La vita è un sogno
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La vita è un sogno

Voci, volti, speranze e battaglie degli italiani Dal Settecento al XXI secolo

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La vita è un sogno

Voci, volti, speranze e battaglie degli italiani Dal Settecento al XXI secolo

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Informazioni sul libro

L'Italia delle grandi guerre, delle finestre serrate al passare delle ronde, dei soldati chiamati al fronte e delle mogli rimaste sole. L'Italia degli amori spezzati, dei figli scomparsi, della fame e della sete; quella delle famiglie con tanti fratelli e sorelle ma poco pane. L'Italia paese delle meraviglie, dei mestieri antichi, delle terre impareggiabili, dei racconti intorno al fuoco. L'Italia forgiata dalla fiamma dei miti popolari. L'Italia degli anni sessanta, tra lotte studentesche e bombe, scioperi e miracoli italiani, e quella degli anni novanta, con i computer in ogni casa, gli eccessi e le discoteche, le fantasie e le speranze di un millennio che finisce. L'Italia che sogna l'Italia dei nostri giorni e, poi, l'Italia che noi sogniamo.La vita è un sogno è un'opera corale che raccoglie le voci, i volti e l'anima del popolo italiano, e ne racconta i momenti indimenticabili, visti attraverso gli occhi di chi li ha vissuti in prima persona. Lettere, diari e memorie si intrecciano imprevedibilmente riscrivendo la più autentica e commovente storia d'Italia dal Settecento a oggi: dalle epidemie di colera alla claustrofobia delle trincee nella Prima guerra mondiale; dalla rinascita come società industriale all'inizio della rivoluzione informatica; dalla fatica dei contadini nei campi a maggese alla frenesia degli impiegati nelle grandi città; dai primi viaggi di fortuna in America al nuovo mondo in cui sono state abbattute le frontiere; dai balli sfrenati del dopoguerra al terrore delle stragi mafiose, all'emancipazione femminile, ai giochi dei bambini di un secolo fa e a quelli di oggi, agli amori travolgenti affidati a fogli di carta nascosti poi in un forziere, o all'impalpabilità elettrica di un messaggio su Internet.La vita è un sogno è il libro dei sogni italiani, e le testimonianze intime e universali che lo compongono ricostruiscono una sorprendente cosmogonia dell'immaginario nazionale, riportandoci, con orgoglio e nostalgia, alle nostre radici. Per ricordare, ma soprattutto per decifrare insieme il futuro.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865768051
Argomento
Historia

Un futuro migliore

Il paese del sogno, il paese dell’incubo
maria pia farneti
2000

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La casa dei miei sogni
Vorrei abitare in una di queste case e provare una angoscia sconosciuta, una paura nuova: in una di queste case si vive un amore, in un’altra un assassinio, in un altra una conversazione illuminante: io sono in tutte e tre le stanze, e la mia nuova paura mi piace. Istintivamente sento che non devo scappare.
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Questa gonna ha 8 anni. Ne ha viste di cose. Mi piace perché ha i colori giusti e sobri ed è un cimelio (a suo modo) BAMBOLA MECCA- NICA
13 Luglio. Sveglia alle sette. Addormentamento alle due di notte. Niente SOGNI per fortuna.
Tosse, sì. No, anzi: erano le tre.
Il disegno qui alla mia sinistra pacerà un frego a tutti.
Alle donne no perché non mi sono caricaturata, né imbruttita.
Invece questo disegno è tutto una caricatura anche se non mi sono imbruttita, o, forse, mi sono imbellita, magari.
I caricaturisti sono bravi nel cogliere i tratti essenziali di una faccia ed esasperarli.
Io invece, descrivo una situazione, un momento della persona e questa situazione e questo momento concentrano l’essenza di questa persona presa di mira in maniera totale specie se irregolari.
Perché Scrivere
Perché Disegnare
Perché Parlare
Perché Mangiare
Per scaricare
Per eternare
Per sopperire al vero godimento
che potrebbe essere una bella scopata…
questo lo dicevo nel ’95.
Per quel che mi risulta, non Ho mai conquistato nessuno se non per 2, 3, 5 ore 2 giorni, 1 mese al massimo. Nemmeno mio marito. Lui sa farsi corteggiare perché ha il dono del Mutismo e del sorriso al momento giusto specie quando ha finito di abbraciarmi.
Stasera andrò a festeggiare Hallowen e devo ancora decidere come conciarmi.
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Amore mio non ti RICONOSCO; Scrivi perdio!
Quando si è in questo stato di attesa si sta per metà sottoterra.
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Il terzo occhio è l’occhio del sogno quando si dorme si vede, siamo fuori di casa mia, noto tutto ma non mi ricordo perché è tale l’attenzione al momento onirico che lo sforzo è immane…

I sogni a volte si avverano
giovanna cavallo
1946

Al mio paese si dice che se per tre notti di fila si sogna la stessa cosa, oppure se nella stessa notte, nel sogno, qualcuno ti ripete qualcosa per tre volte, queste si avverano. Non è vero, perché alcuni sogni diventano realtà anche dopo una sola volta, altri fatti un’infinità di volte restano sogni e basta. Però alcuni restano più impressi di altri e si cerca di analizzarli, di saperne di più. Così mi succede per quello fatto stanotte.
Un sogno? Una voce e basta.
Chi è la persona che voglio aiutare ma non devo? Cos’è l’Entità o l’Essere che ha preso possesso della persona sopradetta? Perché ha bisogno che io non l’aiuti per poterla distruggere più facilmente? Una voce, profonda, chiara, autorevole.
Voce: Io ho preso possesso di questa persona (uomo ma non so chi sia) per poterla annientare più facilmente in modo che non faccia più male a nessuno.
Io: Non posso abbandonarlo, devo aiutarlo.
Voce: Io sono fuso con lui per poterlo distruggere più facilmente tu non devi aiutarlo perché non puoi fare niente per lui. Deve sparire perché non faccia più male nessuno.
Io: Devo aiutarlo.
E questo l’ho sentito per tre volte sempre molto chiaro e con pochi cambiamenti di parole ma con lo stesso significato. Mi sono svegliata con nelle orecchie ancora il suono della voce mi sono chiesta, e continuo a chiedermi, se avevo sognato o la voce fosse reale. In ogni caso cosa vuole da me? Chi è questa persona che può fare tanto male nel mondo? Il significato che capivo e sapevo era questo. Non male a un singolo ma al mondo intero.
Ne ho parlato con Carlo e lui, come tante altre volte mi ha detto: perché non li scrivi i tuoi sogni?

Le paure di una bambina
anna maria rinaldini
[anni 50]

«Perché ti specchi? Se ti specchi ancora esce il diavolo e ti porta via.»
«Perché piangi? Lo vedi questo santino? C’è un diavolo che vuol portar via una bambina e la Madonna la salva. La conosci la storia? Te la racconto. C’era una volta una bambina, capricciosa come te, che ogni mattina, quando doveva pettinarsi, piangeva sempre. E la mamma era stanca e non ne poteva più di tutte quelle storie. Una mattina la donna, mentre stava rifacendo le trecce alla figlia, perché quella bambina aveva le trecce come te, stanca più che mai dei suoi capricci disse, ti venisse a prendere il diavolo, e il diavolo in persona arrivò. Ma la bambina piangeva, allora la mamma, impietositasi, invocò la Madonna che subito accorse e salvò la bambina. E tu adesso hai capito? Non devi piangere quando ti pettino, altrimenti viene il diavolo e ti porta via.»
Questa era la storia di ogni giorno, anzi di ogni mattina, quando la mamma o la nonna mi pettinavano.
Un giorno, però, stanca della storia del diavolo che portava via le bambine, decisi di tagliarmi i capelli.
La mamma era in casa con una sua amica e parlava animatamente con lei. La macchina da cucire era aperta e sulla macchina da cucire c’era un bel paio di forbici. Prenderle e tagliare i capelli fu tutt’uno.
Andai nel giardino, mi avvicinai alla rete, sciolsi le trecce e via i capelli a ciocca a ciocca sullo stradino. Ma una gentil signora, quotidianamente affacciata alla finestra per ficcare il naso nelle cose altrui, si premurò di avvertire mia madre.
Quella volta, però, non so perché, mi risparmiò le botte.
Le donne del vicinato erano terribilmente laide, odiose, meschine. Ora erano i bambini ad essere oggetto dei loro stupidi scherzi, ora i vecchi, gli alcolizzati.
L’unica nostra ribellione era il pianto singhiozzato, quando addirittura non provavamo vergogna per quelle stupide cose che ci avevano fatto.
Un giorno toccò a Giancarlo, un bambino di circa due anni, che giocava sulla strada insieme a noi.
Ad un certo punto il nostro gioco fu interrotto da una donna. Questa lo prese, lo portò in mezzo al cerchio delle comari che pettegolavano su questo e su quello e cominciò a deriderlo, a chiedergli se avesse il pipino.
Il bambino rispondeva di sì, che lo aveva. Una di loro lo prese, lo sollevò in aria per giocarci, per sballottarlo. Gli tolse i pantaloni, le mutandine, poi lo mostrò compiaciuta alle altre dicendo, ce l’ha, ce l’ha il pistolino, ce l’ha, adesso glielo tagliamo.
Il bambino non sapeva che fare, che dire. In un primo momento rise, ma forse senza sapere perché.
Ma il gioco divenne sempre più assurdo, sempre più osceno ed io tenevo le gambe chiuse e cercavo di nascondermi dietro le mie compagne perché temevo di fare la sua stessa fine.
Ad un certo punto, una di loro prese un rossetto da labbra, lo fregò ben bene sul pipino di Giancarlo e disse ridendo, adesso non lo hai più, l’ho tagliato. Vedi il sangue? il pipino non c’è più. E lo prese e lo portò in giro per le strade a mostrare Giancarlo col suo pipino tagliato.
Che importava che il bambino singhiozzasse? Che importava che il bambino fosse spaventato? Loro del resto dovevano pur passare il tempo in qualche modo e questo per loro era un modo divertente.
Nonostante in cuor mio odiassi quelle donne e provassi vergogna per i loro scherzi, quando ero sola mi sentivo quasi attratta da loro; le sentivo ridere, pettegolare, prendere in giro qualcuno e a volte, forse per curiosità, mi avvicinavo a loro in silenzio senza farmi notare.
Spesso con loro c’era Costantino, un povero diavolo quasi sempre ubriaco. Non doveva bere, loro lo sapevano, ma parevano ignorarlo. Rifilavano al vecchio un bicchiere di vino dietro l’altro e l’invitavano a cantare, sulla pietra c’era scritto, sulla pietra c’era scritto…
Non ho saputo mai cosa ci fosse scritto sulla pietra, perché Costantino, dopo aver bevuto un sorso di vino era già brillo e così non finiva mai la sua canzone.
Costantino aveva una bicicletta vecchia, ridipinta di rosso, che usava per fare qualche passeggiata in campagna nei giorni in cui aveva la mente un po’ più lucida.
Anche i contadini, però, dovevano conoscere le sue abitudini e forse si comportavano con lui come quelle donne.
Un giorno, di ritorno dalla campagna, certamente ubriaco, cadde dalla bicicletta proprio difronte a casa mia. Quando uscii di casa e me lo trovai davanti, steso immobile per terra, pensai che fosse morto.
Corsi subito a chiamare mio fratello Ermanno e gli dissi di Costantino; lui fuggì di corsa e andò a chiamare altri bambino.
Ad un certo punto, non so perché e per come, ci ritrovammo tutti nel giardino di casa mia a raccogliere i fiori per il povero vecchio (dovevamo fargli una corona come si usa fare a tutti i morti). Quando credemmo di averne raccolti abbastanza, ci riversammo tutti sulla strada. Qualcuno ricompose il corpo di Costantino, gli mise le mani in croce, gli adagiò la testa sul cuscino, poi cominciammo a disseminare i fiori sul suo corpo. Con quelli che erano avanzati formammo una piccola croce che deponemmo ai suoi piedi.
I bambini più grandi, però, la sapevano lunga: avevano capito bene che Costantino non era morto.
Uno di loro andò a chiamare la moglie.
Quando la poveretta arrivò, cominciò a piangere e a disperarsi.
Che cos’era accaduto al suo povero Costantino? No, non poteva esser morto. Sì, respirava ancora. Allora, quei brutti ragazzacci? Che le avevano fatto? Che cos’avevano fatto al suo Costantino? Chi era stato?
Il tocco di grazia fu dato dal più tonto della compagnia: mentre noi fuggivamo chi di là chi di qua, lui era lì a rovesciare, sulla faccia del povero vecchio, un secchio d’acqua gelata.
Per me la paura era il diavolo. Io lo vedevo, ma non lo dicevo, forse perché avevo paura anche di nominarlo, anche di pensarlo.
Quando mi mandavano in cantina a prendere la legna, facevo le scale di corsa, ma, nel tratto buio che dovevo percorrere, vedevo sempre i suoi bagliori di fuoco.
La sera, quando andavo a dormire, mi rincatucciavo vicino alla nonna e la tenevo stretta stretta perché temevo che il diavolo, di notte, potesse portarmi via.
Se di sera rincasavo tardi e non ero accompagnata dai miei compagni, vedevo quei maledetti bagliori rossi che mi seguivano per tutta la strada e più fuggivo e più mi seguivano. Arrivavo a casa trafelata, piena di paura e provavo sollievo solo quando riuscivo a bussare.
Una notte lo sentii accanto a me: aveva due corna lunghe e mi parlava all’orecchio; mi era impossibile muovermi, parlare, gridare.
Da quella notte ho sempre dormito con le coperte fino agli occhi e più che mai stretta alla nonna. Ma la mattina, quando mi svegliavo, mi chiedevo se il diavolo non mi avesse giocato un brutto tiro. Mi chiedevo se la vera Annamaria il diavolo non se la fosse portata via con sé.
E quando stavo male era terribile, non per la febbre, non per le punture, ma per i diavoli che arrivavano in camera a tenermi compagnia. E un giorno ne arrivò una famiglia intera e i diavoli bambini er...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. In un giorno qualunque
  4. Un futuro migliore
  5. Per noi, per i nostri figli