Creiamo cultura insieme
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10 cose da sapere prima di iniziare una discussione

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10 cose da sapere prima di iniziare una discussione

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Informazioni sul libro

Il problema è questo: spesso le persone litigano per delle questioni che si risolverebbero in cinque minuti al massimo, se solo si sapessero certe cose. Ci sono delle regole di base della comunicazione, delle indicazioni su come poter percepire il mondo attorno a noi, delle teorie della psicologia umanistica e un altro paio di cosette che, se tenute a mente, possono davvero stravolgere l'esito di una discussione. E attenzione: non si tratta di manipolazione, si tratta del modo migliore di rispettare se stessi e gli altri. Il libro ha l'obiettivo di rendere fruibili a tutte e a tutti queste regole, raccontandole attraverso esempi di vita vera, per creare cultura insieme.

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Informazioni

Editore
Tlon
Anno
2020
ISBN
9788899684761
PREMESSA (VERA)
Quando ho detto a una mia cara amica che avrei voluto cominciare a scrivere questo libro dalla premessa, ha strabuzzato gli occhi. «Sei matta? La premessa la scrivi alla fine, quando sai effettivamente cosa hai detto nel libro, altrimenti se la scrivi ora e poi viene fuori una cosa completamente diversa, non hai più voglia di riscriverla e ti ritrovi una premessa che non c’entra nulla con tutto il resto».
In effetti, avrebbe avuto senso. Avrebbe avuto.
Però per me questo libro non è un saggio, è la trasposizione su carta dei miei bisogni e io ho bisogno anzitutto di dirmi perché. Quindi in questa premessa non parlerò del contenuto (perché la mia amica ha ragione, come spesso accade) ma racconterò le motivazioni che mi hanno portata a voler scrivere questo libro, del quale non esiste neanche una pagina mentre picchietto le dita sui tasti.
E parlandovi del perché, di conseguenza, vi parlerò del come: il modo in cui vorrei scriverlo, cosa mi piacerebbe che pensaste voi leggendolo, come vorrei che vi sentiste.
Ho deciso di scrivere questo libro perché credo, fortemente e immodestamente, che sia necessario.
Capiamoci, non necessario che io scriva questo libro, perché i concetti di cui vi parlerò sono già stati scritti da altri, molto più preparati di me. È necessario che qualcuno renda questi concetti fruibili a chiunque, altrimenti resteranno relegati nei libri di testo che leggono solo gli addetti ai lavori.
Ci sto provando io perché non lo sta facendo nessun altro e arriva un punto nella vita in cui ti rendi conto che quella cosa che ti serve devi crearla tu, perché nessuno lo farà al tuo posto.
Mi sento come Harry Potter, quando vede se stesso rischiare la morte dall’altra parte del lago e aspetta che arrivi il padre a salvarlo, ma il padre non arriva e allora capisce che il Patronus (cioè quella specie di protettore magico con le sembianze di un animale che appare su chiamata sgusciando fuori dalla bacchetta) deve evocarlo lui.
Spesso, online molto più che nella vita vera, vedo le persone litigare anche furiosamente per delle questioni che risolverebbero in cinque minuti al massimo, se solo sapessero certe cose.
Ci sono delle regole di base della comunicazione, delle indicazioni su come poter percepire il mondo attorno a noi, delle teorie della psicologia umanistica e un altro paio di cosette che, se tenute a mente, possono davvero stravolgere l’esito di una discussione. Le persone arrivano allo scontro perché partono dal presupposto che il loro avere ragione implichi l’avere torto dell’altro. E questo significa non prestare la minima attenzione al mondo dell’altra persona, che è altrettanto convinta di avere ragione.
Ecco, si può imparare a smettere. A smettere di credere che il Sole ci giri intorno senza per questo rinunciare alle nostre battaglie o silenziare le nostre emozioni.
Più persone leggeranno queste cose, meno troveremo faide online fatte di commenti infiniti in cui nessuno legge nessun altro fino in fondo e tutti continuano per la propria strada.
E visto che mi piacerebbe che davvero questo libro lo leggessero più persone possibili, voglio scriverlo come se stessi parlando di questi argomenti tra amici.
Voglio usare un linguaggio semplice, un po’ perché il mio pubblico è abbastanza giovane e un po’ perché credo che un concetto detto in maniera comprensibile sia più fruibile anche da un pubblico adulto.
C’è questa convinzione/convenzione che per scrivere un libro su un tema serio si debba essere seri, finendo per scrivere frasi che somigliano alle supercazzole di Amici miei alle quali però dobbiamo tutti annuire come se stessimo capendo.
Io credo invece che un concetto importante vada detto nella maniera più chiara possibile, perché la cultura non dovrebbe appartenere solo ai letterati e dovremmo smettere di pensare che difficile sia sinonimo di intelligente.
Cioè, io sono sicuramente una persona difficile, ad esempio.
Ecco, non ho altro da premettere.
Voglio dirvi delle cose che potrebbero anche aiutarci nella vita e voglio farlo senza che il libro suoni come il paper di un dottorato.
Vorrei che vi sentiste compresi, accolti. Vorrei che questo scritto diventasse un porto sicuro al quale fare ritorno nei momenti di confusione. Vorrei farvi riflettere e vorrei farvi ridere.
E vorrei davvero, davvero riuscirci.
Perciò cominciamo.
Expecto Patronum.
Capitolo 1
La realtà non è oggettiva
La prima cosa da fare quando ci si approccia a una discussione è provare a tenere a mente che le cose che noi abbiamo visto accadere e le cose che sono accadute realmente non coincidono quasi mai o comunque non necessariamente.
E voi starete dicendo: “Irene, avevamo detto di farla semplice o sbaglio?” Avete ragione, facciamo un passo indietro.
Noi impariamo a conoscere il mondo che ci circonda attraverso la percezione. Vediamo, sentiamo, tocchiamo... E partiamo dal presupposto di stare vedendo ciò che c’è.
Sto scrivendo questo capitolo in una camera d’albergo. Mi guardo intorno e vedo un bellissimo tavolino in marmo, un divanetto (fortunatamente) in ecopelle, una vetrata con gli infissi in legno. In bagno ci sono anche dei campioncini di shampoo che ovviamente finiranno nel mio beauty-case prima della partenza.
Ecco, se qualcuno mi chiedesse “quello che hai visto in camera è tutto ciò che c’è in camera?” gli risponderei di sì. Però non è vero. In questa camera ci sono altre cose che io non posso vedere, cose che non ho ancora visto perché non ho guardato con attenzione e cose che ho visto e che in realtà non ci sono, perché non ho un occhio allenato. Ora le scopriamo insieme, come quando devi trovare le differenze nella «Settimana enigmistica».
Anzitutto questa stanza è piena di acari e polvere.
Detta così potrebbe sembrare una pessima recensione su TripAdvisor. In realtà la stanza è pulita, a occhio nudo, ma rimane piena di acari e polvere. Lo è strutturalmente. Alla mia destra, appoggiato sul tavolino, c’è il mio telefono. Sullo schermo i batteri stanno dando una festa, il party dei microbi. Ci sono più batteri su un cellulare di quanti ce ne siano in un water. Eppure lo teniamo sempre vicino a noi e non abbiamo problemi ad appoggiarcelo sulla guancia. Perché? Perché l’essere umano non può vedere i batteri senza l’utilizzo di strumenti specifici.
È quindi il momento di dare un’informazione: noi vediamo la realtà attraverso dei filtri. Suona molto Matrix all’inizio, ma poi ci si abitua. Nello specifico, parliamo di tre filtri. Il primo è quello biologico: non possiamo vedere tutto o sentire tutto. Non vedo la polvere così come non vedo gli infrarossi o non sento gli ultrasuoni. Questo vuol forse dire che non esistono? Posso davvero essere così arrogante da pensare che siccome non lo sto vedendo significa che non ci sia?
Non poter vedere o sentire tutto significa che non possiamo avere ogni punto di vista.
Una volta compreso questo passaggio, scatta immediatamente la domanda: “Cos’altro non starò vedendo?”. Per certi versi è un po’ angosciante, ma sempre meglio che vivere nell’illusione di conoscere tutto.
Procediamo con il tour.
Ho parlato di un divanetto in ecopelle e ho aggiunto tra parentesi un “fortunatamente”. Questo perché vivo in una società che dà sempre più importanza all’ambiente, agli animali, al rispetto per le diverse forme di vita. Essere eco-friendly e sostenibili sta diventando addirittura una moda, perciò io sono portata a pensare che l’ecopelle sia meglio della pelle. Vedo quel divano e non rimango neutra, penso qualcosa di quella scelta. Questo è il secondo filtro, il filtro sociale.
Non possiamo approcciare il mondo senza un criterio, non possiamo non avere una chiave di lettura quando guardiamo la realtà. Insomma, non possiamo non avere un punto di vista. Io vedo il divano, faccio qualche connessione e traggo delle conclusioni che mi portano a pensare bene di questo albergo tanto da tornarci.
Sposto lo sguardo a sinistra, continuando il gioco.
Cos’è quella cosa orrenda marrone chiaro? Ah, è il tavolino che sostiene la televisione. Giuro, è la prima volta che lo vedo. Eppure ieri sera la tv era lì, ho davvero pensato che fluttuasse in aria? Il tavolino in marmo che mi piace tanto è a trenta centimetri da quello incriminato, ogni volta che l’ho guardato nel campo visivo deve esserci stato anche l’altro. Come mai non ci ho mai fatto caso? Se ci penso mi è chiaro: il marmo mi piace molto, il legno chiaro lo trovo dozzinale. Il tavolino in marmo sembra ricercato, quello in legno pare uno scarto di produzione e a pensarci bene stona parecchio.
Insomma, i miei gusti influenzano la mia percezione. Questo è il terzo filtro, il filtro personale.
Ci insegna che noi non possiamo che avere il nostro punto di vista, che è parziale per definizione.
Noi conosciamo la realtà per come appare ai nostri occhi.
Non abbiamo un quadro completo, e la descrizione che facciamo di quei piccoli frammenti che vediamo dice molto poco della realtà in sé: dice molto di più di noi e dei nostri occhi che la stanno guardando.
Il fatto che io non abbia notato il tavolo in legno o abbia presunto che il divano non fosse in pelle non dice nulla della realtà. Sono tutte cose che parlano di me, del mio modo di guardare, dei miei gusti, delle mie convinzioni, delle mie scelte.
Quando ho guard...

Indice dei contenuti

  1. PREMESSA (VERA)
  2. CONCLUSIONI
  3. BIBLIOGRAFIA