La rivoluzione italiana (1918-1925)
eBook - ePub

La rivoluzione italiana (1918-1925)

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La rivoluzione italiana (1918-1925)

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Attraverso i saggi di questa antologia, seguiamo l'evolversi delle posizioni che Piero Gobetti ha assunto nella sua precoce attività editoriale e giornalistica: la situazione politica degli anni venti, lo scontro tra il movimento operaio e la marea montante del fascismo, da lui identificato come autobiografia della nazione, la necessità di promuovere la nascita di una nuova classe dirigente. Nei libri stampati dalle sue edizioni campeggiava il motto "Che ho a che fare io con gli schiavi?" Collaborò con Gramsci a "L'Ordine Nuovo" in qualità di critico teatrale.Piero Gobetti (Torino 1901 – Parigi 1926) ha fondato e diretto le riviste "Energie Nove", "La Rivoluzione Liberale", "Il Baretti". Nel 1924 pubblicò La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia. Tutti i libri dati alle stampe dalle case editrici da lui fondate sono attualmente riproposti dalle Edizioni di storia e letteratura, in collaborazione con il Centro Gobetti di Torino.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La rivoluzione italiana (1918-1925) di Piero Gobetti, Pietro Polito in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Historia e Historia italiana. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788863573367
Argomento
Historia

Per una società degli Apoti 1.

Caro Prezzolini,
Un quadro dell’attività presente che mirasse a definire la nostra “Società degli Apoti” e ne chiarisse i limiti e l’azione sarebbe certo molto utile e io spero che tu stesso ci voglia tornare su e tracciarne un poco, mentre si fa, la storia.
Nessuno può riescire meglio di te che sei stato da quasi vent’anni l’infaticabile direttore e amministratone dell’idealismo militante in Italia Nella valutazione poi del significato politico che ebbe la nostra cultura negli ultimi anni siamo sostanzialmente d’accordo: nessun dubbio che il partito popolare p. es. abbia ripreso gran parte del problemismo unitario e tutto ciò che di sano si nascondeva nel movimento modernista, che Einaudi e la Riforma sociale abbiano alimentato le tradizioni liberali meglio di una organizzazione di partito, che La Voce abbia fatto almeno tanto bene quanto il movimento socialista.
Noi siamo più elaboratori di idee che condottieri di uomini, più alimentatori della lotta politica che realizzatori: e tuttavia già la nostra cultura, come tale, è azione, è un elemento della vita politica.
Senonché anche in questo compito di chiarificazione ideale, io non so se il nostro criticismo operoso ci consentirà un’unità obbiettiva e un’indifferenza, per così dire scientifica di lavoro. La Rivoluzione Liberale p. es. non sarebbe oltre che un organo tecnico di cultura e di libera discussione storica, un punto fermo di ricerca o di giudizio? Ecco il punto in cui lo so che non tutti siamo concordi. Pure se ripenso agli esempi più recenti, da Marx a Sorel mi pare che tutti gli sforzi più originali di pensiero si siano accompagnati con un’intransigente elaborazione di miti d’azione e con una tragica profezia rivoluzionaria. La forza più energica del mondo moderno, il movimento operaio, è la sola su cui si possa operare, per la conquista della nuova civiltà. Ora la pacifica dialettica ideale della Rivoluzione Liberale viene discernendo i pensieri e le esperienze, indica i valori individuali e critica i segni e i propositi. Ma attraverso questo lavoro disinteressato e politico perché apolitico non si andrà formando la nuova classe dirigente? Non ci sono tra noi i futuri dirigenti e ispiratori di quel movimento operaio che risorgerà tra 10 o 12 anni ? Questo è più un dubbio e una confessione che un programma: da otto mesi di vita la Rivoluzione Liberale risulta naturalmente quale l’hanno fatta i suoi collaboratori non soltanto quale l’aveva immaginata il direttore. La discussione, organicamente condotta, e venuta prevalendo sullo sviluppo del programma. Ne avremo frutti più vigorosi ma non sarà dannoso ricordare il punto di partenza.

Per una società degli Apoti II.

Difendere la Rivoluzione.
Mio caro Monti, mio caro Prezzolini, La Rivoluzione Liberale è felicissima di discuter con voi di “Congregazione degli apoti” e di “Scuola libera”. Ma quando dal problema particolare vostro, dall’idea concreta in cui esprimete una vostra esperienza, venite a teorizzare un programma e a porvi l’astrattissima domanda Che fare? allora dovete permettere che io vi interrompa anche a costo di parlare rudemente.
Noi non siamo dei disoccupati; noi sappiamo benissimo che fare. Sappiamo risolvere senza incertezze nel nostro spirito pratica e teoria. Non abbiamo fatto la guerra, ma l’abbiamo respirata nascendo, ne abbiamo imparato un realismo spregiudicato che liquida per sempre i romanticismi dei precursori, di voi che siete ancora i nostri compagni, i nostri fratelli maggiori, ma terribilmente malati della vostra stessa precocità. Noi amiamo troppo La Voce vera, per non saperci distinguere e per non saper rinnegare i sogni ingenui della Voce, che furono bell’e fecondi, non per sè, ma come illusioni suscitatrici di risultati, e che oggi sono inutili, e segno di un’inquietudine malsana. Non già che si sia diventati saggi, e composti, o che abbiamo rinunciato a fabbricare nuovi mondi, ma sappiamo di doverli costruire con disperata rassegnazione, con un entusiasmo piuttosto cinico che espansivo, quasi con freddezza perché ci giudichiamo inesorabilmente lavorando, e conosciamo benissimo i nostri errori prima di compierli e li facciamo deliberatamente, di proposito, sapendone la fatale necessità. Costituendoci ogni istante l’oggetto nuovo della nuova fede abbiamo imparato l’ineluttabilità e insieme l’inutilità della fede. Disprezziamo i facili ottimismi e i facili scetticismi: ci sappiamo distaccare da noi stessi e interessarci all’autobiografia come a un problema. L’azione diventa dunque una necessità di armonia: noi abbiamo una sola sicurezza: la responsabilità, e un solo fanatismo: la coerenza. Preferiamo Cattaneo a Gioberti Marx a Mazzini. Siamo estranei allo spirito del Vangelo: Cristo non ci ha insegnato nulla: se non il sacrificio; ma noi vogliamo un sacrificio più disinteressato (dite pure, se vi pare, più inutile), senza speranze. Ci sentiamo più vicini alla disperazione del Vecchio Testamento; la sicurezza di esser condannati, la crudeltà inesorabile del peccato originale, volendo usare forme mitiche di espressione, è la sola che ci possa dare l’entusiasmo dell’azione, con la responsabilità, con il disinteresse. La nostra volontà è serena, la nostra moralità necessaria perché non abbiamo più bisogno di Messia. Tutto è crudelmente uguale, ma perché la tragedia sia perfetta bisogna pure che ci sia chi si sacrifica, chi insegua, con arido amore, il suo ideale etico. Voi capite che qui al posto del dilettantismo e dell’ingenuità incantata e del propagandismo noi abbiamo messo il pessimismo dell’organicità; non siamo più degli eroi, fosse pure con la malizia ottimistica di Don Chisciotte; ma degli storici disinteressati (artisti) nel senso di Machiavelli che sa trovare la stessa eticità (praxis) in Callimaco, in Castruccio Castracani e nel Duca Valentino e discutere con lo stesso impegno e la stessa serenità indifferente l’impresa della Mandragola e le sue legazioni; trattandoci nell’un caso come nell’altro di far prevalere l’astuzia e attività, (serena, eroica, etica) contro l’inerte ottimismo di qualche messer Nicia (non vi siete mai accorti che frate Timoteo è per M. un personaggio simpatico?).
Ora nella Voce accanto al realismo da cui è nato, poniamo, Amendola, c’era ancor troppo Lemmonio Borea ed è inutile ricordarvi che “Lemmonio Borea” è diventato con perfetta coerenza l’Iliade del fascismo. Quando ci si incomincia a chiedere: che fare? bisogna proprio convincersi che si è in quella posizione di disoccupati, astratta, frammentaria, immorale, umanistica, che definisce l’intellettuale in Italia e presto o tardi bisognerà andarsi a ritrovare in qualche garibaldinismo, o legionarismo, o fascismo. Io temo, da qualche tempo che nel gentilismo (non in Gentile uomo che è così simpatico, rude cattolico, intransigente, settario; ma nel Gentile dei Discorsi di Religione e di Guerra e fede e di Dopo la vittoria che è poi una sola cosa col Gentile nazionalista) ci siano tutte le premesse per il perfetto dannunzianesimo. Se si dovesse, caro Prezzolini, risalire a certe responsabilità della Voce del’14? Io ti confesso che non me ne sento il coraggio tanto mi son abituato a considerarti insieme con gli altri tre miei maestri Croce, Einaudi e Salvemini, la più perfetta antitesi del dannunzianesimo.
***
Tutto questo discorso può forse sembrare generico ma spiega perché le proposte di costituirci in congregazione o di pregare per la rivoluzione, finché sorgono così a caso, ci lascino più stupiti che curiosi. Creare una scuola libera? Ma questo è un altro problema, un altro proposito che in un uomo come A. Monti si può considerare con qualche fiducia sinché egli ci descrive le sue esperienze (vedrete il suo libro Scuola classica e vita moderna, che stiamo stampando), ma che incomincia a non esser più evidente appena si fanno programma per l’avvenire. Verrà l’esame di Stato? Potrebbe anche darsi: ma per me e per il progetto di Monti l’esame di Stato non è nulla finché non si sopprimono metà delle attuali scuole medie: e a questo certo non si verrà. E dove sono gli uomini maturi per insegnare nel modo nuovo? Ha ragione Monti; Prezzolini è uno dei più singolari educatori nostri, e con lui Ansaldo, Papafava, Emery, Formentini, Caramella, Fubini, Sapegno e cento altri; ma educatori, almeno per quel che se ne può giudicare sin qui, in quanto facciano ciò che fanno, studino, pensino e scrivano articoli, libri, conferenze, ecc. La Voce, L’Unità, La Rivoluzione Liberale sono scuole libere, scuole alla greca, ma finché restano La Voce, L’Unità, La Rivoluzione Liberale e in questi organismi si limitano le esperienze di maestri di molti di noi. Sapremo fondare utilmente delle scuole? E’ un’altra cosa: possiamo provarci, appena ne sentiamo vivamente il bisogno: ma sia ben inteso che il cimento è tutto diverso da quel di prima; si tratta di fare una cosa nuova e bisognerà ben vagliarne l’utilità e gli effetti, che potrebbero anche essere tutt’altro che felici. Io, per es., non ho nell’istituto scolastico tutta la fede che ha Monti, forse perché non ho, come Monti ha, il mio liceo, frutto di vent’anni di lavoro: e Prezzolini, Ansaldo, Emery e tanti altri saranno per l’appunto d’accordo con me. Ad ogni modo fondare delle nuove scuole, checché ne pensi l’amico Monti, non è più rivoluzionario che il far una rivista nuova; ossia non è che un elemento del processo delle iniziative e bisogna tenerlo al suo posto, nei suoi limiti, senza attribuirgli nessun significato palingenetico che lo trascenda, altrimenti tutti i nostri sforzi di autonomia si distruggeranno da sé medesimi. Discutiamo di scuola; vediamo se siamo capaci di fondar noi le nostre scuole riformate: il tempo ci mutererà: i risultati verranno, ma queste sono soltanto le premesse dell’elaborazione.
Ecco il punto: bisogna smetterla con le inquietudini e le conclusioni ed enunciare delle premesse, invece che dei programmi. Siamo rivoluzionari in quanto creiamo le condizioni obbiettive che incontrandosi con l’ascesa delle classi proletarie, indicataci dalla storia, genereranno la civiltà nuova, il nuovo stato: ma non perché ci mettiamo a bandire la rivoluzione, a darne il segno in un articolo di giornale o in un discorso alle masse: anzi la nostra posizione è così delicata e curiosa che noi ci guardiamo bene dal parlare alle masse, temendo che per esse le nostre parole diventino una rivelazione illuministica dall’alto che ne interrompa il salire autonomo.
Potremo formare la congregazione degli apoti? É una proposta che non sappiamo respingere ma nemmeno accettare senza diffidenza. Bisognerebbe prima che Prezzolini ci dicesse bene che cosa vuole: noi non abbiamo nessuna smania di costituirci in ordine chiuso anzi vogliamo essere più aperti che mai e l’inventario si farà tra cent’anni; i frutti li raccoglieranno gli altri e saranno diversi per fortuna da quelli che oggi speriamo.
L’ordine chiuso per noi sarebbe una punizione di difesa: la potremo assumere, ma in un caso specifico, in una necessità concreta. Per esempio di fronte al fascismo. Mentre assistiamo alle più vigliacche dedizioni degli intellettuali ai fasci noi non ci siamo mai sentiti tanto ferocemente nemici di questa intellettualità delinquente, di questa classe bastarda, bollata così definitivamente da Marx e da Sorel e in Russia dai bolscevichi. Sapremo mostrare come ci distinguiamo da questi parassiti anche a costo di ricorrere alla tattica anarchica di insurrezionismo armato, se pare il fascismo non si risolverà allegramente in una palingenesi ottimistica di democrazia e di riformismo. Di fronte a un fascismo che con l’abolizione della libertà di voto e di stampa volesse soffocare i germi della nostra azione formeremo bene, non la Congregazione degli Apoti, ma la compagnia della morte. Non per fare la rivoluzione, ma per difendere la rivoluzione. Mi scrive Papafava dalla Germania le stesse cose: per una possibilità di tal genere, dice, è pronto a ritornare per menar le mani: vedete, noi sappiamo benissimo che fare. Ci sono oltre questa altre vie aperte, altre possibilità? Benissimo; limitata in questo senso la ricerca è utilissima e ringraziamo Prezzolini di aver cominciato la discussione e preghiamolo di continuarla.

Al nostro posto

Se la politica di governo demiurgica e diplomatica consiste nel criticare gli esperimenti inutili avevamo anche noi questa volta la nostra soluzione pronta per la crisi ministeriale: un ministero Amendola con pieni poteri che ponesse e risolvesse anche il problema istituzionale.
Ma tuttavia, questa parentesi studentesca avrà i suoi frutti. Uno dei frutti è intanto la selezione meravigliosa a cui abbiamo assistito nel mondo intellettuale. Istintivamente i migliori si sono stretti intorno alla Rivoluzione Liberale: abbiamo ricevuto le adesioni più inaspettate all’articolo del numero scorso. Si è sentito in uno di quei momenti psicologici che decidono delle validità più istintive e riposte degli spiriti che la Rivoluzione Liberale non é solo una rivista d’idee ma la vera continuità di una tradizione, la nuova classe dirigente, simbolo di un governo e di uno stato. Quello che conta si è che senza essere un partito né una società abbiamo seguito la nostra spontanea disciplina, non abbiamo patito diserzioni.
Si può ancora aver fiducia nell’Italia se c’è un Luigi Einaudi che rifiuta di partecipare al ministero fascista. Si può aver fiducia se c’è un Giovanni Amendola che resta fedele alla sua coerenza e rinuncia serenamente, smascherando l’immaturità inebbriata che gli contrastava.
C’è il caso Gentile; c’è se volete un piccolo caso Marchi. I lettori possono rileggere ciò che scrivemmo nel N. 27, nel N. 31. Non da oggi noi pensiamo che Gentile appartenga all’”altra Italia”. All’ora della distinzione tra serietà e retorica ha voluto essere fedel...

Indice dei contenuti

  1. Questo libro
  2. Per un profilo del gobettianesimo di Pietro Polito
  3. Rinnovamento
  4. La nostra fede
  5. La Rivoluzione Italiana
  6. Trotzki
  7. Manifesto
  8. Storia dei Comunisti torinesi. Scritta da un liberale
  9. Per una società degli Apoti 1.
  10. Per una società degli Apoti II.
  11. Al nostro posto
  12. La Tirannide
  13. Elogio della ghigliottina
  14. I miei conti con l’idealismo attuale
  15. La nostra cultura politica
  16. Le risorse dell’eresia
  17. La citta’ futura
  18. Visita alla Fiat
  19. Antifascismo etico
  20. Guerra agli apolitici
  21. L’ora di Marx
  22. Democrazia
  23. Gruppi della Rivoluzione Liberale
  24. Come combattere il Fascismo
  25. Processo al trasformismo
  26. Saluto all’altro Parlamento
  27. La successione
  28. Illuminismo
  29. Il nostro Protestantesimo
  30. Bilancio
  31. Il fronte unico
  32. Lettera a Parigi
  33. NOTA BIBLIOGRAFICA