1.
La dipendenza come frattura
nella relazione tra individuo e ambiente
1. Gli approcci al consumo di sostanze stupefacenti
Il tema della droga, nell’evolversi del tempo, è stato oggetto di interesse di molteplici studi in diversi settori disciplinari e numerose sono le operazioni definitorie e le analisi eziologiche del consumo di sostanze stupefacenti, alquanto difformi a seconda del focus di attenzione, che si sono susseguite a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Lo scopo di questo paragrafo è quello di introdurre il “mondo della droga” attraverso un breve excursus dei più diffusi approcci che hanno interpretato tale fenomeno disegnando un volto dai tratti spigolosi e dalle sembianze camaleontiche.
Dal punto di vista medico-psichiatrico, le droghe sono sostanze psicoattive, di origine naturale o sintetica, il cui consumo agisce sul sistema nervoso centrale attraverso l’alterazione dei processi di trasmissione dei segnali e delle informazioni tra cellule nervose, rallentando o stimolando la produzione di sostanze neurotrasmettitrici, e genera la compromissione degli equilibri psicologici e dei normali processi mentali quali emozioni, pensieri, apprendimento, memoria, percezioni. Per quanto concerne i disturbi connessi all’utilizzo di sostanze, mentre il DSM-IV-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) distingueva tra “Disturbi Indotti da Sostanza” (patologie provocate dagli effetti biologici delle sostanze tossiche sull’organismo, come le psicosi o i disturbi dell’umore) e “Disturbi da Uso di Sostanze” (una modalità patologica d’uso che conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativi) – nello specifico, “Abuso di Sostanza” e “Dipendenza da Sostanza” –, il nuovo DSM-V ha apportato alcune modifiche al testo precedente riconducendo queste ultime due categorie ad un unico “Disturbo da Uso di Sostanze”, le cui caratteristiche principali sono costituite da un insieme di sintomi cognitivi, comportamentali e psicologici che indicano che l’individuo continua ad usare sostanze nonostante i problemi significativi ad esse correlati. Il “Disturbo da Uso di Sostanze”, definito come «una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a disagio o compromissione clinicamente significativi» (DSM-V), è misurato su un continuum da lieve a grave e i criteri diagnostici, molto simili ai precedenti, fanno riferimento ad un elenco di 11 sintomi, la cui presenza di almeno due di essi in un arco temporale di 12 mesi è necessaria ai fini della sua diagnosi1. Con l’introduzione degli indici di gravità nel ricorso alle sostanze, questo disturbo può definirsi lieve quando si riscontra la presenza nel soggetto di 2-3 sintomi, moderato se sono presenti 4-5 sintomi, grave nel caso di almeno 6 sintomi. Le modifiche ad opera del nuovo manuale diagnostico riguardano l’inclusione del craving nella lista dei sintomi presente nella precedente versione, ossia il forte desiderio di utilizzare sostanze, e l’eliminazione del criterio riguardante i problemi legali ricorrenti, a causa della difficile applicazione a livello internazionale.
Le droghe provocano una alterazione biochimica cerebrale e possono produrre, a seconda delle loro proprietà, effetti depressivi, eccitanti, di natura allucinogena e, in taluni casi, congiunti tra loro. In particolare, l’American Psychiatric Association raggruppa le sostanze psicoattive in 10 classi: alcool; caffeina; cannabis; nicotina; allucinogeni; cocaina; inalanti; oppiacei; fenciclidina; sedativi/ipnotici/ansiolitici (APA, 2000).
Il malessere psico-fisico generato nel soggetto conseguentemente all’assunzione della sostanza può presentarsi in diverse forme ed è legato, oltre alle caratteristiche biologiche del consumatore, al tipo di sostanza, alla quantità e alla frequenza con la quale essa viene ingerita. Il deterioramento dello stato di salute in ambito neuropsichico rappresenta, però, solo una possibilità degli esiti nocivi delle condotte legate all’uso di droghe, le quali possono configurarsi altresì rischiose in quanto contribuiscono alla contrazione e allo sviluppo di patologie fatali o che, comunque, determinano cambiamenti permanenti nel consumatore, rappresentando una minaccia aggiuntiva ai fini della ricostruzione delle relazioni sociali e della sua integrazione nella comunità.
Nell’interpretazione dell’eziologia del consumo di sostanze psicoattive, gli approcci biologici individuano come fattori responsabili meccanismi fisici presenti negli individui, acquisiti con la nascita e variabili tra i soggetti, in concorso con componenti legate all’ambiente, i quali insieme influenzerebbero l’esperienza con le droghe una volta avvenuta l’esposizione alle stesse. Gli approcci psicologici, invece, privilegiano prospettive centrate sull’individuo che riferiscono a caratteristiche di natura psicologica e sono riconducibili a due principali teorie: quelle del rinforzo, secondo le quali i consumatori di sostanze sono individui che hanno sperimentato esperienze gratificanti con l’uso di droghe e per tale ragione continueranno ad utilizzarle, e le teorie psicodinamiche, le quali postulano che coloro che assumono droghe sono soggetti dotati di un certo tipo di personalità che li induce all’uso/abuso. Il ricorso alla droga può essere compreso come espressione di un disagio psichico o una inclinazione del soggetto, soprattutto nelle prime fasi di avvicinamento alla droga, verso condotte rischiose, ad esempio per il desiderio nutrito di essere engaged in esperienze sconosciute ed eccitanti, cosicché la sensation seeking svolgerebbe una funzione facilitante il precoce uso casuale e sperimentale delle sostanze psicoattive (Zuckerman 1983). L’incapacità della persona di provare piacere attraverso i recettori delle cosiddette “sostanze interne”, le endorfine naturali, derivante dal godimento delle “normali” sensazioni della vita indurrebbe all’assunzione di sostanze “esterne”, le quali presto rendono il soggetto dipendente da esse al fine di evitare la terribile esperienza dell’astinenza (Cambria 2002).
Mentre gli indirizzi biologici e psicologici mettono in rilievo i tratti distintivi individuali come precursori del consumo di sostanze, le teorie sociologiche pongono l’enfasi su fattori strutturali e chiamano in causa le situazioni, le interazioni, le strutture sociali nelle quali il soggetto è inserito. Secondo alcuni approcci, il consumo di sostanze stupefacenti deve collocarsi nel quadro delle condotte devianti, quei comportamenti che violano le norme giuridiche o quelle che orientano l’agire socialmente approvato in una data comunità, manifestazione di «non conformità a una norma o complesso di norme accettate da un numero significativo di individui all’interno di una collettività» (Giddens 2010, p. 118). In queste vi rientrano la anomie theory (Merton 1957), che individua la fonte del comportamento deviante nel conflitto tra norme e realtà sociale; la social control theory (Hirschi 1969) e la self-control theory (Gottfredson e Hirschi 1990), che discutono la devianza in termini di processo naturale se l’individuo non è sottoposto a forme di controllo sociale; la social learning theory e la subcultural theory (Akers et al. 1979; Becker 1953, 1963; Sutherland 1949), che concepiscono la devianza come fenomeno socialmente costruito; la conflict theory (ad es., Currie 1994), in cui la condotta deviante diventa una reazione alle disuguaglianze tipiche del sistema capitalistico, ai problemi strutturali della società. In altri casi, si pensi al modello di selective interaction/socialization (ad es., Kandel 1980), il consumo di sostanze stupefacenti è invece interpretato come il prodotto dell’interazione tra fattori psicologici e subculturali, per cui background sociale, familiare e personale, insieme con i processi di socializzazione all’interno del gruppo di appartenenza, sono componenti che possono persuadere o dissuadere dall’uso di droghe2.
Per quanto concerne i capisaldi della sociologia che associano il consumo di sostanze stupefacenti ad una condotta deviante, tra le teorie funzionaliste si situa la teoria dell’anomia così come sviluppata dal sociologo americano R.K. Merton (1949), il quale, riprendendo il concetto di anomia – rottura delle regole sociali – di Durkheim, qualifica il “drogato” come un rinunciatario, colui che rifiuta sia le mete culturali che i mezzi istituzionalizzati. Secondo lo studioso, sarebbe la mancata integrazione tra mete culturali – i valori generalmente accettati cui gli individui tendono – e mezzi istituzionali – le vie che una data struttura sociale considera legittime per il loro raggiungimento – a produrre il comportamento deviante. In particolare, la condotta deviante avrebbe luogo quando la via al successo personale, individuata nell’accumulo di ricchezza quale meta prevalente della cultura americana di quei tempi, e in una certa misura di tutte le società industrializzate, è ostruita. Anche se in una data società, competitiva e materialista, il successo economico viene considerato come raggiungibile da tutti i membri, in realtà questo può essere conseguito solo da una piccola proporzione di soggetti in quanto le opportunità di goal-attainment non sono egualmente accessibili. Allora, gli individui che non otterranno il successo, per far fronte al loro fallimento, dovranno escogitare modalità di adattamento devianti o non approvate. In questa tensione tra mete culturali e mezzi istituzionalizzati, tra coloro che sono incapaci di raggiungere il successo vi saranno anche quelli che sceglieranno di rinunciarvi, in quanto non possono accedere ai mezzi istituzionali a causa dei condizionamenti della struttura sociale e non si servono di vie illegittime per l’interiorizzazione dell’obbligo morale di ricorrere esclusivamente a quelle legittime. Appartengono a questa categoria gli individui che si collocano “fuori dalla società”, che vengono definiti retreatist:
In this category fall some of the adaptive activities of psychotics, autists, pariahs, outcasts, vagrants, vagabonds, tramps, chronic drunkards, and drug addicts (Merton 1957, p. 153).
L’applicazione della teoria dell’anomia all’interpretazione dell’uso/abuso di droghe è stata, però, pesantemente criticata in quanto si è ritenuto che i drogati non fossero solo i “falliti” di un dato contesto sociale, colpendo il consumo di sostanze anche soggetti che ricoprono ruoli occupazionali e vivono in condizioni economico-finanziarie ben diverse da coloro appartenenti ai ceti più poveri della popolazione, ed essendo, quello della droga, un mondo dove per restarci bisogna essere dotati di elevate capacità di sopravvivenza. Tuttavia, la presente teoria è stata anche rivisitata e ritenuta valida qualora circoscritta a taluni aspetti dello scenario della droga, come ad esempio quelli riguardanti la vendita di sostanze stupefacenti: questo può essere il caso dei drug dealer, i quali, proprio per l’impossibilità di raggiungere i loro obiettivi nel setting in cui vivono e in quanto non vogliono rinunciare alla realizzazione dei medesimi, trovano un adattamento innovativo nel ricorso a mezzi illeciti, che si presentano ai loro occhi come attrattivi (si veda Goode 2007).
Una diversa chiave di lettura del fenomeno è data dalle teorie del controllo sociale, secondo le quali l’individuo, se non è sottoposto a forme di controllo sociale, commette atti devianti; esse presuppongono che tutti i soggetti, agendo razionalmente, qualora si presentasse l’opportunità adotterebbero comportamenti devianti. La devianza, e in quanto tale la condotta legata all’utilizzo di droghe, non necessita allora di esplicazioni; cosa dovrebbe interessare è il perché alcune persone non violano le norme. La causa del comportamento legato al consumo di sostanze, ancor di più che per ogni altro atto deviante, risiederebbe nell’assenza di controlli che incoraggiano la conformità alle norme della società. Esso è il prodotto dell’inesistenza di legami forti con persone, credenze, attività e istituzioni sociali convenzionali; di conseguenza, maggiore è l’attaccamento dei soggetti alla società convenzionale (ambito familiare, scolastico, religioso e lavorativo), minore è la probabilità che le norme sociali vengano infrante e quindi, per estensione, che le droghe vengano ricercate. Un altro indirizzo che interpreta il comportamento non convenzionale in termini di processo naturale e inevitabile nei soggetti lasciati a se stessi è la teoria dell’autocontrollo, la quale si discosta dalla teoria poc’anzi descritta per l’attenzione che mostra nei riguardi del “come” il controllo viene a mancare. Gottfredson e Hirschi (1990), i quali descrivono l’uso di droga e il crimine come comportamenti del tutto simili, argomentano che i soggetti in tal senso devianti sono individui che vogliono ottenere ciò che desiderano senza considerazione alcuna per le conseguenze sociali e legali che possono derivare dalle loro azioni e per i danni che possono cagionare. Essi sono soggetti impulsivi, violenti, edonistici, molto centrati su se stessi, intolleranti alla frustrazione, guidati nel loro agire da ciò che nell’immediato produce gratificazione e piacere. Il ricorso alle droghe da parte di questi individui, chiara manifestazione del loro orientamento alla vita, avviene in quanto le sostanze, ai loro occhi, sono attrattive, e l’attribuzione di tale fascino è dovuta all’assenza di forme di autocontrollo. Una delle principali cause del basso grado di self-control può essere individuata nell’inadeguata socializzazione da parte dei genitori, i quali, essendo poco affettivi, non hanno monitorato i loro figli e non si sono accorti del loro coinvolgimento in comportamenti devianti.
Una prospettiva di matrice interazionista si rinviene nella teoria dell’apprendimento sociale, che può essere considerata una estensione della teoria della associazione differenziale (Sutherland 1949), nella quale vige il principio secondo cui il soggetto diventa criminale quando le definizioni favorevoli alla violazione di una norma prevalgono su quelle sfavorevoli. La teoria dell’apprendimento sociale, descrivendo le ricompense o le punizioni che gli individui possono ricevere a seguito di certe azioni come processi determinanti la decisione del soggetto di perseguire o astenersi da certe condotte, nell’interpretazione del comportamento deviante ricorre a principi propri della psicologia. L’individuo apprende la definizione dei comportamenti come “buoni o cattivi” attraverso l’interazione con i membri appartenenti a certi gruppi o cerchie sociali, pertanto, in questa prospettiva, l’uso/abuso di droga dipende dall’esposizione a certi modelli e dalla misura in cui il consumo è sostenuto attraverso il rinforzo sociale o, viceversa, ostacolato per via degli spiacevoli effetti della sostanza e delle negative sanzioni giuridiche e sociali nelle quali si incorre (Akers et al. 1979).
La teoria della subcultura si distingue dalle teorie dell’associazione differenziale e dell’apprendimento sociale in quanto sostiene che i processi di socializzazione non avvengano nell’assimilazione del soggetto ad un singolo individuo, ad un amico o un piccolo gruppo (come le seconde affermano), bensì ad un gruppo sociale stabile e ben definito, producendo come risultato una trasformazione nell’identità, nei valori, nelle norme e nel comportamento. Pertanto, il coinvolgimento dell’individuo in una particolare cerchia sociale con attitudini favorevoli attorno all’utilizzo di sostanze incoraggia il ricorso alle droghe, laddove il suo inserimento in un gruppo con inclinazioni negative verso le droghe tende a scoraggiarlo.
Goode (2007), nel sottolineare che l’uso di droghe deve essere conosciuto e compreso nella combinazione di componenti personali, come la predisposizione a problemi di tipo comportamentale, e fattori subculturali, ha sviluppato il concetto di selective interaction/socialization integrando le teorie della subcultura. Lo studioso spiega che i potenziali consumatori di sostanze non “cadono” casualmente nelle cerchie sociali dei soggetti che usano droghe, bensì sono attratti da certi individui e gruppi per una compatibilità con i loro valori e le loro attività, e riconosce un elemento dinamico nei pattern d’uso:
Even before someone uses a drug for the first time, he or she is “prepared for” or “initiated into” its use – or, in a sense, socialized in advance – because his or her values are already somewhat consistent with those of the drug subculture. As a result, the individual chooses friends who share these values and who are also likely to be attr...