Cose comuni
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Informazioni sul libro

In forma dialogica e di conversazioni raccolte dalla vita quotidiana di un gruppo di giovani universitari, le riflessioni sui più importanti temi del momento. Questo libro è anche un vademecum per orientarsi nelle difficili questioni del presente, in un contesto di globalizzazione sempre più penetrante e di diseguaglianze e ingiustizie crescenti anche nelle società del benessere.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788863573459
Categoria
Sociology

Parte I – convivere

CAPITOLO 1 SULLE ZEBRE ED ALTRI BIPEDI

A [Giuseppe]: “Che fatica! Oggi sull’autobus proprio non si resisteva: tutti stretti, sudati, sbattuti. Mi veniva voglia di scendere e andarmene a piedi.”
B [Marta]: “Che vuoi che sia! Non ci sei abituato? Vai in autobus o in metropolitana tutti i giorni e ancora ti sorprendi. Ormai ci dovresti aver fatto il callo e poi è anche stupido agitarsi tanto. O t’adegui o muori, caro mio.”
C [Roberto]: “Ma la soluzione c’è, prenditi un motorino e vai…che te ne frega, con il traffico che c’è in centro è l’unico modo di sopravvivere. Ti dà anche una bella sensazione di potersi muovere in agilità, mentre tutti gli altri, quelli che guidano come pazzi e i pedoni frastornati, se ne stanno lì bloccati o arrancano disperatamente.”
A: “Bravi, a commentare siete buoni, ma a me intanto tocca prendere un mezzo pubblico al giorno come minimo e a volte anche tre o quattro di fila. Mi sa che divento asociale, odio sia quelli che ti stanno addosso che gli autisti che ti sbattono come scatolame, che tutti quei fessi che fanno i furbi sgusciando da dietro e di lato, e intanto io sto lì fermo e schiacciato. Voglio scendere!!!”
B: “Senti, io una cosa l’ho capita, e poi è stata raccontata anche tante volte al cinema: la città è una giungla d’asfalto, e noi siamo come animali che lottano per la sopravvivenza. La città è un ambiente duro e selettivo. Ma te l’ho immagini il solito vecchietto tentennante, che manco si accorge del motorino che lo arrota. E ben gli sta, che ha voluto buttarsi in un ambiente selvaggio che non fa per lui. Lì sai chi se la cavano benone?: i più pazzi scatenati, quelli che se ne infischiano di tutto e di tutti. Codice della strada, ma chi lo conosce? Ma vi ricordate che ridere l’educazione stradale a scuola, quando eravamo pischelli? Educazione, ecco questa è proprio la cosa che non esiste. Se sei educato, crepi nella giungla, che quelli sono belve a 2 o a quattro ruote.”
C: “Sì, mo’ ti sei fatta prendere la mano dalla giungla d’asfalto. Ma le cose non stanno così: casomai peggio. Diciamo la verità, noi forse perché siamo giovani nella città non ci stiamo male. Anche se è trafficata, caotica, e diciamo anche sporca, brutta e cattiva. Sì, hai ragione è un ambiente duro per duri, ma appunto noi che ci cresciamo dentro c’induriamo pure noi e diventiamo abili non solo nell’arte di sopravvivere in ambiente urbano degradato, ma anche ne ricaviamo parecchie emozioni e soddisfazioni…”
A: “Questa poi: soddisfazioni!, dopo che io ho appena finito di lamentarmi. Vabbé, mica volevo il dibattito, ho detto così per sfogarmi, e voi subito a dare addosso a un disgraziato sopravvissuto al trasporto pubblico. Io non ho alternative, per ora. Non voglio chiedere il motorino ai miei, se mai me lo compro appena guadagno qualcosa, ho provato in bici, ma ti senti un moscerino tra tafani scatenati. Mi sono messo ad osservare quei pazzi sulle macchine a pedali, sono pochi forse perché i più vengono subito fatti fuori nella mischia del traffico. E poi sono anche un po’ strani: forse per farsi coraggio si mascherano da ciclisti, hanno l’aria spaesata, sembrano pezzi d’antiquariato da un’altra epoca che si chiedono che ci sto a fare in mezzo a tutto questo smog e quanto passerà prima che mi facciano fuori definitivamente. Insomma: non mi rassegno e protesto e mi sfogo, ma so bene che sono uno schiavo dei tempi e dei movimenti della città.“
C: “Ma solo di guai sapete parlare!? Guarda che dipende da te, saper cogliere nella città quello che ti serve. Tempo, spazio, occasioni, voi parlate di una città imballata e bloccata, ma la città è movimento, velocità, scatto: ci vuole il mezzo adatto, e può essere il motorino. Inquinamento, affollamento, rischio di finire sotto. Sì, certo, e direi per fortuna, ogni giorno rischi nella città e ti senti vivo, mentre gli altri sembrano cadaveri ambulanti. Anzi: io con il motorino ci vivo, guido e intanto telefono con il cellulare, vado contromano, passo con il rosso, mi blocco sulle zebre così do fastidio ai pedoni, vil razza dannata che dovrebbero scomparire. La città moderna non è fatta per loro, ma per noi cavalieri a 2 ruote…”
B. “Ma a te chi ti paga? Quel vecchio sindaco Rutelli? ‘Sto apologeta del ciclomotore. Avevo capito che la città serviva a vivere meglio: un concentrato di energia e di possibilità, in questo hai ragione, ma fatto in modo che ne possano usufruire in molti e diversi. Ci dovrebbe essere spazio per tutti. E se è una giungla perché non ci dovrebbero essere almeno delle nicchie adatte ai vari bisogni. Poi non posso accettare di essere o diventare una belva. Non ti capisco: stiamo a fare tanto i sofistici, discutiamo di poesia e di politica, di moda e di musica, e quando non ci sto io qui so bene che vi mettete a disquisire di estetica femminile (dico così per non farvi vergognare di quanto siete beceri quando toccate certi tasti…), però quando si tratta di fare i tosti, cadete subito in basso. Il peggio è quello che a voi piace davvero, più è violento e volgare e più vi dà l’idea che anche voi siete come gli altri e meglio degli altri…
C. “Ma che cavolo dici, mo’ stai esagerando, parlavamo così di traffico tanto per dire, e tu la butti in politica o vuoi che ci mettiamo a filosofare in base a principi che poi chissà quali sarebbero. Già voi ragazze siete fatte apposta per rompere…”
A. “Chi l’avrebbe detto che la mia sofferta sudata sull’autobus avrebbe fatto avanzare il pensiero occidentale?! Calma, ragazzi, e tu C non fare il tosto più di quel che sei. Tornando al punto: se in città c’è inquinamento e caos c’è pure violenza e sopraffazione. Ora, lo so che hai ragione quando dici che la città offre tanto, specie a noi giovani, ma a lungo andare anche seguendo il tuo ragionamento che razza di bestie diventeremo? Forse ci deve essere un modo di avere il meglio delle due cose: la libertà di movimento e l’eccitazione ma anche un ambiente più sano e meno a rischio.”
C. “Con i buonisti come te io proprio non ci discuto, mi fanno venire la nausea. Anzi sai che ti dico: che sono proprio quelli come te che rompono: fanno prediche, sognano le notti di luna, hanno la testa rivolta all’indietro, sono bacucchi e peggio, e del mondo d’oggi non capiscono niente. Mi ricordi quel professore che ci faceva sempre la morale e ci parlava de “il bello, il vero, il bene”, e simili utopie. Ma dove vivete? Dobbiamo vivere e sopravvivere qui, non in un altro mondo immaginario. E io qui in questa merda urbana se proprio lo volete sapere ci sto benissimo: me la rivolto come voglio io e se qualcuno crepa o ci sta male, peggio per lui. Le leggi non le rispetta nessuno e dovrei essere io il primo? Tra i tanti fessi che ci sono già non voglio aggiungermi anch’io! Il rispetto per gli altri? Sì, nel senso che io so farmi rispettare e questo è quello che conta. Il motorino è il mezzo più adatto per sopravvivere: allora lo uso senza mezzi termini e voglio che la città sia mia. Vedrai che alla fine vincerò io e voi altri vi pentirete di aver coltivato le vostre anime belle e di essere stati a trastullarvi con i vostri scrupoli. Ma non avete niente di meglio da fare?”
B. “Ti senti punto, allora, se reagisci in questo modo esagerato. Sono sicura che non pensi davvero le cose che dici. Ma le discussioni tra noi sono proprio come il traffico in città: dobbiamo darci una regolata. Imparare a capire le ragioni degli altri, non irrigidirsi subito su così o niente. Non creare ingorghi…e poi discutendo diventiamo aggressivi come quando cerchiamo di sopravvivere nel traffico...”
C. “Ma a me dà fastidio che una come te, che potrebbe prendersi i meglio ragazzi, sta qui a difendere le ragioni dei “deboli” cioè dei più fessi. E poi: siamo tutti inquinatori, tutti consumatori del tempo e dello spazio degli altri, siamo egoisti e ce ne freghiamo degli altri. Ma come faremmo sennò a cavarcela? Perché gli altri, che so i pedoni o gli automobilisti si preoccupano per me? Ma non vedete che ciascuno va per i fatti suoi, e in città ancora di più, tanto non ci conosciamo e non ci vedremo mai più.”
A. “Farei meglio a starmene zitto, visto che altrimenti questo qui mi salta addosso. Il mio punto è solo questo: non riesco a convincermi che tutto quello che tu dici, e che riconosco essere vero rispetto alla realtà, voglia anche significare che non c’è niente da fare, che bisogna solo adattarsi, anzi approfittarsene… e guarda che non si tratta solo del traffico. Prova ad applicare il tuo ragionamento ad altre situazioni in cui ci troviamo ogni giorno, e vedrai che ne verrebbe fuori una bolgia invivibile anche per uno come te. Voglio dire che se tutti facessero come te neppure tu saresti ancora vivo abbastanza da potercelo venire a dire. Morale della favola: tu fai bene a comportarti come vuoi, ma tieni presente che non può essere la regola…”
C. “Ma che regola e regola! Io appunto non voglio sentir parlare né di regole, né di dover tener conto degli altri, perché so che solo se faccio così – e chiamalo egoismo – riesco a vivere ed anche a vivere meglio di altri. Ma ti sembro il tipo tutto timoroso, casa e chiesa, scrupoloso, sempre attento a non pestare i piedi, che chiede permesso. Chi fa così è destinato a finire male, comunque non vedo come potrà affermarsi nella vita, sul mercato, sul lavoro ed anche con le donne, che poi – inutile negarlo – apprezzano proprio quelli che sono più sicuri di sé e non badano troppo ai mezzi…”
B. “Trasudi antifemminismo da tutti i pori, con la tua idea che essere tosti fa moderno. Ma da che mondo è mondo, il problema è proprio questo: vogliamo convivere anche e proprio perché siamo diversi: uomo e donna, bianco e nero, pedone e motociclista, altrimenti vuoi la guerra di tutti contro tutti? Siamo civili proprio perché non ci sbraniamo, ci rispettiamo, e lasciamo un po’ di spazio a tutti. Tu vuoi tutto per te o per quelli come te. Ma non capisci che proprio mentre credi di affermare la tua autonomia non fai che ripetere qualcosa che ti viene suggerito da forze e poteri più grandi di te o più banalmente è solo il senso comune di chi si adatta. Ma autonomia e adattamento non vanno bene insieme.”
C. “E ci risiamo, la filosofia non fa per me, io mi attengo ai fatti e a quello che essi mi dicono: fai così o te ne pentirai. In astratto ti darei anche ragione; sarebbe meglio se…ecc. ecc. Ma io vivo qui in questo contesto e mi devo adattare. Ma adattare non è mica una brutta parola: significa solo che devi avere le qualità adatte per cavartela, anzi le devi sviluppare proprio stando dentro alla giungla, sennò mai ti verrebbero. Quindi anche se non sono autonomo quando mi adatto, lo divento quanto divento capace di impormi, di sfruttare il contesto, di muovermi a mio piacimento, e di riuscire a farlo meglio degli altri. Anch’io so ragionare, che te credi? Zitti va’, che sta arrivando FC.”
FC, un ricercatore, che ritroveremo anche più avanti (cfr. cap. 9). “Salve a tutti, ciao B, mi sembri un po’ rannuvolata, c’è qualcosa che non va? In genere sei la più allegra e tieni su anche questi maschi moderni accasciati…”
B. “No, va tutto bene, è che quando ci mettiamo a discutere a volte sembra che ci vogliamo fare del male, in molte cose non ci capiamo proprio…”
A. “Ho preso l’autobus, ho sofferto e sudato per arrivare qua, ho buttato là qualche osservazione sulla dura vita della città, e loro si sono messi a discutere accanitamente su chi ha torto e ragione, su come ci si deve comportare…”
FC. “Hai ragione, io oggi ho preso la metropolitana che è più veloce, però nell’ora di punta si viaggia strizzati. Mi viene sempre in mente un’espressione patetica quando sono sui mezzi pubblici, il tram poi non vi dico che è una specie di ghetto viaggiante, “umanità dolente”, quelle facce tese, sofferte, quel sentirsi sporchi e a disagio, per molti anche un senso d’insicurezza, la fatica di non potersi rilassare, di dover aspettare, di dover sempre ripetere gesti e spostamenti…la città sembra diventare sempre più faticosa, in rapporto a quello che ti offre…”
B. “Appunto la città è il problema. Lo so, a noi giovani offre tanto, anzi neppure siamo veramente capaci di approfittarne: cultura, movimento, spazi, possibilità d’incontro, e tutta la possibile varietà di ogni cosa. Sentiamo che c’è tutto questo, ma è come se ci sfuggisse, o ne vorremmo di più e di meglio, o noi siamo sempre altrove, come se le cose più interessanti, magari decisive per la nostra vita, ci passassero accanto senza che siamo in grado di afferrarle…intanto combattiamo nel traffico e non siamo neppure capaci di chiarirci le differenze d’opinione…”
C. “E ci risiamo, è una malattia, appena c’è un problema tutto diventa complicato, vien fuori un malessere, questa s’intristisce, quello si deprime, solo io qui so prendere le cose per il verso giusto…dai non fare così che a vederti “rannuvolata” mi fai star male qui…”
A. “Tò, guarda, anche il grande cinico ha dei sentimenti, o gatta ci cova?…”
C. “Ma che dici, lasciami in pace…”
[B. Si gira dall’altra parte e sta un po’ in disparte, non vuol farsi vedere in volto]
FC. “Mi dispiace di essere arrivato proprio nel bel mezzo della vostra conversazione, ora vi lascio, ma non crediate anche le discussioni tra adulti sono spesso astiose e inconcludenti. L’arte della conversazione non la conosciamo più, forse perché siamo tutti troppo insicuri delle nostre ragioni. Quasi preferiamo non articolarle, e certo evitiamo di sotto...

Indice dei contenuti

  1. quarta di copertina
  2. L’autore
  3. Nota introduttiva
  4. Parte I – convivere
  5. Parte II – QUESTIONI DI GIUSTIZIA
  6. PARTE III – ORIZZONTI TRA LOCALE E GLOBALE
  7. FINALE
  8. Capitolo 10 - una lectio amicalis sulla cura di sé e del mondo