Capitolo 5
Manipolazione delle pulsioni ed educazione sentimentale
(governare il bue)
Come puoi uscire dalla società della performance se sei stato educato allo scopo di essere completamente integrato nei suoi meccanismi e influenzato dalle sue dinamiche? L’educazione alla performance, infatti, è ciò che ti fa credere che sia “naturale” lavorare sette giorni su sette, essere sempre in competizione, produttivo e performante, e che la sensazione di fastidio e di disagio – se la provi – sia un tuo problema, il segno che non sei in grado di stare al mondo.
Nella tradizione occidentale insegnanti, precettori e maestri hanno sempre avuto ampia libertà di azione nei confronti degli allievi. L’educazione non era indottrinamento, ma completa formazione dell’individuo. Filippo il Macedone affidò il futuro Alessandro Magno ad Aristotele, che gli trasmise le proprie idee filosofiche insegnandogli a ragionare secondo logica, e lo stesso fecero i re e i duchi con gli istitutori, religiosi e non. L’educatore poteva compiere degli errori, ma per condurre l’individuo verso la maturità doveva perseguire i propri fini liberamente, con la piena fiducia del genitore.
Nella Grecia antica la paidéia indicava la formazione e la cura degli allievi che, attraverso la cultura e l’educazione, dovevano essere accompagnati verso l’età adulta al fine di ricevere un’istruzione completa e diventare membri attivi e responsabili della polis. In questo percorso avevano un ruolo centrale sia le arti motorie e la cura del corpo, sia l’interiorizzazione dei valori fondamentali della comunità, che costituivano il codice di comportamento e le premesse condivise dalla collettività.
In Germania un’idea simile era quella di bildung, cioè una formazione culturale che doveva condurre l’individuo nel suo processo di integrazione, nello sviluppo del suo potenziale interiore, nella comprensione della propria sensibilità e della propria razionalità. L’idea di bildung metteva al centro le narrazioni, le storie e i romanzi più che l’attività fisica.
Nella società della performance, al contrario, l’educazione è una somma di dati, un’addizione di competenze sviluppate secondo criteri oggettivi. L’insegnante deve trasmettere ciò che conosce e migliorare le prestazioni degli allievi, e tutto il resto è qualcosa per cui non è stato pagato, e che quindi non deve compiere. Negli ultimi anni sono in forte crescita le cause intentate dai genitori nei confronti degli insegnanti, le mozioni e le petizioni contro proposte culturali autonome da parte di istituti o singoli docenti.
Nella società della performance la scuola deve trasmettere delle nozioni (di matematica, scienze, italiano), e non educare alle relazioni, al rispetto della legalità, delle differenze di genere e di ogni diversità, per esempio. Ogni proposta che vada nella direzione di una formazione totale dell’individuo – non religiosa o ideologica, ma liberale e inclusiva – può essere bloccata da una manciata di firme, e quasi sempre viene fatto. Il genitore può valutare ogni performance dell’insegnante, perfino il modo in cui l’insegnante ha valutato il figlio. Se ritiene che la performance della valutazione da parte dell’insegnante sul proprio figlio non sia stata trasparente, può esporre un ricorso.
Poco prima che questo libro andasse in stampa sono state rese note le modifiche riguardanti la prima prova dell’esame di stato, tra cui spicca l’eliminazione dello scritto di storia. Questa eliminazione è giustificata, ha spiegato il linguista Luca Serianni, dal fatto che «solo l’1% dei ragazzi sceglie la traccia di storia tra quelle disponibili per la prima prova» di maturità. Se i ragazzi non la scelgono, quindi, meglio rimuoverla. Non occorre preoccuparsi del perché la storia sia scelta così poco: la società della performance non ha tempo per recuperare quel che resta indietro. Come ha dichiarato Andrea Giardina, presidente della Giunta centrale per gli studi storici: «Non stiamo parlando di fenomeni commerciali. Non è che se il prodotto non tira, allora lo ritiro dal mercato».
Solo ignoranza
Sbaglia chi reputa volontario e manipolatorio il tentativo di rimuovere la storia dall’esame di maturità da parte di questo o quel governo: non c’è l’intento di manipolare gli studenti per renderli più addomesticabili, meno consapevoli, meno capaci di far basare il proprio diritto di cittadinanza sulla conoscenza storica: «È solo una questione di ignoranza, incuria. E sembra quasi normale, purtroppo, che in un Paese che non dedica risorse all’educazione, si possa arrivare a sostenere che la storia non abbia importanza», ha dichiarato a proposito la storica Simona Colarizi. Non ci sono le condizioni mentali per praticare un ripensamento integrale del sistema scolastico. Mentre le università si trasformano in aziende, le scuole diventano strutture utili esclusivamente a tenere fermi nello stesso posto gli spiriti esplosivi delle ragazze e dei ragazzi. In tanti non si rendono conto dello splendore incarnato dagli studenti di oggi. Ne parlano male, li giudicano svogliati e inadatti ad apprendere, ma la verità è che non li capiscono. Non sanno emozionarli perché non riescono a vedere in loro la meraviglia, che invece è lì e non aspetta altro che uno stimolo, un “ti vedo e ti riconosco”. I ragazzi di oggi sono bombe a orologeria che scuola e università provano in tutti i modi a disinnescare. La scuola e l’università vanno ripensate radicalmente, perché continuano a voler estrarre petrolio dal Sole: una fatica inutile, un dolore inutile, e uno spreco, perché avrebbero a disposizione una quantità sterminata di energia solare.
Una condizione simile impoverisce il terreno educativo e lega le mani agli insegnanti mossi da un’autentica vocazione. Cosa diventa il loro lavoro se – durante le ore che passano insieme a studenti che avrebbero bisogno di un’educazione ai sentimenti, alla vocazione, al pensiero – devono limitarsi alla somministrazione di nozioni, valutandole in base a criteri predefiniti? L’insegnante deve offrire una performance senza mai uscire dalle direttive, e lo studente deve rispondere con un’altra performance senza mai offrire una risposta originale: è semplicemente un cliente costretto ad acquistare da un negoziante articoli che non interessano a nessuno dei due.
Questo modello è già molto forte negli Stati Uniti, come Azar Nafisi sottolinea ne La Repubblica dell’Immaginazione. Dai programmi di studi americani stanno sparendo progressivamente educazione musicale, storia dell’arte, narrativa. Perché non servono, non si prestano a test a risposta multipla, non creano performer migliori. Scrive Nafisi:
Non ci deve essere interazione fra il lettore e il testo o fra il testo e il suo contesto. Gli studenti devono solo raccogliere “evidenze” oggettive, e ogni interpretazione soggettiva è malvista. C’è dunque da stupirsi se la narrativa – che trabocca proprio di quelle domande senza risposta che ci si presentano nella vita – è l’ultima ruota del carro? Pensiamo ai metodi di insegnamento raccomandati in questo “modello”. In una classe media, tutti gli studenti arriverebbero alla stessa conclusione dopo aver letto il discorso di Gettysburg? L’evidenza li orienterebbe tutti nella stessa direzione? Non siamo di fronte a un complotto ordito dai politici, dai miliardari o dalla Camera di Commercio, come alcuni critici hanno velatamente lasciato intendere, ma a qualcosa di molto più subdolo e difficile da affrontare: il prodotto di una mentalità pericolosa, di una visione che con le migliori intenzioni mira a dare un contributo positivo, come tutti noi. […] Il senatore repubblicano dell’Alabama Jefferson Beauregard Sessions iii ha scritto una lettera all’allora presidente in carica dell’Ente nazionale delle discipline umanistiche, Carole Watson, e le ha chiesto perché stesse spendendo denaro per progetti senza valore che ha elencato come segue:
Qual è il significato della vita? ($ 24.953)
Perché ci interessa il passato? ($ 24.803)
Che cos’è una vita felice e come la si vive? ($ 25.000)
Perché le persone cattive sono cattive? ($ 23.390)
Che cos’è la fede? ($ 24.562)
Che cos’è un mostro? ($ 24.999)
Perché gli esseri umani scrivono? ($ 24.774)
Nel frattempo, il governatore repubblicano della Florida, Rick Scott, ha informato gli elettori che invece di buttare soldi nelle discipline umanistiche lui vuole “spendere i nostri dollari per dare alla popolazione laureati in Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica, in modo che trovino lavoro, quando escono da scuola.
Anche diversi ministri (di ieri e di oggi) hanno fatto affermazioni simili, perché la società della performance è l’esaltazione universale della tecnica, del progresso e dell’efficacia. Devi scegliere una facoltà che ti dia nel tempo più breve la migliore performance. Se scegli di studiare più a lungo, il tuo sforzo avrà comunque lo scopo di migliorare la performance. Per quale altro motivo potresti farlo altrimenti? Per piacere, per gusto, per curiosità? Ma dai! Lo spazio dell’originalità e dell’immaginazione ti verrà concesso solo dopo che ti sarai piegato alla legge della produttività, altrimenti potrai finire a fare un McJob – cioè un lavoro di bassa manovalanza che non richiede competenze specifiche e ti rende facilmente sostituibile. Se vuoi essere insostituibile, unico, se vuoi che il tuo valore venga riconosciuto, devi essere disposto a esporre nel tuo curriculum tutto ciò che possa suscitare interesse e avere valore commerciale, dunque fare ricorso anche a quello che preferiresti tenere per te, i tuoi affetti, le tue passioni e – perché no? – anche le tue perversioni.
Educazione ai talenti, educazione alla vocazione
Educazione viene dal latino educĕre e significa “tirare fuori ciò che sta dentro”. In altre parole, chi educa ha il compito di accompagnare fuori ciò che si trova profondamente all’interno della persona, e che la persona da sola può percepire ma non riesce a far emergere. Occorre una e-ducazione, cioè l’attivazione di un processo di emersione...