordi lo spirografo? È quell’aggeggio, un tempo molto popolare tra i bambini, che si usava per eseguire complicati e bellissimi disegni geometrici: facendo scorrere la penna nelle guide si potevano produrre figure perfettamente simmetriche intorno a un centro. Una vita che non parte dai nostri valori bensì da un “punto fermo” codificato da altri è così: un disegno perfetto con la cosa sbagliata al centro. Essere fedele a te stessa ti aiuta a trovare la tua centratura e ad avere più successo per due ragioni.
1. Se fai ciò a cui dai valore, sei più felice. Joanna Barsh, studiosa di leadership femminile, nel suo libro How Remarkable Women Lead elenca tre strade per essere felici. La più rapida ed effimera è il piacere (come gustarsi una scatola di cioccolatini: una volta finito il cioccolato, finisce anche il godimento); la seconda è il coinvolgimento in qualcosa che ci piace e ci assorbe completamente (ma come una bella vacanza, dopo un po’ svanisce anche il ricordo); la terza è “trovare significato”: cioè fare qualcosa che ci coinvolge in modo profondo e a cui diamo un senso trascendente e duraturo perché ci crediamo. Secondo Barsh, in particolare per noi donne, questa è la chiave della felicità.
2. Se fai ciò che ti piace, rendi di più. Steve Jobs nel suo famoso discorso ai laureandi di Stanford disse: “(...) l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi; come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato appena ce l’avrete davanti”.
Ci sono vari spunti importanti. Jobs dice che per fare un “gran bel lavoro”, cioè svolgere un’occupazione che ci soddisfi e ci porti al successo, bisogna amarlo. Aggiunge che non dobbiamo fermarci finché non troviamo quello giusto per noi e conclude dicendo che lo troveremo con il cuore, non con la razionalità. Eppure, spesso si sceglie la professione mettendo a tacere il proprio istinto e ascoltando solo la mente. Ma come qualcuno ha detto, meglio non fidarsi troppo della mente nelle questioni importanti: se si chiama così... forse è perché non dice la verità.
COSA C’È DIETRO
Essere fedeli a noi stesse aumenta le probabilità di essere soddisfatte e felici, ma non è detto che sia facile.
Gli stereotipi di genere ci hanno trasmesso un modello femminile che porta a dare la priorità alle aspettative di altri fino, a volte, a vivere la vita che hanno voluto per noi. In questa apparente abnegazione c’è però un difetto di fondo. Come ci viene sempre ricordato nelle istruzioni prima del decollo, sull’aereo, in caso di mancanza di ossigeno, bisogna munirsi di mascherina e attivarla. Solo dopo aver messo in sicurezza noi stessi possiamo prestare aiuto a coloro che necessitano di assistenza. Allo stesso modo, rendere felici gli altri senza esserlo personalmente è un’azione che dura giusto il tempo in cui riesci a restare in apnea.
CONSIGLI
Se non trovi mai il tempo per riflettere su te stessa tra i mille impegni che hai o se non ti hanno insegnato a farlo, è possibile che tu ti sia dimenticata di come sei. Se è così, ecco qualche spunto per r...