Il magico potere di ricominciare
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Il magico potere di ricominciare

Come iniziare di nuovo, ma non da zero, a tutte le età

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Il magico potere di ricominciare

Come iniziare di nuovo, ma non da zero, a tutte le età

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Questo libro parla di persone, note e comuni, che nella vita hanno ricominciato daccapo: qualcuno per necessità, a causa di un insuccesso o di un colpo avverso della sorte, qualcun altro per scelta, perché voleva afferrare un'opportunità o dare spazio al proprio talento. Da queste storie, molto diverse ma accomunate dalle difficoltà e dalle paure che accompagnano i nuovi inizi, l'autrice ha distillato lezioni e ispirazioni che aiutano ad affrontarli positivamente. Nell'era in cui la precarietà è il nuovo status quo e le carriere, un tempo lineari e prevedibili, si sono fatte tortuose e incerte come la Via della Seta seguita da Marco Polo, saper ricominciare è diventata una competenza indispensabile che tutti dovremo utilizzare più volte nel corso dell'esistenza. Per fortuna, la capacità di affrontare nuovi inizi non è solo un dono di natura e non è una dotazione fissa: si può apprendere, allenare ed espandere. Ecco il manuale che insegna come ricominciare daccapo, ma non da zero, a tutte le età e ad apprezzare il magico potere che ne deriva.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788869393105

Capitolo 1

VIVERE FELICEMENTE NELL’ERA DELL’INCERTEZZA

Un tranquillo venerdì di paura
“Pronto”, rispondo stancamente. Sono quasi le 18, sto finendo un lavoro noioso e non vedo l’ora di andare a casa.
“Mi hanno licenziata”, la voce di Alessandra è alterata.
“Cosa?!”, sono chiaramente nella fase della negazione, ho sentito benissimo, ma mi pare impossibile.
“Mi ha convocata il direttore del personale, mi ha licenziata, mi ha dato cinque minuti per raccogliere le mie cose e mi ha fatto accompagnare ai tornelli. Mi hanno ritirato il badge”, sta quasi piangendo.
Sta per partirmi in automatico la domanda: “Ma cosa hai fatto?” perché, per la mia generazione, è inaudito venire licenziati senza aver combinato qualcosa di grosso, ma mi fermo in tempo. Cosa può avere fatto questa persona che conosco e stimo da una vita? Nulla. Lei non ha fatto niente, sicuramente lavorava con competenza e impegno, però questa non è più una garanzia e io dovrei saperlo. Non è la prima, è l’ennesima di queste storie che sento. Solo che stavolta è toccato a un’amica carissima e sono la prima persona che chiama.
Le avvisaglie c’erano state, ma queste cose vengono sempre in mente dopo, quando la situazione precipita. Alessandra, 51 anni, aveva lavorato lì per nove anni con vari ruoli fino a dirigere l’ufficio Marketing. Negli ultimi tempi mi aveva confidato di essere preoccupata per i conti dell’azienda, in peggioramento stabile da quando alcuni concorrenti avevano scatenato una guerra dei prezzi.
Si era lamentata, lo scorso dicembre, perché le avevano azzerato il bonus; aveva anche detto che era toccata la stessa sorte a tutti i dirigenti e che era, data la situazione, inevitabile. Ma evidentemente non sufficiente.
Siamo nel XXI secolo, è l’era dell’incertezza, però non mi sono ancora abituata. Ogni volta mi stupisco, poi mi indigno, poi mi deprimo ascoltando i racconti increduli e feriti della vittima di turno. Questa volta vorrei avere una reazione diversa, più costruttiva.
“Dove sei adesso?”, le chiedo.
“In auto, davanti all’ufficio. Tra qualche settimana devo ridare pure quella, comunque”, risponde in modo assente.
“Vieni qua subito, sono in ufficio. Ti aspetto”, cerco di trasmetterle sicurezza, come se avessi già in mente un piano, anche se in realtà non so che pesci prendere.
“Ok”, risponde Alessandra con una voce da automa che mi spaventa un po’.
Se incontra traffico, ho un quarto d’ora per pensare a cosa dirle, ma ho la testa vuota e mi sento impotente. La tempesta emotiva suscitata dalla telefonata mi ha fatto perdere la cognizione del tempo e devo guardare l’orologio per riorientarmi. Sono le 18:03 di venerdì.
Mi dico: “Sta calma, almeno tu. Le devi infondere tranquillità. Non perdere la testa”. Mentre ripeto mentalmente questo mantra scopro che non funziona, semmai mi fa sentire più agitata. Come molti di noi, Alessandra non lavora per hobby, ma per mantenere il buon livello di vita cui è ormai assuefatta. So bene che per lei non è solo questione di orgoglio e di status; ci sono anche quelli naturalmente, ma la verità è che deve trovare lavoro abbastanza velocemente.
E infatti, appena arriva, mi dice: “So che mi dirai di mettermi subito alla ricerca di un nuovo lavoro, ma io ho solo voglia di chiudermi in casa. Mi sento uno straccio”. Fa una pausa e poi aggiunge spaventata: “Ce la farò a ricominciare?”. Si aspetta da me una risposta.
Mi rendo conto che nessuno ci ha preparato ad affrontare queste situazioni. Peccato che proprio in questi casi bisognerebbe riuscire a pensare lucidamente, occorrerebbe sapere già cosa fare, sarebbe utile poter seguire dei passaggi memorizzati precedentemente e diventati, con la pratica costante, quasi automatici. È la ragione per cui si fa l’esercitazione antincendio: per fare le cose giuste, senza però dover scoprire quali siano quando tutto è in fiamme.

QUALCUNO HA SPOSTATO IL MIO MONDO

“La vita non ha l’obbligo di darci
quello che ci aspettiamo.”
Margaret Mitchell
Secondo un recente rapporto dell’Institute for the Future1, l’85% dei lavori che esisteranno nel 2030 non sono ancora stati inventati. Entro lo stesso anno, secondo il McKinsey Global Institute, fino a un terzo dei lavoratori statunitensi e tedeschi e fino quasi la metà di quelli giapponesi si troveranno a dover cambiare occupazione, sostituiti da computer e robot dotati di intelligenza artificiale.
La profonda trasformazione del mondo del lavoro non è una novità, ma adesso sta accelerando: assisteremo, a ritmo crescente, alla sparizione di molte professionalità che conosciamo, mentre altre spunteranno dal nulla; vedremo, in tempi brevi, competenze diventare obsolete e altre, che non esistono o non hanno un nome, diventare richiestissime. Questo vorrà dire che interi uffici, organizzazioni e settori verranno cancellati, ridotti o cambiati al punto da essere irriconoscibili, sostituiti da altri che faranno cose diverse e nuove, con un uso sempre più massiccio di intelligenza artificiale al fianco (e al posto) delle risorse umane.
Un tempo, il mondo del lavoro chiedeva alle persone di lavorare con serietà e impegno e, in cambio, offriva percorsi lineari, prevedibili e la quasi certezza dell’impiego. Era un mondo in cui ci si poteva fermare, certo, ma raramente si tornava indietro e quasi mai alle persone veniva posta l’alternativa tra ripartire daccapo in una direzione diversa o essere fuori dal gioco. Questo era il vecchio mondo, quello in cui noi cinquantenni ci siamo formati e che pensavamo durasse per sempre. Purtroppo “ce lo hanno spostato”.
Il riferimento è al celebre best seller Chi ha spostato il mio formaggio?2, una storiella metaforica – scritta da Spencer Johnson ed entusiasticamente introdotta, nella Prefazione, da un guru del management, Ken Blanchard – in cui gnomi e topolini reagiscono, ognuno a modo proprio, alla sparizione del formaggio che erano abituati a trovare sempre nello stesso posto. Il formaggio, nel racconto di Johnson, rappresenta ciò che desideriamo perché ci rende felici. È qualcosa di diverso per ciascuno di noi e reagiamo in maniera differente quando ci viene tolto: chi impreca contro l’ingiustizia, chi resta così sconvolto da non riuscire a fare nulla e chi, invece, entra subito in azione mettendosi alla ricerca di un nuovo formaggio perché capisce che il cambiamento è irreversibile. Addirittura, il topolino Sniff (il cui nome significa “annusare”) inizia a cercare nuovo formaggio prima ancora che spostino il vecchio, avendo intuito che, prima o poi, il formaggio non sarebbe più stato lì. Con l’eccezione di Sniff, topini e gnomi del racconto vengono colti di sorpresa dalla sparizione del formaggio. Non essendo “annusatori” particolarmente attenti al contesto, per loro era difficile prevedere che il formaggio un giorno non sarebbe più stato dove lo avevano sempre trovato.
Noi non abbiamo questa scusa: sono anni che i cambiamenti che citavo prima (e molti di più) sono stati annunciati e si verificano, puntualmente o addirittura in anticipo, spesso con maggiore impatto di quanto fosse stato predetto. Tuttavia, il nostro problema non è tanto di essere sorpresi. La difficoltà è piuttosto quella di adattarci a una situazione in cui il nostro formaggio si muove continuamente e bisogna giocarci a rimpiattino.

BENVENUTI NELL’ERA VUCA

“La vita non è fatta
per i deboli di cuore.”
Nicky Verd
Viviamo in un’era in cui l’incertezza, cioè la non prevedibilità del futuro, è il nuovo status quo. E l’incertezza non è arrivata da sola, ma accompagnata. Anzitutto dalla volatilità, il contrario della stabilità, una caratteristica delle situazioni in cui tutto cambia continuamente in funzione di eventi fuori dal nostro controllo. Poi è aumentata la complessità, cioè ci sono più interconnessioni e influenze di cui tenere conto nelle decisioni da prendere. Questo ci costringe spesso alla scelta tra agire senza aver potuto prendere in considerazione tutti gli elementi e correre il rischio legato all’inazione. Infine, il grado di ambiguità è aumentato: le relazioni causa-effetto che conoscevamo non funzionano più o non funzionano sempre, per cui non si è mai sicuri delle conseguenze di un accadimento provocato da noi o da altri. Per riassumere questo insieme di condizioni gli anglosassoni hanno coniato un acronimo: VUCA, le cui lettere sono le iniziali delle parole volatility (volatilità), uncertainty (incertezza), complexity (complessità) e ambiguity (ambiguità).
Nel mondo VUCA le organizzazioni devono trasformarsi rapidamente riconfigurando gli organigrammi, le competenze, i comportamenti e i percorsi di carriera. Azzeccare la formula giusta non è facile e spesso, anche se la si trova, in breve tempo le condizioni cambiano e occorre metterne a punto una nuova. Le vittime collaterali di questi cambiamenti repentini sono numerose.
Nel mondo VUCA la “data di scadenza” delle conoscenze e di ciò che sappiamo fare è sempre più ravvicinata. Una volta si imparava l’arte e la si metteva da parte. Ora l’arte è messa da parte dall’evoluzione tecnologica e dai continui cambiamenti.
La professionalità è diventata un bersaglio mobile. Un tempo la si costruiva mattone su mattone, in modo incrementale. Ora le competenze tecniche sono un castello di carte che rischia in ogni istante di essere spazzato via da un colpo di vento. Prima bastava “tenersi aggiornati”, ora bisogna reimparare tutto. Lo sforzo per rimanere “al corrente”, fino all’inizio del nuovo millennio, faceva leva sulle competenze già acquisite e sull’esperienza. Adesso tutto può essere azzerato, trasformando l’esperienza in una trappola e costringendo i maestri a ridiventare scolari.
Una volta le carriere progredivano su binari prestabiliti, oggi hanno percorsi che assomigliano alla Via della Seta seguita da Marco Polo: l’itinerario si scopre e si cambia strada facendo; a volte si torna indietro per lunghi tratti perché qualcosa di imprevisto blocca il passaggio; altre volte si è costretti a prendere strade, le uniche possibili, per le quali non si è equipaggiati, superando prove e sopportando fatiche notevoli.
Molti over 50 avrebbero fatto volentieri a meno di questi cambiamenti. Il vero problema, però, non è lo scarso gradimento della nuova situazione, né la sorpresa, come scrivevo nel paragrafo precedente. È che nulla ci ha veramente preparati a vivere nel mondo VUCA.

Il nuovo gioco dell’oca

Il gioco dell’oca è antico e contiene molti simbolismi, ma la maggior parte di noi lo ricorda per la caratteristica di “rimandare indietro” i giocatori, in modo casuale e capriccioso, da qualsiasi punto della tavola di gioco, costringendoli a ricominciare dal principio. Questa dinamica cattura bene un aspetto dell’era VUCA: quello di poter essere costretti a ricominciare il nostro percorso per un evento al di fuori del nostro controllo, che non abbiamo fatto nulla per causare e che, alcune volte, non desideriamo e sentiamo di non meritare. Come nel gioco dell’oca, ricominciare è frustrante perché comporta la perdita della posizione acquisita e genera ansia perché non è noto cosa ci riserverà il nuovo percorso che stiamo per intraprendere.
Ormai sappiamo che il particolare gioco dell’oca in cui ci troviamo presenta tante caselle che rimandano all’inizio, al punto che è quasi impossibile percorrere la tavola da gioco senza incapparvi. È quindi meglio farcene una ragione e cercare di costruire la nostra capacità di ricominciare, anche perché questa nuova versione del gioco, a ben vedere, presenta dei vantaggi.
Un tempo, “i giochi erano fatti” molto presto nella vita. A 50 anni, si usava dire, o si è papa o si è sagrestano. Era quasi impensabile iniziare qualcosa di nuovo dopo una certa età: le oggettive opportunità di farlo erano più limitate e poi non era, diciamo così, socialmente incoraggiato. Adesso – ne parleremo meglio nel Capitolo 5 (Ricominciare nei secondi 50 anni di vita) – possiamo invece notare parecchi esempi di nuovi inizi avvenuti con successo a ogni età.
E poi non dimentichiamo che le motivazioni per ricominciare sono tante e non derivano solo dal capriccio della sorte. A volte siamo noi stessi che sentiamo un bisogno irreprimibile di cambiare direzione e questo, spesso, comporta il fatto di ricominciare daccapo. Nell’era della longevità, in cui si vive e si lavora più a lungo, questo genere di ripensamenti o di evoluzioni è diventato più frequente. È cambiato anche il nostro modo collettivo di giudicarlo: intraprendere volontariamente un nuovo percorso dopo i 50 anni non è più visto solo come una stravaganza, ma anche come la risposta a una chiamata o come un’occasione per trovare se stessi.
Le situazioni della vita in cui ci si può presentare la necessità o l’opportunità di ricominciare sono molto aumentate in quantità e varietà: possono essere negative o positive, non volute oppure a lungo desiderate, casuali o provocate da noi. Questi nuovi inizi appaiono diversi, e in effetti lo sono, ma hanno qualcosa in comune: se non siamo allenati, spaventano.
La paura di perdere quello che abbiamo o il timore di non riuscire ad affrontare qualcosa di nuovo possono tenerci intrappolati in un vicolo cieco o impedirci di raggiungere il nostro potenziale. L’incapacità di ricominciare può farci vivere una versione meno interessante e appagante della nostra vita e questo tipo di rinuncia, prima o poi, rischia di presentarci un conto salato. I rimpianti veramente brucianti della vita riguardano molto più spesso le cose che non abbiamo fatto rispetto a quelle che abbiamo fatto.
La paura di ricominciare, in conclusione, può agire come una camicia di forza che non ci permette di fare quello che dobbiamo e vogliamo. Il potere di ricominciare, invece, rende liberi.

CADERE (IN PIEDI) DALLA GIOSTRA

“Nel mezzo delle difficoltà
nascono le opportunità.”
Albert Einstein
All’inizio degli anni ’70 la società statunitense AT&T fu accusata dall’autorità antitrust di avere creato un monopolio nel mercato delle telecomunicazioni. AT&T, in effetti, controllava tutte le società telefoniche locali e godeva di una posizione dominante: era chiaro che sarebbe stata solo questione di tempo (comperato a suon di battaglie legali) e, prima o poi, l’avrebbero costretta a smembrarsi.
Salvatore Maddi, allora docente del dipartimento di Scienze comportamentali della prestigiosa Università di Chicago, colse in questa situazione una straordinaria opportunità di studiare “in vivo” un fenomeno sociologico raro per quei tempi, che si collegava alla sua ricerca sulla reazione umana a eventi traumatici. Capì infatti che lo “spezzatino” di AT&T sarebbe stato travolgente e traumatico per chi vi lavorava. Come consulente della IBT (Illinois Bell Telephone, una filiale di AT&T con sede a Chicago), Maddi condivise il lavoro del suo gruppo di ricerca con il vicepresidente esecutivo di IBT, Carl Horn, che a sua volta gli permise di studiare le performance e le reazioni psicofisiche dei dipendenti prima, durante e dopo l’imminente deregolamentazione federale del monopolio telefonico di AT&T.
Le battaglie legali andarono avanti fino al 1984, ma alla fine, com’era prevedibile, AT&T dovette arrendersi e distaccare da sé le aziende telefoniche regional...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Introduzione
  5. Capitolo 1 - Vivere felicemente nell’era dell’incertezza
  6. Capitolo 2 - Scoprire il magico potere di ricominciare
  7. Capitolo 3 - Trovare l’ispirazione per ricominciare
  8. Capitolo 4 - Superare le difficoltà più comuni
  9. Capitolo 5 - Ricominciare nei secondi 50 anni di vita
  10. Capitolo 6 - Ricominciare dopo un insuccesso
  11. Capitolo 7 - Cose da sapere prima di ricominciare
  12. Capitolo 8 - Primo passo: rimuovere i freni e ricaricarsi
  13. Capitolo 9 - Secondo passo: ricostruirsi
  14. Capitolo 10 - Terzo passo: rinnovarsi