Edith Stein «In grande pace varcai la soglia»
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Edith Stein «In grande pace varcai la soglia»

  1. 444 pagine
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Edith Stein «In grande pace varcai la soglia»

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Informazioni sul libro

Edith Stein muore martire del nazismo nel 1942. Al processo per la sua beatificazione, qualcuno, sottovalutando non poco la sua figura e accostandola alla già venerata santa Teresina, si arrischia nel dire: "non sarà una Santa popolare". Un'osservazione particolarmente imprecisa alla luce del giudizio poi generalmente diffuso che ha riconosciuto in Edith "una delle grandi donne del nostro tempo", sia per la sua santità che per la stessa vastissima cultura.Al centro di questo volume, da intendere pure come un omaggio alla sua sensibilità di donna e filosofa, è la vicenda di Edith ebrea-cristiana. Con l'autorevolezza di fonti dirette, memorie personali e testimonianze ufficiali, è tracciato un percorso che la vede ora educata da un ebraismo blando e formalistico, ora alla ricerca di una verità filosofica e di Qualcuno ancora non ben definibile, infine illuminata e pervasa dalla fede cristiana.Dei passaggi decisivi della sua vita se ne isolano tre: quello in cui varca la soglia del cristianesimo, quello della clausura carmelitana e infine quello della camera a gas.Sullo sfondo sta quel suo nome nuovo, di carmelitana consacrata: suor Teresa Benedetta della Croce. La croce che ha incontrato a 31 anni con la conversione e che conosce ancor più nell'orrore della furia nazista.Perché Edith Stein può essere definita una Santa popolare? L'autore spiega e si confronta con questa domanda cercando di dare le sue risposte. Dallo studio delle fonti prese in esame, nasce un'avvincente biografia piena di emozioni, prove, fatti quotidiani e straordinari da appassionare più di un romanzo.È un'opera adatta a credenti e non credenti, a cristiani e ebrei ma che non lascia certo indifferente chi vuole capire il mistero della Chiesa con i suoi martiri.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788872297742

Terza parte

ANNI 1933-1938
«Cos’ha il tuo amore
di diverso?»
(Cantico 5,9)

1 «COME ARRIVAI AL CARMELO»

«Ormai straniera al mondo»


Ad una alunna di Spira, anche lei futura monaca carmelitana a Colonia, Edith comunicava a maggio che le erano state sospese le lezioni per il prossimo semestre «perché io sono di discendenza ebraica». E notava che a suo parere non c’era più posto per lei nelle scuole in Germania.
Molti cervelli fini, colpevoli solo d’essere ebrei, erano dovuti partire specialmente per la Palestina o gli Stati Uniti. Anche il grande Einstein era partito e sul modulo da riempire, alla domanda chi fosse un ebreo, aveva scritto lapidario e ovvio: «È un uomo come tutti». Per i nazisti, purtroppo no.
«Ma non si preoccupi per me», ripeteva Edith a varie persone amiche. E frattanto raccoglieva silenziosamente i documenti di battesimo e cresima per eventuali necessità non certo dettate dal nazismo, ma da un suo progetto personale.
A una collega di Spira diceva:

La prego di trasmettere il mio grazie di cuore alla signora direttrice per la bella lettera di referenze che mi ha mandato. Ho messo con grande gioia i due fogli in una nuova cartellina, insieme ai certificati di nascita e di battesimo che mi sono arrivati da Breslavia. È bello poter dimostrare anche ufficialmente che si è nati e rinati (L Pentecoste 1933).
Ma cosa stava maturando, certo aiutata dall’abate Walzer? Di poter volare al Carmelo. Idea antica che le tornò di colpo in mente non più come possibilità, ma come decisione ormai attuabile.

Fu una diecina di giorni dopo il mio ritorno da Beuron che mi si affacciò il pensiero se non fosse ormai arrivato il momento di entrare al Carmelo. Da quasi dodici anni il Carmelo era la mia aspirazione, da quando, cioè, nell’estate del 1921 la Vita della nostra S. Madre Teresa, venutami per caso tra le mani, aveva posto improvvisamente fine alla mia lunga ricerca della verità: ricevendo il battesimo a Capodanno del 1922, non dubitavo che esso fosse una preparazione al mio ingresso nell’Ordine.
Ma ella non aveva solo da lasciare una professione; aveva da compiere un nuovo taglio, duro sicuramente per lei stessa, ma durissimo anche per i suoi.
Il nazismo le era contro nell’insegnamento perché era ebrea; ma i suoi familiari le sarebbero stati contro una volta di più perché avrebbe accentuato, secondo loro, il suo distacco dall’ebraismo. Questo lo sapeva da sempre e vi si era preparata. Tuttavia, il grande affetto che portava a sua madre che s’era spiaciuta tanto per il suo battesimo, sentì dolorosamente che la decisione da prendere era difficile.
Nel lontano 1922 aveva rinunciato al monastero non solo per obbedire a mons. J. Schwind, ma anche per non addolorare ulteriormente mamma Augusta. A quell’epoca aveva capito subito questo:

La mia cara mamma non sarebbe stata in grado, per il momento, di sostenere questo secondo colpo: non sarebbe morta di dolore, no, ma la sua anima sarebbe stata letteralmente inondata da una tale amarezza che non mi sentivo di portarne la responsabilità. Dovetti dunque aspettare con pazienza, cosa che mi venne confermata anche da chi dirigeva l’anima mia. Ma l’attesa mi riuscì assai dura, soprattutto verso la fine: ero diventata straniera al mondo.
Scrisse queste righe nel dicembre 1938, con le spine ancora nel cuore.
Come sempre, per orientarsi meglio fece ricorso al dialogo con il suo direttore e al dialogo con Dio nella preghiera.

Il 30 aprile – era la domenica del Buon Pastore – si celebrava nella chiesa di S. Ludgerus la solennità del santo Patrono, con la devota pratica delle tredici ore; vi andai verso sera, dicendo a me stessa: non mi muoverò da questa chiesa prima di sapere con chiarezza se mi sia ormai permesso di entrare al Carmelo. Quando, alla fine, venne data la benedizione, il Buon Pastore mi disse il suo sì.
Era un sì che doveva ricevere però la convalida di R. Walzer, il quale solamente un anno e mezzo prima le aveva posto un altro veto, anche per rispetto verso sua madre. Ma un’Edith che ora non poteva fare quello per cui era nata – studiare e insegnare – a che serviva?
Con la sua ferrea logica di figlia e insieme di “chiamata”, pensava:

Allora mi ero sottomessa. Ma ormai tutti gli ostacoli crollavano: la mia attività era troncata e mia madre sarebbe stata certo più contenta di sapermi in un monastero in Germania che non in una scuola del Sudamerica.
Così, secondo Erna, pensava lei, Edith.
All’abate Walter rientrato da Roma spedì impaziente una lettera preparata da giorni. E il Signore confermò quel sì della festa di Santa Caterina da Siena:

Solo a metà maggio ebbi il permesso d’intraprendere i primi passi, cosa che feci immediatamente.
E pensare che a Pasqua, prima di lasciare Beuron «avevo domandato all’Abate che cosa dovessi fare qualora fossi stata costretta a rinunciare alla mia attività a Münster: ma egli non poteva nemmeno pensare ad una simile eventualità», sia perché non immaginava l’evolversi dei fatti, sia perché era fermo nel suo principio: la Chiesa aveva bisogno di una Stein attiva più che contemplativa.

Contatti con il Carmelo di Colonia


Edith aveva ancora abbastanza attenzione per i problemi di filosofia e lo scriveva alla cara Hatti (Hedwig Martius), ma non le diceva che non sarebbe rimasta a Münster, non vedendovi una soluzione alle sue difficoltà. Le nascondeva la nuova svolta che stava per dare alla sua vita.
Attraverso una catecumena ebrea di Colonia, si mise in contatto con la professoressa Cosack. L’aveva conosciuta ad Aquisgrana nell’ottobre precedente, manifestandole il desiderio del Carmelo e i suoi rapporti con il monastero di Colonia.
Durante una passeggiata nel bosco della città di Colonia, Edith il giorno dell’Ascensione si confidò con la Cosack, stimata dalle Carmelitane: le fece notare che aveva l’età di quarantadue anni, che era di discendenza ebraica e mancava di dote.

La Cosack non dette gran peso a tutto ciò, anzi non mi nascose la speranza che potessi essere accettata proprio a Colonia, giacché a motivo di una fondazione progettata in Slesia vi erano posti liberi. Una fondazione alle porte di Breslavia, la mia città natale! Non era un segno del cielo?
Comunicai alla signorina Cosack le informazioni necessarie sulla mia vita per darle modo di farsi un giudizio sulla mia vocazione carmelitana. Ella mi propose spontaneamente di fare insieme una visita al Carmelo di Colonia: conosceva bene suor Marianna (contessa Praschma), designata per la fondazione in Slesia, e desiderava prima parlarle. Mentre si tratteneva in parlatorio, mi ritirai in cappella, inginocchiandomi vicino all’altare della Piccola Santa Teresa. Mi sentivo immersa nella pace di chi ha raggiunto il proprio scopo.
Il loro colloquio durò a lungo ma, quando infine la signorina Cosack mi chiamò, mi disse in tono fiducioso: «Spero che si possa concludere qualcosa!». Aveva parlato prima con suor Marianna e poi con la Madre Priora – allora M. Josefa del SS: Sacramento – e aveva preparata bene la strada. Però l’orario del monastero non permetteva più per il momento un abboccamento in parlatorio: dovevo ritornare dopo il vespro.
Mi trovai invece in cappella assai prima e mi unii al vespro delle religiose. Erano già le tre e mezzo quando venni finalmente chiamata in parlatorio. Madre Josefa e la nostra cara Madre M. Teresa Renata, allora sottopriora e maestra delle novizie, erano venute alla grata. Ancora una volta dovetti render conto della mia vocazione. Dissi come il pensiero del Carmelo non mi avesse mai abbandonata; come, pur essendo stata insegnante presso le Domenicane per otto anni e intimamente unita a tutta la comunità, tuttavia mai mi fossi sentita di entrare da loro. Aggiunsi che consideravo l’abbazia di Beuron come l’anticamera del Paradiso, ma non avevo pensato di farmi benedettina, perché avevo sempre avuto la convinzione che il Signore al Carmelo mi preparava qualche cosa che soltanto lì avrei potuto provare.
Ciò produsse una certa impressione. Sr. M. Teresa Renata avanzò solo il dubbio se si fosse in diritto di segregare dal mondo chi avrebbe potuto farvi ancora molto del bene. Finalmente ebbi la risposta di ritornare quando il Padre Provinciale sarebbe stato presente: lo aspettavano presto. La sera stessa ritornai a Münster: avevo ottenuto più di quel che mi sarei aspettata al mio arrivo.
Dal racconto ora particolareggiato e ora stringato di Edith (si tratta della “Relazione su come entrai al Carmelo”, datata 12 dicembre 1938) si intuiscono la tensione e la speranza che convivevano nel suo animo in quei mesi di maggio-giugno 1933, decisivi per la sua intera esistenza.
Aveva vissuto già quarantadue anni come laica (prima ebrea tedesca, poi atea, poi cristiana ed insieme ebrea) e gliene restavano solo nove come carmelitana e martire. Tutto era stato importante e tutto stava per essere ancora più ricco, dentro una nuova forma di intelligenza: una intensa interiorità e una disposizione incondizionata a essere unita alla Passione di Cristo (era l’Anno santo della Passione e Redenzione).

«Liete comunichiamo accettazione»


Dovette logicamente fare la trafila delle vocazionanti, per di più di quelle adulte e, sebbene raccomandata come credente da chi la conosceva e molto la lodava per la notorietà come filosofa, stava un po’ sotto un legittimo sospetto. Infatti era già di una certa età e quindi non facilmente educabile; e poi portava evidenti i segni di una personalità ricca ma “pericolosa”; e inoltre era (con buona pace della amica Cosack) una ebrea.
Le monache la volevano far incontrare con il P. Provinciale dei Carmelitani, «che si fece attendere parecchio». Poiché egli non arrivava, decisero di farla esaminare dal Vicario delle claustrali, cioè da un sacerdote diocesano che seguiva i monasteri.

Poi sarei stata presentata alle capitolari (le monache di professione solenne o perpetua con diritto di voto), che successivamente avrebbero dovuto votare la mia accettazione.
Quello che Edith ricordò nella sua relazione del 1938 è d’una semplicità e precisione impressionante, che non si può paragonare a quanto santa Teresa d’Avila o santa Teresa di Lisieux ci hanno lasciato nelle loro memorie, perché tempi e personalità sono differenti, ma è comunque un racconto di una tensione ed una efficacia straordinarie.

Mi trattenni a Colonia dal pomeriggio del sabato fino alla sera della domenica – credo che fosse il 18-19 giugno –. Prima di presentarmi al Vicario potei parlare con Sr. M. Teresa Renata e con Sr. Marianna ed ebbi anche il permesso di far conoscere la mia amica. Recandomi poi dal Vicario – Monsignor Lennè – fui sorpresa lungo la via da un temporale, e giunsi a destinazione tutta bagnata.
Prima di ricevermi, Monsignore mi fece aspettare per un’ora intera. Entrata da lui, dopo che mi ebbe salutata, toccandosi la fronte con la mano mi disse: «Cosa vuoi dunque da me? Me ne sono completamente dimenticato!». Gli risposi che ero un’aspirante al Carmelo e che la mia visita doveva essergli stata annunciata. Allora si mostrò al corrente e smise di darmi del tu. Compresi più tardi che aveva fatto così per provarmi. Avevo tutto accettato senza battere ciglio. Egli mi fece ripetere ancora una volta quanto già sapeva, poi mi disse le difficoltà che mi avrebbe opposto, rassicurandomi nello stesso tempo che le monache non davano molto peso a tali opposizioni e che di solito si mettevano assai facilmente d’accordo con lui. Infine mi congedò con la sua benedizione.
Quella volta tutte le capitolari vennero in parlatorio, dopo il vespro. La nostra cara Decana, la piccola suor Teresa, si accostò molto alla grata per vedere e sentire bene, mentre suor Aloisia, entusiasta della liturgia, voleva sentir raccontare di Beuron, cosa su cui la potei pienamente accontentare. Infatti dovetti cantare: me lo avevano già accennato il giorno avanti, ma credevo che fosse uno scherzo. Cantai «Benedici, o Maria», un po’ timida e sottovoce; e poi dissi che mi era costato di più che il parlare davanti ad una folla di mille persone; ma, come seppi in seguito, le religiose non mi compresero, perché ignoravano del tutto la mia attività di conferenziera.
Quando le monache si furono ritirate, la Madre Josefa mi disse che il capitolo di votazione poteva aver luogo solo il giorno dopo: quella sera dovetti così ripartire senza risposta definitiva.
Suor Marianna, con la quale avevo parlato in ultimo da sola, mi aveva fatto sperare tale risposta per telegramma; esso giunse in realtà all’indomani: «Liete comunichiamo accettazione. Saluti. Carmelo». Dopo averlo letto mi recai in cappella a ringraziare Dio. Sul resto eravamo già intese: contavo di sbrigare tutte le mie cose a Münster entro il 16 luglio, giorno in cui avrei festeggiato con le Carmelitane la solennità della Regina del Carmelo, trattenendomi poi per un mese nella foresteria del monastero. Verso la metà di agosto mi sarei recata a casa con un biglietto di andata e ritorno, e il 15 ottobre, festa della nostra S. Madre Teresa, avrei fatto il mio ingresso in clausura. Era previsto inoltre un mio trasferimento per la fondazione in Slesia.
Sei grandi casse di libri mi precedettero a Colonia; nella lettera di accompagnamento notai che forse nessun’altra carmelitana aveva portato con sé un simile corredo. Suor Orsola le prese in consegna e nell’aprirle badò con la massima attenzione di tener separati i libri di teologia, di filosofia, di filologia, secondo le rispettive indicazioni di ciascuna cassa. Ma andò a finire ch...

Indice dei contenuti

  1. Collana Presenze vive
  2. Prima parte
  3. Seconda parte
  4. Terza parte
  5. Quarta parte
  6. Bilancio di una vita eccezionale
  7. BIBLIOGRAFIA ITALIANA