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L'ultimo capitolo

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Düsseldorf, 1856. Da due anni ormai Robert Schumann vive nell'isolamento della clinica psichiatrica di Endenich, non vede più l'amata moglie Clara e solo le rare visite concesse dai medici al giovane amico Johannes Brahms danno respiro a pomeriggi tutti identici, trascorsi a compilare elenchi su atlanti geografici e a esporsi ai demoni che insidiano la sua mente. A ossessionarlo è un Concerto per violino composto poco prima del ricovero. Che ne ha fatto? Perché non viene pubblicato? Perché Joseph Joachim, a cui è dedicato, non lo suona? Gli amici lo rassicurano con qualche promessa, con qualche mezza verità. Ma sono solo bugie pietose: non vogliono rovinare la reputazione del compositore con un'opera che non giudicano all'altezza, espressione di una mente già inabissata nella follia.È questa la dolorosa verità? Hanno ragione tutti coloro che, improvvisamente, a partire dal 1850, calano una scure d'indifferenza sulle opere del «genio malato»? Non è di questo avviso Piero De Martini che, con l'acribia del ricercatore e la dolcezza del discepolo, è andato sui luoghi estremi del passaggio di Schumann per riempire i vuoti dei testi biografici e dei cataloghi discografici. Scoprendo così opere messe troppo frettolosamente da parte da critici ed esecutori, di ieri e di oggi, che rappresentano un patrimonio importante e dimenticato di un autore che cercava di percorrere vie nuove senza essere compreso – le vie che porteranno a Mahler e a Schönberg.L'ultimo capitolo di Schumann è una biografia essenziale e commovente, che indaga la vita del compositore tedesco per capire meglio la sua opera. Perché mai come nel caso di Schumann la musica è specchio fedele della complessità di una natura geniale e poetica: l'urgenza con la quale si gettava nel comporre; il lacerante dualismo, élévation e ennui, che avvelena l'esistenza e arricchisce l'arte; la forza delle emozioni, tra l'amore sconfinato per Clara e la sconfinata malinconia; il sentimento di morte che mai lo ha abbandonato, fanno di questo eccezionale artista la quintessenza del Romanticismo in musica.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865768181

Düsseldorf

Settembre 1850

Senza troppi rimpianti Robert Schumann lascia Dresda e accetta l’incarico di tutto prestigio di direttore musicale offertogli dalla città di Düsseldorf su invito dell’amico Ferdinand Hiller, che lascia il posto per assumere lo stesso compito a Colonia. Il 2 settembre 1850 la numerosa famiglia Schumann raggiunge la bella città sul Reno, il fiume mito di Robert. Una cintura di verde circonda un centro abitato da una borghesia vivace e portatrice di ogni nuova tendenza culturale. Gli scrittori si danno appuntamento a Pempelfort, dove il tono lo danno già agli inizi dell’Ottocento intellettuali come Carl Immermann e Christian Dietrich Grabbe. L’Accademia di pittura lega alla città renana molti artisti di vaglia. Düsseldorf e le città vicine sono piene di iniziative di musica da camera e musica religiosa, e grazie alla presenza di vari gruppi corali. Un pubblico entusiasta accoglie già negli anni venti gli oratori di Haydn eseguiti da associazioni musicali che si riuniscono a Düsseldorf e presto daranno vita al Festival del Basso Reno di rinomanza internazionale. La presenza di una forte piattaforma culturale, letteraria e artistica spinge le iniziative anche verso il teatro musicale, e il giovane talentuoso Felix Mendelssohn ne viene nominato direttore nel 1833: anche dopo il 1835, quando il compositore assume gli incarichi a Lipsia, rimane come direttore dell’orchestra del Festival e nel 1836 il suo oratorio Paulus ottiene un successo strepitoso. Uno dei successori di Mendelssohn è proprio quel Ferdinand Hiller, che nel 1850 chiama al suo posto Robert Schumann. Il nuovo direttore viene accolto festosamente con un concerto offerto da alcuni musicisti locali e, qualche giorno, dall’intera orchestra della città. Si dà infine un concerto tutto dedicato alla sua musica con cena d’onore e ballo. Schumann esce esausto da questa settimana di continui festeggiamenti, non si sente a suo agio. L’appartamento che gli viene assegnato è molto rumoroso: nei due anni successivi la famiglia Schumann cambierà casa diverse volte. Düsseldorf è una città vivace: l’appartamento di Robert e Clara, dove è sempre presente un grande ambiente per la musica, è meta di artisti, musicisti e pittori. Lo spostamento da Dresda a Düsseldorf trasferisce gli Schumann, abituati al loro piccolo mondo famigliare, in una vita cittadina socialmente molto movimentata che loro fanno fatica ad accettare. In uno scritto Clara confessa che la città non le piace, non le piacciono gli appartamenti con grandi finestre, non le piacciono gli abitanti, non le piace il comportamento alla francese delle donne «che talvolta oltrepassa sicuramente le barriere della femminilità e della decenza». Scrive ancora nel suo diario: «Quando sono in gruppo le persone di qui sono generalmente molto allegre, e la cosa mi piace molto. Ma si è soprattutto sorpresi dalla natura vivace e trascurata delle donne in particolare […]. La vita coniugale qui sembra essere più francese, poco seria». E aggiunge: «E in più non posso assolutamente trovarmi a mio agio con gente di rango inferiore, sempre grossolani, eccessivamente sguaiati e pretenziosi nel loro considerarsi uguali a noi». Insomma per Clara la vita a Düsseldorf comporta non poche delusioni: educata in modo autoritario e aristocratico, non riesce a digerire quel clima sociale aperto, quasi di società senza classi. Diverso il discorso per Robert che, pur costretto dalle sue attività professionali a vivere a contatto con i musicisti e le autorità che li sovrintendono, si rinchiude spesso nel suo silenzio, è in difficoltà quando parla, con la mente sempre immersa nei suoi progetti e nelle sue composizioni, afflitto da una salute malferma e preoccupante, con sintomi che i medici hanno difficoltà a interpretare.
Inizia così l’ultimo capitolo della vita di Robert, quello più trascurato dai musicologi, nel quale erroneamente, a mio parere, molti di loro ieri hanno visto, e ancora oggi danno per scontato, un rallentamento delle sue capacità compositive, non riconoscendo invece quel percorso innovativo che lo impegna fino a quando le forze lo sorreggono, in un grande dispendio di energie, e con un affaticamento psichico che, assieme all’incomprensione del mondo musicale e perfino degli amici musicisti, infine lo stronca.
A Düsseldorf Robert viene assorbito da tutte le attività di sua pertinenza, come direttore musicale di orchestra e coro: deve preparare i concerti in abbonamento e dirigere settimanalmente le prove del coro (il Gesang Musikverein) che si esibisce anche nelle festività importanti nelle chiese principali. L’orchestra non è certo delle migliori, non potrebbe per esempio rivaleggiare con quella del Gewandhaus di Lipsia. Mendelssohn infatti ha lasciato questo commento: «All’attacco ciascuno entra per proprio conto […], nel piano il flauto è sempre crescente e non c’è un singolo Düsseldorfer che riesca a suonare una terzina in modo chiaro […], ogni Allegro si conclude a una velocità doppia rispetto a quella dell’inizio, e l’oboe suona il mi naturale nel Do minore». Oltre all’attività professionale, Schumann non cessa di pensare alle sue composizioni. È questa certamente una delle fasi più intense e produttive della sua carriera.
Il 24 ottobre c’è il concerto di debutto. È presente Hiller. Tutto procede senza intoppi; il modo di dirigere di Schumann, che non ha una specifica preparazione in merito, è più che apprezzato anche da Hiller che scrive: «I Düsseldorfern ora sono molto contenti, credo che l’attuale organizzazione funzionerà al meglio». Per il futuro Schumann mette in cantiere le Passioni di Bach e le Stagioni di Haydn. Nel secondo concerto della stagione, in novembre, si eseguono il Concerto per violino di Mendelssohn, e poi Cherubini, Weber, Gluck, la Settima Sinfonia di Beethoven e, in prima esecuzione pubblica, il Requiem für Mignon op. 98b composto l’anno precedente.
Schumann dedica gran parte del suo tempo al lavoro professionale con l’orchestra e il coro di Düsseldorf, ma non trascura, come si è detto, la sua attività di compositore. Anzi, in questo scorcio dell’anno 1850, oltre al Neujahrslied op. 144 su testo di Rückert, per orchestra e coro, a settembre in sole due settimane compone il Concerto per violoncello e orchestra op. 129 e subito dopo incomincia a pensare alla Terza, ma in realtà quarta e ultima sua originale, Sinfonia detta Renana (op. 97; la Quarta Sinfonia op. 120 della numerazione ufficiale è stata composta per seconda nel 1846 ma sottoposta a revisione dallo stesso autore nel 1851).
Il Concerto per violoncello, che il compositore chiama «Pezzo da concerto per violoncello» nel catalogo dei suoi lavori è costituito da tre tempi senza soluzione di continuità: non c’è esposizione orchestrale e la cadenza non è solistica ma accompagnata dall’orchestra, e questo è un ulteriore segno di innovazione. A detta dei violoncellisti che vi hanno messo mano, il concerto è difficilissimo tecnicamente, forse uno dei più difficili in assoluto. È questo il primo concerto per violoncello importante prodotto nell’Ottocento, il solo fino a che Saint-Saëns non compose il suo nel 1872. A proposito dello strumento, così Schumann scriveva alla madre nel 1832, dopo il danno permanente alla mano destra che lo ha escluso dalla carriera di virtuoso: «Riprenderò nuovamente in mano il violoncello, per il quale c’è bisogno della sola mano sinistra, perché mi sarà sempre utilissimo per la composizione orchestrale». Nonostante questa considerazione utilitaristica, solo ascoltando il lirico tema iniziale possiamo ben dire che il suono del violoncello coincide con il suo sentimento poetico del suono. Dedicato probabilmente a un violoncellista dell’orchestra, il concerto sarà pubblicato solo nel 1854, ma non avrà esecuzione che nel 1860, quindi postuma. Finché è in vita, il desiderio di perfezionare questa composizione non abbandonerà mai Schumann: lo prenderà in mano e ci lavorerà ancora nella casa di cura di Endenich. Clara ci racconta nel suo diario l’insoddisfazione di Robert che non trova sbocco, sempre tormentosamente impegnato ad apporre correzioni.
I lettori mi perdoneranno ma in questo capitolo, per raccontare le composizioni musicali di questi anni, prendo in prestito le parole intelligenti e preparate di alcuni musicologi. Affido dunque a Max Harrison la descrizione del Concerto:
Con quattro battute orchestrali che consistono di tre accordi staccati dei fiati all’inizio indicato «Nicht zu schnell» (Non troppo veloce), il primo movimento incomincia con una figurazione di accompagnamento sugli archi acuti. Sulla sua continuazione entra il violoncello con il tema principale, nello stesso modo vibrante in cui entra il solista nel Concerto per pianoforte (op. 54). Si tratta di una melodia tipicamente schumanniana e il suo motivo principale ricorre costantemente quasi per l’intero lavoro. Una vigorosa transizione orchestrale conduce al secondo tema, esposto ancora dal violoncello, e ancora nicht zu schnell, alla relativa maggiore. Con le sue appoggiature, sospensioni e settime melodiche, questo tema anticipa musica romantica molto più tarda, e in particolare quella di Wagner. Dal secondo tema si staccano due piccoli frammenti, in particolare una figurazione di terzine, continuamente presenti nello sviluppo, specialmente in contrasto con i nostalgici ritorni al primo tema da parte del solista e di altri strumenti, tra cui i corni. Il violoncello si sforza di riprendere il tema in Fa diesis minore, ma il suo tentativo viene frustrato dall’orchestra. Un secondo tentativo si frantuma in terzine vaganti. Alla deriva verso la ripresa, che a questo punto arriva come una sorpresa – come se il compositore stesso non se l’aspettasse! Nella coda orchestrale avvertiamo ancora della tensione, generata dal primo motivo del tema principale e dalla figurazione di terzine del secondo tema. Una bellissima metamorfosi degli accordi di apertura dei fiati, indicata «Etwas zurückhaltend» (Alquanto guardingo), dissolve però la tensione, e il violoncello conduce serenamente al Langsam (Lento) centrale.
Come nel Concerto per violino (opera postuma) dello stesso autore, questo movimento lento è il più bello dei tre, e il suo fascino si esercita perfino su chi avanza delle riserve sul lavoro in generale. È un brano in forma ternaria, essenzialmente un Lied per violoncello, che riflette il linguaggio della musica popolare tedesca e parla del mondo dei sogni e della fanciullezza. Il solista è accompagnato in maniera lieve, in prevalenza dagli archi, con i legni che di quando in quando fanno eco al violoncello. Il brano presenta una breve ripresa, poi l’incantamento viene rotto da un inquietante ricordo del primo movimento, che conduce il solista al finale.
Il brano, in forma di sonata, è indicato Sehr lebhaft (Molto vivace), e ci riporta alla tonalità fondamentale di La minore. Il movimento presenta un buon primo e secondo tema, ma la creatività di Schumann viene meno nello sviluppo, ed è qui che il Concerto soffre in maniera più ovvia per essere stato scritto tanto in fretta. La parte orchestrale è più valida di quella del solista, apparentemente incapace di distaccarsi dalla figurazione ritmica che ha lanciato la sua entrata nel movimento. In effetti, in generale, ci troviamo qui davanti a troppe progressioni convenzionali e formule trite, anche se vengono fatti dei riferimenti al movimento iniziale, per esempio nei corni, prima che la parte del solista acquisti di spessore con l’avvicinarsi della cadenza. Si tratta di un momento molto originale, che accresce l’interesse verso il finale, dove l’accento forse eccessivo posto sulle corde gravi del violoncello viene riequilibrato dagli interventi dell’orchestra. Collocata in maniera efficace proprio prima della coda, questa cadenza, per di più accompagnata, rappresenta un’innovazione che certamente Elgar ebbe ben presente quando si mise a scrivere il suo concerto per violino.
La cadenza con il sostegno orchestrale deriva in un certo senso dall’atteggiamento con cui Schumann si accostò all’intero lavoro. Invece di distinguersi o di contrapporsi all’orchestra, la linea del solista è incastonata come voce principale nel tessuto orchestrale, in una sorta di bassorilievo. Non che il dialogo tra il violoncello e l’orchestra sia completamente eliminato, ma la strumentazione evita lo spessore indifferenziato caratteristico di molta altra scrittura orchestrale di questo compositore. Forse memori del suo studio giovanile dello strumento, i temi dei primi due movimenti sono ideali per il violoncello e in certo modo spiegano l’entusiasmo che i grandi solisti dimostrarono per questo lavoro. Casals, che ne fece un pezzo essenziale del repertorio moderno, rilevò che «dall’inizio alla fine questa è musica sublime». Anche Rostropovič ha affermato che si tratta del concerto che suona più volentieri.
Forse la Renana è la più bella, la più equilibrata delle quattro sinfonie. Composta tra il novembre e il dicembre di questo 1850 è anche la più «tedesca» delle quattro. Dedicata al fiume Reno che attraversa la città – Schumann si sente «portato», protetto da questo fiume come da una divinità: è il luogo prediletto per le sue visite con Clara –, è l’unica sinfonia che usa temi popolari in un clima festoso che rievoca, nei momenti di maggiore solennità, il contrappunto della «maniera antica», barocco e fiammingo. Incastonato tra le difficoltà, è questo un momento sereno dell’esistenza di Robert. Durante la composizione compie due viaggi a Colonia, dove viene suggestionato dalla potenza dell’architettura del duomo, dalle sue guglie e dalle sue volte gotiche. Nel secondo viaggio assiste ad alcune cerimonie e noi sappiamo quanto le cerimonie religiose colpissero la sua immaginazione, entrassero con forza nella sua mente. Una in particolare investirà di spirito ieratico il quarto movimento della sinfonia, che incede lento e maestoso: la solenne celebrazione dell’elevazione a cardinale dell’arcivescovo Johannes von Geissel spinge Robert a introdurre il nuovo movimento che originariamente reca l’indicazione «Im Charakter der Begleitung einer feierlichen Zerimonie» (Nel carattere di un accompagnamento di una cerimonia solenne). La sinfonia viene completata il 5 dicembre e ci si aspetta un’ottima accoglienza. Infatti il 6 febbraio 1851 viene presentata a Düsseldorf nel sesto concerto in abbonamento sotto la direzione dell’autore: il successo è tale che l’opera deve venire bissata a furor di popolo il mese successivo, il 13 marzo.
Scritta verso la fine del 1850, l’ultima sinfonia (in ordine cronologico) di Schumann è probabilmente la più completa e matura delle quattro; essa ha come spunto programmatico la Renania, regione nella quale il compositore si era da poco trasferito con la moglie per assumere la guida dell’orchestra di Düsseldorf. L’antico mito del Reno come culla della nazione tedesca e la serena laboriosità delle sue genti si rispecchiano nel solido e radioso impianto dei due movimenti esterni, così come nella robusta ispirazione popolaresca dello Scherzo. In aggiunta ai quattro tempi tradizionali viene inserito, prima del finale, un quinto movimento, un maestoso tributo alle antiche pratiche contrappuntistiche rivisitate in chiave romantica, con cui il compositore ci volle probabilmente restituire le sensazioni vissute nel duomo di Colonia durante la cerimonia di investitura cardinalizia dell’arcivescovo.
La sinfonia si apre senza il consueto episodio introduttivo: Schumann ha così lo spazio per imbastire un’esposizione più ampia e articolata di stampo classico. Inoltre, per la prima volta in queste sinfonie, il primo tema presenta un profilo melodicamente compiuto, un motivo nobile e di ampio respiro al quale si contrappone il dolce e cullante profilo del secondo tema. Lo sviluppo è invece articolato su una lunga e regolare alternanza di rivisitazioni dei due temi, mentre una lunga preparazione porta alla ripresa tradizionale, seguita da una coda conclusiva nella quale riecheggia ancora l’idea del primo tema.
Nello Scherzo, utilizzato come secondo movimento, il tema sembra quasi assumere una vera e propria caratterizzazione con due distinti soggetti: una frase iniziale di carattere maschile (viene infatti esposta da strumenti di tessitura medio-bassa) e di genuina ispirazione contadina, e una risposta di carattere femminile (strumenti di tessitura alta), dal profilo più elegante e aristocratico. Il tema viene poi ripreso e variato anche nella sezione centrale, nella quale troviamo, nell’ordine: le imitazioni di una frastagliata linea a note staccate con citazione finale del tema principale, un morbido e soffuso impasto dei fiati e una variazione del tema stesso. Il movimento si chiude con la ripresa dello scherzo e una potente declamazione del suo motivo principale, che si dissolve in una frammentata coda finale.
Il terzo movimento è una pagina intima e raccolta, di impronta quasi cameristica, nella quale si dispiega un’affettuosa frase melodica di clarinetti e fagotti, a cui risponde una diversa idea tematica dall’incedere frammentato, che a lungo indugia prima di trovare la sua conclusione. Un terzo motivo, dal fraseggio più fluido e continuo, completa la presentazione del materiale tematico; il tutto viene quindi rivisitato senza particolari sussulti o contrasti nei tre episodi successivi, e in una coda, nella quale i tre motivi vengono fatti riecheggiare sopra un ondulato pedale di basso.
L’austero tema iniziale del quarto movimento si dipana in un lento corale, reso ancor più solenne dalla compassata sonorità degli ottoni. Come nel dispiegarsi di una lenta processione, il tema viene ripreso a canone per dare poi vita a un ampio episodio centrale dal lento ma deciso incremento dell’intensità, nel quale si succedono entrate imitative sulla testa del tema. Dopo un netto passaggio da forte a piano, il tema si ripresenta quindi a valori dilatati, fino a quando solenni declamazioni dei fiati, inframmezzate da sussurrati pianissimi, portano alla conclusione con l’ultima citazione del tema, prima dei mesti accordi finali.
Anche nell’ultimo movimento il primo tema presenta un profilo melodico compiuto, articolandosi peraltro in due motivi diversi. L’episodio di transizione, che avrà un ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Introduzione
  4. La mente di Robert Schumann
  5. Düsseldorf
  6. Endenich
  7. EpilogoRiappare il Concerto per violino in Re minore
  8. Bibliografia