Antigone o Creonte
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Antigone o Creonte

Etica e politica, violenza e nonviolenza

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Antigone o Creonte

Etica e politica, violenza e nonviolenza

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Informazioni sul libro

Nei saggi di questo volume Giuliano Pontara analizza i problemi centrali del rapporto tra etica e politica, violenza e nonviolenza, leggi dello stato e disobbedienza civile. Dalla tragedia di Antigone e Creonte alle guerre del XXI secolo le ragioni della nonviolenza in una riflessione di grande attualità.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788863573244
Argomento
Storia

Le ragioni di Creonte e quelle di Antigone

1. Il tema centrale dell’“Antigone”

Vi sono opere della letteratura mondiale le quali non solo sollevano questioni e temi di natura prettamente filosofica, ma dalle quali la riflessione filosofica può trarre notevoli spunti e stimoli. Di questo tipo sono, per esempio, certe opere di Shakespeare, Dostoevskij, Ibsen, Proust, Thomas Mann e Sartre. E tale è anche la tragedia Antigone, tanto nella classica versione di Sofocle quanto in quella moderna di Jean Anouilh. L’intera opera ruota, a mio vedere, attorno al tema centrale del rapporto tra etica e politica. Come, ad esempio, ne I demoni di Dostoevskij e in Mani sporche di Sartre, anche nell’Antigone le questioni sollevate riguardano in gran parte la natura dell’agire politico: se esso soggiaccia o meno a limiti ed esigenze di natura morale e se sia possibile partecipare efficacemente alla politica pur non essendo affatto disposti a lordarsi le mani del sangue altrui. Il grande leitmotiv della tragedia è il conflitto, lo scontro aspro, tra due forti personalità le cui azioni sono motivate da risposte diametralmente opposte che esse tendono a dare a queste domande.
Prendendo lo spunto dai testi di Sofocle e Anouilh, ma allargando il discorso, cercherò di formulare in modo un po’ più preciso le opposte concezioni del rapporto tra etica e politica di cui Creonte e Antigone sono fautori. Come si vedrà, tanto la posizione di Creonte quanto quella di Antigone sono interpretabili in modi diversi e ciascuna delle interpretazioni che proporrò si identifica con posizioni che hanno avuto – e hanno tutt’oggi – largo seguito. Per questo, tanto Creonte e Antigone, quanto il conflitto che li divide, assumono un valore simbolico. Mi interessa enucleare le ragioni che soggiacciono alle posizioni che andrò man mano attribuendo a essi e quindi discutere brevemente quali siano le migliori. E, come si vedrà, non intendo affatto sminuire le ragioni di Creonte.

2. Per chi non ricordasse il contenuto

Come è noto, tanto nella versione sofoclea quanto in quella di Anouilh, la tragedia si svolge a Tebe qualche giorno dopo un fallito tentativo di colpo di Stato. Dopo la morte del famoso re Edipo, i suoi due figli Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone e Ismene, dovevano secondo la legge alternarsi alla reggenza di Tebe. Sennonché, non pago di ciò, Polinice, a capo di una fazione rivoltosa e con l’aiuto esterno della città di Argo, cerca di disfarsi di Eteocle e di impossessarsi dell’intero potere su Tebe. Nello scontro armato che dilania la città i due fratelli muoiono, ucciso l’uno dalla lancia dell’altro. Per legge, il potere su Tebe lo esercita ora Creonte, zio materno di Antigone e Ismene. Ma la fazione di Polinice opera nella clandestinità e Creonte teme sia per la pace e l’ordine a Tebe sia per il proprio potere. Come dice, rivolgendosi al Coro:
Ma già da tempo cittadini stanchi
insofferenti di governo, andavano
mormorando di me, spesso, nell’ombra,
scotendo il capo; e non prestavano bene
il collo al giogo, sì che fossero paghi
d’essere miei (vv. 364-72).1
Quando dice ciò Creonte ha già mandato a effetto la sua decisione di rinforzare il proprio potere su Tebe ricorrendo a misure drastiche nei confronti della fazione di Polinice e delle altre teste calde che minacciano l’ordine e la pace. Ha infatti emesso un decreto in cui proibisce, pena la morte, che al corpo di Polinice – considerato traditore della patria – venga data sepoltura. Questo è un esempio drastico in quanto per i tebani ciò equivale a una terribile punizione, dato che essi ritengono che lo spirito del morto non trovi pace sintantochè il corpo non abbia trovato regolare sepoltura. Nonostante in città molti pensino che Creonte abbia varcato i limiti, nessuno osa protestare apertamente; tutti si piegano alla sua volontà, tutti tranne uno: Antigone, la giovane nipote di Creonte e promessa sposa di Emone, figlio di Creonte. Nonostante i tentativi della più pavida e prudente sorella Ismene di distoglierla, Antigone manda a effetto la sua decisione di violare apertamente il decreto del legittimo re Creonte e, pienamente cosciente delle conseguenze del proprio atto, sparge simbolicamente della terra sul cadavere dell’amato fratello Polinice. Venuto a conoscenza di ciò Creonte, ignorando le suppliche del figlio Emone, dà ordine che la legge abbia il suo corso e Antigone sia giustiziata. Giacché, argomenta Creonte rivolto al figlio Emone, una volta che Antigone è stata sorpresa
in manifesta disobbedienza
(lei sola fra tutti i cittadini),
egli non può smentirsi dinanzi alla città, ché, esclama,
se nella cerchia
della famiglia educherò ribelli,
che sarà degli estranei? (vv. 820-2).
La tragedia si avvia così a compimento. Per non lordare Tebe col sangue di Antigone, Creonte dà ordine che essa sia murata viva in una spelonca della città. Emone, il quale non può pensare a una vita senza Antigone, penetra non visto nella spelonca e vi si lascia murare assieme alla sua amata. Allorché fuori si odono i suoi lamenti e la spelonca, su ordine di Creonte, viene riaperta, si scopre che Antigone è riuscita a impiccarsi. Gli avvenimenti si succedono quindi rapidamente. Emone, dopo aver tentato invano di uccidere il padre, rivolge l’arma contro se stesso e si uccide. Alla notizia della morte del figlio anche Euridice, sposa di Creonte, si toglie la vita. Creonte rimane solo. Questa è, secondo Sofocle, la punizione inflittagli dagli dei per aver violato gli agrafoi nomoi
i sacri limiti
delle leggi non scritte e non mutabili (vv. 565-6).
Non mi interessa qui discutere questa tesi sofoclea per cui si dà una legge morale eterna e tale che colui che la viola intenzionalmente viene prima o poi sempre ineluttabilmente punito, se non dagli uomini certamente dagli dei, o da un Dio.
Quello che mi interessa è il conflitto tra Antigone e Creonte. Di questo conflitto si possono certamente dare interpretazioni assai diverse. Come già sopra accennato, le interpretazioni che intendo mettere in rilievo sono quelle che vedono il conflitto come lo scontro tra due personaggi che muovono da concezioni diverse circa il rapporto tra etica e politica.

1 Le citazioni sofoclee sono tratte dalla traduzione di G. Lombardo Radice (Sofocle, Le Tragedie, Torino, Einaudi, 1948).

3. La prima interpretazione

Nella prima interpretazione Creonte è fautore (il Creonte sofocleo fautore ante litteram) della dottrina del princeps legibus solutus o, più generalmente, della dottrina della amoralità (non, si badi, della immoralità) della politica: il principe, l’autorità statale o, più generalmente, l’attore politico, individuale o collettivo che sia, non soggiace ad alcuna esigenza o limite di natura morale. Il loro agire – ossia l’agire politico – è al di là del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, esula cioè dalla sfera stessa della moralità. Chi fa un tale agire oggetto di considerazioni morali compie, già a livello teorico, un errore categoriale in quanto appunto applica erroneamente delle categorie morali a fenomeni che non sono sussumibili sotto di esse. Fa un errore analogo a quello che compirebbe chi, applicando le categorie morali alla condotta degli animali o delle macchine, giudicasse il comportamento di questo o quell’animale, o di questa o quella macchina, moralmente retto o moralmente sbagliato. La politica ha le sue leggi, ed esse non sono leggi morali. Queste ultime valgono soltanto per i singoli individui privati nei loro rapporti con altri individui privati.
Antigone, per converso, è fautrice di una concezione opposta per cui si danno leggi morali “non scritte e non mutabili” valide per ogni agire umano. Esse pongono dei limiti ben definiti – anche se non sempre o di rado rispettati – a ciò che agli uomini è moralmente lecito fare e non fare, sia che essi agiscano in qualità di individui singoli e privati, sia che essi agiscano collettivamente o in qualità di politici: esse valgono tanto per Antigone quanto per Creonte, tanto per i tebani quando agiscono singolarmente in qualità di individui privati nei confronti di altri individui privati, quanto per i tebani quando agiscono singolarmente, in qualità di cittadini o attori politici, o collettivamente nei confronti dello Stato cui appartengono o nei confronti di altri Stati.
Chi ha ragione? Il re Creonte o la ribelle Antigone?
La domanda che qui si pone non è se vi siano leggi morali “non scritte e non mutabili”, né se esse siano quelle in cui crede Antigone, bensì se l’agire politico, in quanto tale, rientri nella moralità oppure ne esuli totalmente. Più in generale, la domanda non è se l’agire politico sia o meno sussumibile sotto le esigenze poste da un determinato sistema etico che si ritenga essere quello corretto o valido o più plausibile, quanto piuttosto se l’agire politico esuli d...

Indice dei contenuti

  1. Questo libro Nei saggi di questo volume Giuliano Pontara analizza i problemi centrali del rapporto tra etica e politica, violenza e nonviolenza, leggi dello stato e disobbedienza civile. Dalla tragedia di Antigone e Creonte alle guerre del XXI secolo le ragioni della nonviolenza in una riflessione di grande attualità.
  2. Prefazione
  3. Introduzione
  4. Le ragioni di Creonte e quelle di Antigone
  5. Diritto e dovere di resistenza
  6. Definizione, presupposti e giustificazione della disobbedienza civile
  7. Definizione di violenza e nonviolenza nei conflitti sociali
  8. Marxismo, violenza e nonviolenza
  9. La violenza levatrice della storia?
  10. Virtù, mitezza e nonviolenza