1. Una modernizzazione sfrenata
Amore e odio. Bellezza e bruttezza
Odi et amo direbbe Catullo. Bellezza e bruttezza si mescolano senza fine nella città sul Bosforo. Molti turchi affermano di provare sentimenti contrastanti riguardo alla nuova realtà in cui vivono. Costruzioni orribili pullulano un po’ ovunque, in centro come in periferia. Palazzi storici sono spesso deturpati da cartelloni pubblicitari o sgargianti insegne al neon sui muri. Se si ha l’occasione di salire sulle terrazze di Galata, quartiere storico e centrale, la vista sul mare è spesso ostruita da costruzioni di acciaio e cemento. Sullo sfondo, alti grattacieli hanno rimodellato lo skyline della città. Quando si attraversa il Bosforo si vedono in lontananza imponenti grattacieli su ambedue le sponde, sia in quella europea che nella parte asiatica. Prima erano i gabbiani e i minareti ad attrarre l’attenzione del turista, oggi sono soprattutto le altissime costruzioni verticali e i grandiosi ponti a fare da protagonisti.
Nel settembre del 2017 un giovane ragazzo turco ha creato un interessante account su Twitter e Istagram, Çirkin İstanbul – ossia “brutta İstanbul”. Denuncia quotidianamente gli orrori edilizi, i mostri architettonici sparsi nella metropoli e l’abusivismo dilagante. Oggi ha più di cinquantamila seguaci. Pubblica foto che lui stesso ha scattato o che amici e parenti gli hanno inviato. Per motivi di sicurezza, ha dichiarato di voler rimanere anonimo:
Viviamo in un regime autoritario e non possiamo sapere se una persona che parla dei problemi della società e della cattiva pianificazione urbana può essere accusata di qualcos’altro. […] In un paese dove le persone possono essere arrestate per quello che twittano, le precauzioni non sono mai troppe.
Il giovane è un semplice cittadino che spera, attraverso la sua denuncia social, di aprire gli occhi a chi non si accorge che la città sta peggiorando di giorno in giorno.
Contemporaneamente ha aperto un altro account, guzel İstanbul, “bella İstanbul”. Qui, viceversa, pubblica tramonti mozzafiato, edifici ottomani di indiscusso fascino, momenti culturali importanti per la città. Ha quindicimila seguaci su questo account cinguettante. Come lui stesso ha spiegato sul suo profilo, ama la città in un continuo flusso di amore e odio. E denuncia, senza esitazione, sia l’apparato statale che il settore privato per aver spesso imbruttito una città altrimenti meravigliosa. Sostiene che la situazione attuale è il risultato del «deterioramento della coscienza estetica da parte della classe media […] e di una mancanza di interesse estetico da parte degli appaltatori che si affannano a rimodellare la metropoli con più cemento e vetro di quanto essa stessa possa sopportare».
Molti edifici vengono distrutti solo per business edilizio e altrettanti vengono malamente ristrutturati. Tanti ristoratori, per esempio, non esitano a profanare un edificio storico con una massiccia segnaletica solo perché la ritengono utile per i loro affari: è questa la mentalità che il giovane turco vorrebbe, idealmente, estirpare. Alla prova dei fatti, però, gli imprenditori edili continuano a far pullulare centri commerciali e compound, quando la città già ne è soffocata. Una curiosità è proprio legata al numero degli shopping mall, da capogiro: secondo le cifre rese note dalla Jones Lang LaSalle di İstanbul (Jll), ci sono 123 centri commerciali nella metropoli turca, quindici in costruzione che dovrebbero essere completati entro il 2021, per un totale di 138. Se si prende in considerazione tutta la Turchia sono presenti e aperti al pubblico 431 shopping mall su tutto il territorio e 38 sono in costruzione.
La trasformazione urbana che la metropoli ha subito negli ultimi decenni è sotto gli occhi di tutti. Molti quartieri di grandi dimensioni sono stati evacuati e demoliti per far posto a nuovi nuclei abitativi o edifici destinati a uso pubblico concepiti a tutto vantaggio delle classi più abbienti, siano esse turche o straniere. Megaprogetti, tra cui il nuovo aeroporto che vuole ambire a essere il più grande del mondo e il grandioso progetto del canale di İstanbul, minacciano di devastare l’ambiente e stimolare ulteriormente il sovrasviluppo urbanistico. Insomma, bellezza e bruttezza si mescolano in continuazione. Ma la posizione geografica e il passato storico la rendono una delle città più affascinanti al mondo. «La bruttezza da cui è stata sommersa la città negli ultimi vent’anni è temporanea e reversibile, mentre la sua bellezza è permanente e immortale»: mi disse, un giorno, un collega turco. Come dargli torto.
Economia tra ieri e oggi
La linea programmatica, sposata fin da subito da Recep Tayyip Erdoğan e che gli ha assicurato un consenso più ampio di chi lo ha preceduto, è l’orientamento all’economia di libero mercato. Con le sue ricette economiche, ha traghettato la Turchia verso una fase di crescita e di miglioramento del tenore di vita di una parte consistente della popolazione. Per capire oggi il paese della Mezzaluna, è fondamentale fare un passo indietro ed elencare brevemente i capisaldi della politica economica del partito di governo della Turchia, l’Akp, partito per la Giustizia e lo Sviluppo. Quando l’ Akp andò al potere, nel 2002, la situazione economica stava migliorando. Il terreno era fertile per promuovere nuove riforme. Il governo precedente aveva infatti da poco raggiunto un accordo con il Fondo monetario internazionale (Fmi) per protrarre di tre anni un prestito importante e nello stesso tempo l’Unione Europea aveva concesso alla Turchia un ingente prestito. Il programma economico, improntato tutto al liberismo, si basava su tre pilastri: abbattere il tasso di inflazione, ridurre la disoccupazione, e rimodellare una disciplina fiscale. L’accordo con il Fondo monetario internazionale venne poi rinnovato nel 2005. Il paese, in quegli anni, conobbe una crescita economica senza precedenti. Rivoluzionaria fu anche l’introduzione di facilitazioni per il credito, tra cui i pagamenti rateali attraverso la carta di credito. Nel 2005, quando la ripresa ormai era solida e l’inflazione viaggiava attorno al 7-9 per cento, Erdoğan creò la nuova lira turca, togliendo sei zeri al valore della vecchia valuta. Anche all’estero la Turchia pareva più stabile. Sicché alle buone performance dell’economia contribuì anche la fiducia degli investitori stranieri: basti pensare che nel 2007 gli investimenti diretti esteri toccarono la cifra record di 22 miliardi di dollari. La qualità della vita delle persone, dunque, migliorò: si ampliò la classe media e in molti conobbero per la prima volta la ricchezza. Chi stava bene, invece, aumentò e consolidò i propri introiti. Ma è anche vero che nelle grandi città, si è allargata enormemente la forbice sociale nel corso degli anni. İstanbul è stata al centro di una profonda trasformazione urbana secondo le logiche del profitto e nella esclusione dei poveri. La gentrificazione e la divisione sociale sono state alimentate, come vedremo più avanti, nel nome dell’innovazione e dello sviluppo urbano.
In questo quadro di crescita, un’attenzione particolare va rivolta alla regione anatolica. Perché se è vero che le grandi città, İstanbul in primis, sono il biglietto da visita di Erdoğan all’estero, è anche vero che il suo bacino più esteso di elettori si trova proprio in Anatolia. Fu proprio Turgut Özal, leader del Partito della madrepatria (Anap), negli anni Ottanta, a iniziare a far entrare la Turchia nei mercati internazionali trasformando il paese da uno “stato di sicurezza” a uno “stato commerciale” e contribuendo alla formazione di una vasta area elettorale costituita da piccoli e medi imprenditori provenienti dalle zone interne della Turchia, che negli anni di governo di Erdoğan sono diventati lo zoccolo duro dell’elettorato dell’AK Parti.
In quel periodo, che va dal 2002 al 2007, furono lanciate numerose iniziative per lo sviluppo della regione. Vennero promosse nuove aree industrializzate con facilitazioni fiscali e strutturali. Specie in quell’area geografica, vennero presi provvedimenti in soste...